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Parco del Conero



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  Notiziario Ufficiale del Parco del Conero
Anno XI - Numero 5/6 - Dicembre 2005





GIUSEPPE BARTOLUCCI

La sua terra non lo dimentica!

Don Dino, durante la messa del primo novembre celebrata nella Chiesa del Poggio, lo ha ricordato. Giuseppe Bartolucci, poeta e scrittore (n. 1947 al Poggio e m. 2000), ha lasciato un segno tangibile del suo passaggio terreno, un’attestazione di grande amore per la terra che gli ha dato i natali. Ha scritto del Conero, del Poggio che gli era particolarmente caro, un pezzo di mondo che amava definire Bello, ricco di sedimenti di un secolare passato e la sua gente rude ed aspra, come le rupi che scendono al mare, ma generosa e leale. Ha lasciato lungo il cammino tante testimonianze, che il Consorzio del Parco ha voluto nel tempo fermare in alcuni volumi, nella trilogia Puisia a la puyesa - Biagin Cucalh e altri versi - La cunsegna e in: Miti e leggende del Conero anconetano e Poggio di Ancona. Come lo ha descritto Vincenzo Testa in un saluto affettuoso pubblicato nel libro dedicato al paese natale del poeta: Giuseppe è stato ambasciatore marchigiano all’estero, gloria del Conero Anconetano, che tanto ha amato e pubblicizzato, uomo di cultura e ricercatore di tutto ciò che è buono e illuminante, nonché animo generoso e di grande disponibilità, maestro autentico e intelligente formatore di studenti, dai soci del Circolo Culturale ‘La Ginestra’ di Ancona, al suo presidente e fondatore, che ne avranno cara l’amicizia e la ricordanza. Bartolucci, plurilaureato, in Pedagogia nel ’70 ed in Filosofia nel ’79 all’Università di Urbino, in Materie letterarie a Bologna nel ‘96, in qualità di Funzionario del Ministero degli Affari esteri dall’87 all’90 espleta l’incarico di addetto all’Istituto italiano di cultura di Cordoba in Argentina e di docente della cattedra di Letteratura italiana presso l’Università nazionale di Cordoba. Nei tre anni successivi accetta il ruolo di Addetto all’ istituto italiano di cultura di Lima e docente della cattedra di letteratura italiana. Poi è la volta di un incarico a Santiago del Cile, dove fonda e dirige la cattedra di Letteratura italiana Alessandro Manzoni presso l’Università Cattolica di Valparaiso. Un peregrinare in america latina, quello dello scrittore, che non ha in alcun modo attenuato il suo profondo senso di appartenenza al Monte. Come scrive lui stesso nella presentazione del libro Miti e leggende del Conero anconitano quando mi riproposero, ed ero a Santiago del Cile, di ristampare quel volume ebbi un moto di commozione che non riuscii a trattenere. Il libro nacque da un figlio del Conero che da qualche anno non viveva alle sue pendici e che trasferiva nella pagina sentimenti, aspirazioni, ricordi individuali e collettivi... e mi auguro che queste pagine possano ancora una volta ricordare che il Conero non è soltanto ricco di qualità e caratteri naturalistici ed ambientali e che non è degno di interesse per motivi esclusivamente turistici, ma che possiede nella sua gente espressioni di cultura popolare di tutto rispetto. Cultura popolare, si badi, bene, non ancora scomparsa, ma solo ormai frammentata, priva com’è dell’organica configurazione d’un tempo.

Plenilunio nel bosco

Fra basse sterpaglie e alti querceti
luce d’argento penetra e risplende
ed alla terra giunge, di radici
e nidi e d’ altra vita aggrovigliata.

S’odono fruscii quasi esitanti,
di qualche raro uccello il verso,
leggera brezza qualche foglia muove,
nel diffuso, astrale luminore.

Vicino a grande quercia oscura e forte,
osservo il tutto e medito ed ascolto,
forse gli umani il plenilunio han perso,
e la materna terra, groviglio di radici,
sorgente di nuova vita e di speranza.

Per Giuseppe la sua terra, e con essa la natura, esprimeva tanto la semplicità delle piccole cose, degli affetti domestici, dei buoni sentimenti familiari sempre in procinto di svanire nel nulla, quanto la forza occulta del divino, della grandiosità dell’universo. Credo che questa semplice lirica, composta poco prima di morire, rifletta tale concezione del mondo e del genere umano. Si avverte in essa il passo della vita, la timida presenza degli animali e degli uomini, ma anche il solenne silenzio della divinità. Giuseppe aveva del divino un’idea controversa: era una forza misteriosa ed indefinita, ma anche rassicurante entità familiare, legata ai valori della tradizione cristiana e in particolar modo alla memoria. Tuttavia, nonostante la sottile vena di pessimismo presente negli ultimi versi, il messaggio rimane, come sempre, decisamente positivo, con una grande fiducia nell’umanità e nella continuazione della vita.

Ana Maria Vignolo, vedova di Giuseppe Bartolucci