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Parco del Conero



Nel Parco c'è
  Notiziario Ufficiale del Parco del Conero
Anno XI - Numero 5/6 - Dicembre 2005

INTERVISTA AL PROF. EDOARDO BIONDI

Eccezionale patrimonio naturale

Il Piano di gestione naturalistica, previsto dal Piano del parco del Conero, ha il compito di individuare le più corrette forme di gestione da applicare al territorio dell’area protetta, al fine di favorire la conservazione ed il recupero della naturalità degli ecosistemi. La conservazione della natura infatti è il principale obiettivo di un parco, al quale si legano altri aspetti decisamente importanti come quelli didattici, escursionistici, turistici ed economico-sociali. E poi c’è lo studio della vegetazione e la redazione della Carta della vegetazione della ZPS Monte Conero, comprendente i SIC Monte Conero, Portonovo, e Falesia calcarea a mare, costa tra Ancona e Portonovo e Selva di Castelfidardo, che si inseriscono nel progetto per la Realizzazione della Rete Ecologica Marchigiana (REM). Il tutto a firma dell’Università Politecnica delle Marche e più specificatamente dal Dipartimento di Scienze Ambientali delle Produzioni Vegetali, coordinato dal responsabile scientifico dei progetti, professor Edoardo Biondi, della Facoltà di Agraria. Ed è allo studioso che chiediamo:
- Come nasce la convenzione tra il Parco del Conero e l’Università Politecnica delle Marche?
La convenzione nasce dall’esigenza che ha il Parco di stabilire la miglior gestione per la conservazione degli ambienti e delle specie animali e vegetali che vivono nell’area protetta. Al di là di proprietà e bellezze che tutti conosciamo, questo territorio presenta aree SIC (Siti di importanza comunitaria) e ZPS (Zone di protezione speciali sempre a livello comunitario) che fanno parte della direttiva Habitat, che a sua volta è diventata legge dello Stato italiano; per cui l’analisi che necessita e per la realizzazione delle quali è stata attivata una ricerca in collaborazione con le strutture tecniche del Parco, deve dare le basi di conoscenze per la gestione a fini conservativi di questi Habitat. In pratica, per un tipo di conservazione mirata che deve consentire salvaguardia e utilizzazione. Inoltre, a livello regionale stiamo realizzando con altre Università, quella di Camerino e di Urbino, un progetto di rete ecologica detto REM, nell’ambito del quale si intende collegare in termini bio-ecologici aree con diverso valore ambientale, comprese le SIC e le ZPS.

- Siete stati parte attiva nella stesura del Piano del parco, redigendo il Piano di gestione naturalistica del Parco del Conero.
Il Parco rappresenta una palestra di esperienze e di applicazioni delle ricerche che stiamo effettuando nell’ambiente, un laboratorio dove applicare le basi concettuali per individuare modelli di gestione e di monitoraggio e con piacere posso affermare che abbiamo sempre trovato nell’Ente Parco un interlocutore valido e molto attento. Ci è stata data la possibilità di partecipare alla stesura del primo Piano del Parco, quello redatto dall’Architetto Maurizio Piazzini, con la produzione del Piano di gestione naturalistica del Parco del Conero. Uno studio che si è protratto per alcuni anni e che ha permesso di approfondire conoscenze su flora e vegetazione e individuare specie rare, anche di nuova segnalazione per la zona protetta. Il patrimonio naturalistico del Conero in termini faunistici, floristici e vegetazionali è molto significativo, soprattutto se considerato in rapporto alla superficie del parco stesso. Abbiamo calcolato che su questo territorio vivono ad esempio più di 1.100 varietà di piante, tra autoctone e introdotte. Antichi studiosi dell’800 come il Béguinot hanno definito l’area nodo biogeografico di eccezionale importanza, in cui si incontrano piante ed animali che si distribuiscono rispettivamente a nord e a sud nell’ambito del bacino Adriatico.
- Quali sono gli ambienti naturali che si distinguono nel Conero per la loro eccezionalità?
Senza dubbio l’ambiente più eccezionale e nobile del promontorio è la bella lecceta che senza soluzione di continuità occupa tutti i versanti a mare del Conero, dalla parte settentrionale a quella meridionale, con presenze floristiche che marcano il passaggio a condizioni ecologiche diverse. C’è inoltre da considerare lo scrigno naturalistico della valle delle Due Sorelle o delle Vellare, come viene indicata nelle antiche cartografie, ricca di piante di ambienti caldi, molto rare, quali l’euforbia arborescente, l’euforbia veneta, il ginepro coccolone, la coronilla di Valenzia, l’asfodelo della Liburnia, ecc che danno origine ad aspetti vegetazionali veramente peculiari. Ci sono però anche ambienti al limite delle possibilità di conservazione, come i laghi di Portonovo, in quanto sono stati talmente trasformati dagli interventi effettuati negli anni da rendere complessa la loro gestione per mantenerli o migliorare il loro stato. Si tratta di ambienti con ecosistemi riconosciuti come habitat prioritari costituiti da formazioni lacustri con un grande carice, il Claium mariscus, che attualmente si rinviene solo in questa zona per le Marche. è evidente quindi che per la salvaguardia dell’habitat il Parco deve far sentire con forza la sua voce. Si pensi che una volta il lago occupava tutta la parte pianeggiante di Portonovo e se, come è stato detto, verrà spostato il Camping Adriatico in altra ubicazione, è necessario utilizzare le superfici che si libereranno per ridare spazio al lago affinchè ritrovi, almeno in parte il suo originario bacino. Si pensi che queste tipologie di ambienti umidi salmastri, retrodunali, un tempo costeggiavano tutto il litorale marchigiano mentre ora si rinvengono solo a Portonovo e nella Sentina di Porto D’ Ascoli, al limite meridionale della regione, presso la foce del Tronto, da poco istituita in Riserva Naturale Regionale. Speriamo bene!
- Quali altri punti critici avete riscontrato?
Altri ecosistemi che nell’ambito del territorio del Parco sono stati profondamente alterati sono quelli di duna. Nello studio eseguito per il Piano del parco era stata rilevata la presenza di un limitato cordone dunale, presso la foce del Musone, di circa 200 mt., ben strutturato, con la tipica vegetazione e una zona retrodunale di particolare interesse. Nello stesso piano l’area veniva indicata come piano particolareggiato, che prevedeva il recupero ambientale, della duna e del relativo retroduna. Purtroppo invece di recuperarla l’area è stata completamente alterata, mediante prelevamento di ghiaia, da utilizzare in altre zone, distruggendo così la vegetazione relitta ivi esistente come il papavero delle spiagge, il ravanello di mare, l’erba medica di mare, la soldanella di mare, ecc. Ora il Parco ha manifestato l’intenzione di riprendere il progetto di recupero per avviare il processo di ricostituzione. Speriamo che sia veramente la volta buona!
- Che cos’è la Barba di Giove?
E' questo il curioso nome di una pianta arbustiva, una leguminosa di 2 - 3m di altezza, dai bellissimi fiori bianchi, che cresce sulle rocce delle scogliere a picco sul mare. Questa pianta è stata indicata per le falesie del Conero da un botanico marchigiano dell’ 800, lo Spadoni, della Pontificia Università di Macerata. Da allora però la pianta non è stata più rinvenuta sul Conero per cui con i miei collaboratori stiamo tentando di reintrodurla in modo scientifico nel territorio del Parco. La ricerca è iniziata mediante analisi ecologiche di campagna e di laboratorio. In particolare si sta studiando la germinabilità dei semi, raccolti nelle popolazioni di barba di Giove del Gargano, in funzione dei fattori ecologici che agiscono in questi ambienti litoranei quali: salinità, aridità, possibilità di incendi, ecc.. Cerchiamo inoltre di individuare lungo le falesie del Conero quali potrebbero essere le zone più idonee per la reintroduzione della specie.
- Le piante come cura per il male dell’erosione?
Purtroppo, da biologo, debbo rilevare che molto spesso, chi è preposto a contrastare i fenomeni erosivi, possiede una convinzione radicata sul gioco negativo svolto dalle piante negli ecosistemi. La loro concezione semplificata degli ecosistemi li porta a paragonare il fiume ad una condotta, ad un tubo, senza rendersi conto che un fiume è molto di più: è una struttura enormemente complessa, costituita da sistemi di ecosistemi, altrimenti, se così non fosse, sarebbe assai facile impedire il verificarsi di alluvioni. In base a queste esemplificazioni, assolutamente irreali, si imputano agli alberi l’esondazione dei fiumi, la caduta di ponti, ecc. senza tener conto che al contrario, questi trattengono le sponde e le ghiaie fluviali impedendo o rallentando le erosioni in alveo. Ugualmente sulle spiagge la vegetazione stabilizza le dune accumulando la sabbia. Potremmo anche meglio dire che la vegetazione costruisce le dune e talora, dove ancora si mantengono le praterie sottomarine, anche i fondali. Non è quindi saggio a mio parere ripulire gli argini dei fiumi o livellare le spiagge con le ruspe, attività consuete in molte zone del nostro paese. Riguardo alle falesie marnoso-arenacee, come quelle presenti a Mezza Valle, abbiamo invece da tempo segnalato la presenza di una pianta, una piccola canna, detta Canna del Reno, la quale è capace di trattenere gli strati più superficiali del terreno e impedire il ruscellamento delle acque meteoriche, rallentando così il processo erosivo. La natura va interpretata nella sua complessità e la vita, animale e vegetale, gioca un ruolo fondamentale nella costituzione degli ecosistemi. Le soluzioni per le corrette gestioni degli ecosistemi vanno quindi cercati in base ad approcci culturali interdisciplinari che possono permettere di realizzare modelli reali e predittivi delle condizioni ambientali.

Cristina Gioacchini