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Parco del Conero



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  Notiziario Ufficiale del Parco del Conero
Anno XI - Numero 1 - Marzo 2005

Quel maledetto cunicolo nelle viscere del Monte Conero

Romanzo a puntate di Aldo Forlani

Immediatamente dopo, dalla scuola escono i loro insegnanti insieme con Simone, il quale fotografa il folto gruppo dopo aver dato delle disposizioni.
Scattata la foto, saluta tutti, e tutti, agitando le loro mani e chiamandolo per nome, rispondono al saluto; quindi esce e se ne va.
Uscendo mi passa vicino e mi dice: "Come è andato l'appuntamento amoroso?" Ed aggiunge: "In questo paese è meglio non pensare a certe cose anche perché l'igiene è molto, ma molto carente".
Mi lascia di stucco. Perché lui, appena arrivato aveva già fotografato quella scuola di alta montagna, come cavolo aveva fatto a saperne l'esistenza, come c'era arrivato prima di me e perché mi ha parlato in quel modo?
Capii che era sì un tipo invadente, ma certamente non stupido, e andava preso come tale.
La sera a cena ritrovo Simone seduto ad un tavolo in compagnia di un fotoreporter romano: un giornalista che era in Afghanistan il 27 dicembre del 1979, quando l'Unione Sovietica aveva mandato un contingente dell'esercito a Kabul, con il distaccamento speciale Alpha, che occupava il palazzo presidenziale per giustiziare Amin e installare al suo posto Babrak Karmal, un filo sovietico.
Mi siedo ad un tavolo vicino al loro, ma non mi degnano di uno sguardo, però riesco a sentire gli argomenti della loro discussione.
Parlano di Quanat. Simone chiede al suo commensale se, in quel paese, ha mai sentito parlare di quei cunicoli che servivano per l'approvvigionamento idrico di quelle aride zone.
Lui ascolta interessato, ma non li ha mai visitati, però sa che la resistenza afgana si è servita di quei cunicoli per attraversare indisturbata le zone di guerra, per sorprendere l'invasore sovietico alle spalle.
Ad un certo punto cerco di intromettermi nel loro discorso e chiedo: "Simone ma cosa sono i Quanat?"
Sorridendo Simone mi invita al loro tavolo e mi presenta al giornalista.
In quel momento ebbi la certezza di avere un brutto carattere, perché ero sempre prevenuto nei confronti del prossimo: ero arrivato al villaggio prima di Simone e non avevo ancora comunicato con nessuno, mentre lui sembrava destare sempre l'interesse di tutti e in molti lo salutavano come un vecchio amico.
Poi come un maestro in cattedra inizia il suo racconto partendo da dove l'aveva lasciato durante il nostro primo incontro.
Simone racconta che i cunicoli del Monte Conero, scavati in epoca imprecisata, per le loro dimensioni e per la loro forma, ricordano i Quanat o Kanat, un sistema di approvvigionamento idrico che si è sviluppato nelle regioni aride del Mondo.
Lo scopo dei Quanat era, e lo è ancora oggi, quello di portare l'acqua in superficie da poter poi utilizzare nell'irrigazione delle zone agricole, e non solo. I trafori furono appositamente scavati in orizzontale, ma con una lieve pendenza per permettere all'acqua di scorrere naturalmente.
La maggior parte dei Quanat è stata ritrovata nell'Iran centrale, ma tuttavia ci sono Quanat anche in Cina occidentale, in Afghanistan, nel continente nord africano, dalla Libia all'Algeria, e in Marocco; inoltre durante l'età romana il sistema dei Quanat venne introdotto anche in Egitto e in Siria.
Del Monte Conero l'esempio più conosciuto di cunicolo e di condotta simile ai Quanat è il "Buco del Diavolo" o "Buco della Paura", situato tra il Poggio e Camerano, un inquietante cammino sotterraneo che da sempre ha alimentato tante leggende e altrettanti timori, perché i cunicoli rappresentano uno dei misteri più affascinanti del luogo Conero.
Scavati dall'uomo in epoca imprecisata, ma indubbiamente molto antica, si diramano come un lunghissimo labirinto.
Questa enigmatica via sotterranea potrebbe essere un'opera militare, o piuttosto una condotta per l'acqua, ipotesi quest'ultima forse più credibile.
Il Buco del Diavolo ancora oggi suscita prevenzioni superstiziose nella gente del luogo: una tradizione narra che, percorrendolo interamente, si arriverebbe in una grande stanza dove al centro è posta una gabbia in ferro in cui vi è rinchiusa una chioccia d'oro con 12 pulcini, anch'essi d'oro, che pigolano con grande frastuono; chi fosse tanto fortunato da riuscire ad impadronirsi di simili gioielli diventerebbe ricchissimo.
Leggende a parte, seguendo il ramo sinistro del Buco del Diavolo (non quello destro, che si interrompe quasi immediatamente, ma che nell'antichità certamente alimentava d'acqua di sorgente Humana, l'attuale Numana), nonostante sia interrotto da frequenti frane, si arriva ad un ennesimo pozzo d'aerazione, largo circa un metro, con il fondo pieno di acqua putrida, dove il cunicolo si interrompe definitivamente.
Ma ci troviamo nella "Contrada del fosso della Tomba", di fatto sotto al cimitero del Poggio, dalla parte opposta del Fosso Boranico, quel fossato da dove inizia la biforcazione del Buco del Diavolo. Nel Fosso della Tomba c'è un cunicolo principale lungo 20 metri con due sale laterali: la prima si trova dopo 11 metri di percorrenza, la seconda poco più avanti, è praticamente irraggiungibile se non strisciando lungo il percorso. Questi cunicoli fanno supporre che l'acqua era convogliata in direzione Nord-Est, dove, nel mezzo di una folta vegetazione, dovrebbe trovarsi il proseguimento del cunicolo, perché in questa zona molti sono gli ipogei che si diramano da una parte e dall'altra, ed è probabile che queste vie sotterranee nell'antichità alimentassero anche il vecchio acquedotto di Santa Margherita, situato nei pressi di Pietralacroce, per poi distribuire l'acqua ai vari cunicoli sottostanti al Viale della Vittoria di Ancona.
L'attuale Viale della Vittoria nell'antichità non era altro che la Piana degli Orti o Valle della Pennocchiara, in cui scorreva l'omonimo fosso che raccoglieva le acque provenienti dalle alture laterali circostanti, per poi convogliarle nelle cisterne delle attuali Via Trento e Piazza Stamira.
Ma, all'inizio del Viale della Vittoria, nei pressi dell'area del Passetto, il percorso ipogeo veniva alimentato dall'acqua di un cunicolo di cui si è persa traccia, ma sicuramente proveniente da un pozzo ancora oggi visibile nella parte bassa di via Santa Margherita; l'acqua poi proseguiva (e ancora oggi prosegue) il suo cammino lungo il Viale della Vittoria, deviando all'altezza di Piazza Diaz per confluire prima nella cisterna di Via Trento (una grande cisterna punto di arrivo e di partenza di altri numerosi cunicoli) poi in Piazza Cavour, dove, ad un certo punto, si divide in due rami.
Un ramo del cunicolo alimentava la Fonte del Calamo (le attuali 13 Cannelle), mentre l'altro ramo alimenta le grandi cisterne situate sotto Piazza Stamira.
Da Piazza Stamira riparte un altro cunicolo che un tempo alimentava il grande pozzo e il successivo cunicolo situato sotto Corso Mazzini; questo prima dell'alluvione del 1958, perché successivamente la costruzione del grande collettore ha interrotto non solo il suo percorso ma anche quello di altri cunicoli sotterranei.
Da questi punti nevralgici il cammino dell'acqua prosegue in direzione del porto: la prima condotta lungo Corso Mazzini dove un lungo cunicolo percorre tutto il corso nella parte verso mare transitando di fianco al Teatro delle Muse (in questo punto non è praticabile perché il cunicolo si incrocia con il grande collettore) e prosegue poi in direzione di Via della Loggia, di fatto verso il Porto, dove un tempo alimentava le vecchie fonti.
La seconda condotta proviene dalle cisterne delle 13 Cannelle, che distribuiva l'acqua al Fontanone di Piazza del Plebiscito tramite delle cisterne situate sul retro della fontana, per poi proseguire ed alimentarne una più piccola situata sotto il Palazzo della Prefettura da dove l'acqua proseguiva il suo cammino forse in direzione di Via Bernabei e, probabilmente, anche fino al Porto Dorico.
La terza condotta proveniva dalla Fonte del Filello, comunemente chiamata dagli anconetani "la Cisterna", la quale alimentava un'opera idraulica antica (le sue vestigia sono oggi visibili sotto all'Istituto Nautico di via Vanvitelli) di origine romana che riforniva l'acqua al porto Traianeo da dove partivano le navi per l'Oriente.
Considerando quanto fin'ora descritto sulla rete di cunicoli che percorrono le "viscere" della città di Ancona, si può supporre con molta probabilità che un tempo l'acqua di sorgente proveniente dal Conero alimentasse anche le vecchie fonti del porto vecchio e di quello nuovo.
A questo punto Simone termina il suo racconto e ordina da mangiare; il giornalista romano, di cui non ricordo il nome, ed io facciamo lo stesso, poi Simone aggiunge:
"Certo che parlare del Conero in Nepal è come bestemmiare in chiesa durante la messa, ma ci è servito per trascorrere un po' di tempo insieme". Concordiamo con lui e restiamo a parlare fino a tarda ora.
Il giorno successivo Simone, il giornalista ed io ci organizziamo per scendere fino a Pokhara con un trekking: un percorso di circa 8 ore.
Giunti a Pokhara, ci salutiamo scambiandoci i soliti indirizzi con la solenne promessa di risentirci in Italia.


Seconda parte
Ritrovo Simone

Da Pokhara torno a Katmandu e proseguo per altri dieci giorni le mie ricerche. Poi, dopo uno scalo a Dacca nel Bangladesh, faccio rientro in Italia.
La mia vita in Italia prosegue come sempre, due mesi a Milano, poi via in qualche angolo remoto del Mondo; d'altronde è il mio lavoro e non so fare altro.
Ma quel viaggio in Nepal e l'incontro con Simone mi hanno lasciato qualcosa dentro che non so ben definire: per esempio ogni volta che intravedo un cunicolo o una grotta mi vengono in mente i suoi racconti sui Quanat e non riesco a fare a meno di metterci il naso dentro, anche per pochi minuti.
Poi gli anni passano e tutto si dimentica, tanto più le persone incontrate durante i viaggi: non mi è mai successo di aver scritto o telefonato a qualcuno dei miei compagni d'avventura.
Poi il sabato pomeriggio di una calda estate del 1998, a casa, in attesa di una telefonata di lavoro, guardo un interessantissimo programma televisivo sulle realtà paesaggistiche marine italiane. Subito dopo la sigla iniziale vedo la conduttrice televisiva che parla con un uomo sopra ad uno scoglio in mezzo al mare; guardo con attenzione quell'uomo con la macchina fotografica al collo perché mi sembra di conoscerlo e quando sento il suo nome non credo ai miei occhi: è Simone.
Esclamo: "Ma tu guarda questo! È sempre al centro dell'attenzione e compare anche su una trasmissione di questo calibro".
Lo vedo ingrassato, ma è sempre lui e quando parla è più attento a quello che dice. Ma allora è vero che è un esperto del Monte Conero!
Seguo tutta la puntata, poi spengo la televisione e inizio a cercare il suo indirizzo. Niente da fare non lo trovo; vorrei contattarlo, ma non ho ancora le idee chiare del perché.
Il mio lavoro non mi ha mai consentito di stringere delle amicizie profonde e diciamo pure che vivo pochi mesi durante l'anno nella mia città, che ho poche persone a cui rivolgermi e fremo sempre per andarmene via e partire, questo forse perché inconsciamente cerco di sfuggire dai fantasmi che mi sono creato intorno per la mia incapacità di comunicare disinteressatamene se non per motivi di lavoro.
Così mi viene in mente quella notte trascorsa in quel villaggio nepalese e i racconti di quell'uomo, e allora decido di cercarlo.
Niente di più facile: telefono e chiedo il suo numero telefonico di Ancona e compongo il numero.
Mi risponde un messaggio della segreteria telefonica: lascio i miei dati e aspetto che Simone mi richiami. Per oltre quindici giorni non ricevo risposta e, quando ormai non ci spero e quasi non ci penso più, un giorno squilla il telefono: è lui, che tornato dalle vacanze mi richiama.
"Ciao, mi dice, come stai?"
"Bene, gli dico, mi sono ricordato di te perché ti ho visto in televisione".
Lui mi risponde: "Sì sapevo che il servizio doveva essere trasmesso un sabato, ma poiché non sapevo quale ed ero in vacanza, ho chiesto a mio figlio di registrare la trasmissione, così mi sono visto anch'io".
Poi aggiunge: "Ma cosa fai a Milano il 20 di Luglio, smetti di lavorare e vieni da noi, così ti faccio conoscere il Conero".
Gli rispondo: "Vorrei, ma forse dovrei avere un altro incarico e..."
Mi interrompe e mi dice: "Guarda che i soldi non sono tutto nella vita, se vuoi potrai fare una "vacanza di lavoro", cioè divertirti e, probabilmente nello stesso tempo, anche guadagnare qualcosa, considerando i frequenti contatti di lavoro che hai con le Agenzie milanesi".
Ci penso un po' e gli chiedo: "Ma tua moglie non si arrabbia che mi ospiti a casa?"
Simone mi risponde: "Mica ti fermerai tre mesi? Quanto tempo pensi di rimanere?"
Gli rispondo: "Al massimo una settimana, poi devo assolutamente rientrare".
Ci accordiamo così per il lunedì seguente e, dopo aver preparato un minimo di bagaglio, lunedì mattina, di buon'ora, parto dalla Stazione Centrale di Milano in direzione di Ancona.
Durante il percorso in treno guardo a malincuore quella ferrovia che costeggia l'Adriatico transitando tra le case e, a pochi chilometri da Ancona addirittura in mezzo ad una raffineria. Così arrivo in stazione, scendo e mi reco al luogo dell'appuntamento (cioè vicino all'edicola dei giornali), dove vedo Simone; mi avvicino, ma lui non mi vede, e allora mi metto di fronte a lui e gli dico: "Ciao come stai?"
"Bene, mi risponde, sono felice di vederti, ti trovo bene. Vedi la forza della televisione, che ti fa ritrovare le vecchie conoscenze come in quelle squallide trasmissioni dove si ritrovano parenti e amici che non si vedono da una vita! Ma ora andiamo che l'auto è parcheggiata male, perché in questa stazione è praticamente impossibile trovare un posto".
Mi accompagna a casa sua, situata ai bordi della città e mi presenta alla moglie.
Rita, la moglie di Simone, mi accoglie senza problemi, mi presento e le chiedo di scusarmi per il disturbo.
Lei, sorridendo, mi dice: "Nessun disturbo, l'importante è che si adatti nella nostra casa, dal momento che non è grande".
Le rispondo: "Signora, cercherò di recare il minor fastidio possibile, suo marito ed io andremo a visitare posti non proprio comodi, perciò staremo via delle intere giornate, così non mi vedrà tanto spesso a casa sua".
Lei mi risponde: "Tanto per cominciare il "lei" non è d'obbligo, e poi in quei posti che tu definisci "non proprio comodi", io ci sono sempre andata per aiutare Simone, che essendo un po' impulsivo va guidato e consigliato".
Capisco che Rita è in gamba e poco dopo mi trovo a mio agio. La sera, durante una cena modesta, ma buona, conversiamo a lungo, ed il mattino successivo mi portano a visitare Portonovo, una splendida baia con una sua di storia, posizionata a ridosso del monte Conero.
Io che ho visto tanti posti nel Mondo, posso affermare che Portonovo è uno dei luoghi più incantevoli che ho trovato, senza poi parlare della magica chiesa di Santa Maria, della Torre di guardia, e dei suoi laghetti.
Poi Simone, indicandomi il monte, mi fa notare la grande spaccatura causata da una grande frana che in epoca remota si era staccata dal monte precipitando in mare: da quella frana e da una conseguente attività antropica, si era formata appunto quella baia che oggi è chiamata Portonovo.
Restiamo a pranzo nella baia e nel pomeriggio mi portano a Sirolo: la perla del Conero.
Posizionata a 125 metri sul livello del mare, Sirolo è uno dei centri della costa del Conero più frequentati, che vede tra i suoi ospiti un turismo rispettoso del fragile ambiente circostante e delle sue spiagge pregevolissime.
Visitiamo la cittadina a piedi proseguendo lungo via Giulietti fino ad arrivare in piazza Vittorio Veneto e Piazzale Marino: la piazza è un teatro di manifestazioni estive, luogo di ritrovo e punto panoramico sulle spiagge e sul monte Conero.
Proseguiamo poi lungo via Italia e, poco dopo aver oltrepassato l'arco gotico dell'XI sec., ci troviamo a Piazza Franco Enriquez, dove c'è il teatro Cortesi - vanto della cittadina - realizzato dall'architetto Buffoni nel 1873. A lato del teatro si erge il Torrione (1050), le vestigia dell'antico castello scampato ai sismi e alle frane del passato.
Ma quello che mi colpisce di più di Sirolo sono le sue strette viuzze che si incrociano parallele tra le abitazioni in pietra del Conero, ancora abitate da molti sirolesi.
Simone e Rita mi fanno da ciceroni, mi spiegano tutto quello che sanno e, passeggiando con molta calma, arriviamo a Numana in piazza del Santuario.
Dopo una breve visita alla stupenda cittadina, ci rechiamo in via Morelli, per osservare l'antica Fonte del Crocifisso, punto di arrivo di un acquedotto romano.
Ad un certo punto Simone mi dice:
"Vedi Mario, in corrispondenza di questa fonte inizia un lungo cunicolo sotterraneo che, interrotto ogni tanto da pozzi d'aerazione, arriva fino a Capo d'Acqua di Sirolo nei pressi di Borgo San Lorenzo, questo è uno dei tracciati più "semplici" da percorrere perché il cunicolo nel passato veniva frequentemente ripulito, oggi è inattivo ma al suo interno ci passa una tubatura dell'acqua".
Gli chiedo: "Ma tu lo hai percorso?"
Mi rispose: "Sì alcuni anni or sono e per un lungo tratto, ma è alquanto faticoso a causa delle sue ristrette dimensioni, e poi, sai, da qualche anno ho un po' di pancia e non posso resistere a lungo in certe posizioni".
Per alcuni giorni visitiamo tutte le zone del Conero, da Marcelli di Numana a Camerano, compreso un immancabile giro a piedi sul monte, percorrendo il sentiero n. 1 dal Poggio fino a Sirolo, con alcune deviazioni per le Incisioni rupestri, le grotte romane e la Chiesa di San Pietro al Conero, e l'ex Convento dei Camaldolesi.
Il penultimo giorno della mia permanenza Simone mi accompagna in un ampio pianoro panoramico, nei pressi del Poggio.
Da quel punto percorriamo la strada in direzione di Camerano e arriviamo a ridosso della Gradina, una collina che si presenta con la cima spianata, su cui si eleva un altro ripiano minore.
Questa strana forma è dovuta all'opera dell'uomo che, durante il Neolitico (5000 anni fa), fece della Gradina un luogo di residenza e di culto.
Sulla destra, lungo una strada sterrata, chiusa da una sbarra che impedisce l'accesso alle auto, sempre a piedi, lungo una discesa arriviamo nei pressi di una vecchia costruzione in rovina. Simone mi racconta che dalla casa, un tempo non troppo lontano, un sentiero comunicava fino all'apertura del suggestivo cunicolo chiamato Buco del Diavolo o Buco della Paura.
Io gli dico: "Mi ricordo dei tuoi racconti in Nepal, ma non ci possiamo andare a vederlo questo ‘buco'?"
Lui mi risponde: "Possiamo tornarci oggi nel pomeriggio, ma dobbiamo quanto meno prendere una torcia e una corda di sicurezza, dal momento che da questo punto, a causa della fitta vegetazione cresciuta, è quasi impossibile trovare il Buco del Diavolo".
Poi Simone aggiunge: "Possiamo chiedere il permesso al proprietario del terreno per passare vicino alla sua abitazione e scendere con la corda lungo un terrapieno".
Gli dico che per me va bene. Torniamo a casa per prendere una torcia e la corda e, anziché aspettare il pomeriggio, ritorniamo subito sul luogo.
Chiediamo il permesso al proprietario del terreno, il quale, non proprio contento, ci dice: "Fate un po' quello che volete...".
Ci organizziamo e, poco dopo, ci trovammo al cospetto del Buco del Diavolo.
L'aria in quel luogo è umida, il sole non lo illumina a causa della folta vegetazione, mi sento molto emozionato, prendo la mia macchina fotografica e inizio a fare foto.
Poi entriamo, Simone avanti e io dietro, ma non riesco a vedere niente perché Simone mi copre la visuale, così gli chiedo di proseguire alcuni metri più avanti per avere una maggior visibilità; dopo pochi minuti arriviamo ad un bivio e ci fermiamo tutti e due a sedere in quel punto abbastanza largo.
L'aria ha un cattivo odore e il suolo è umido, Simone mi indica la parte destra, interrotta dopo pochi metri a causa di una vecchia frana, mentre quella di sinistra procede per un lungo tratto, ma egualmente si interrompe.
Proseguiamo per alcuni metri e dopo un po' chiedo a Simone: "E se adesso troviamo la chioccia d'oro con i pulcini cosa facciamo?"
Lui mi risponde: "Guarda che nel passato tantissimi hanno percorso questo cunicolo e se c'era la chioccia con i pulcini (per giunta d'oro), considerando l'avidità di molti, l'avranno certo presa e fusa in lingotti, perciò non ti preoccupare".

Alla prima angolazione del percorso ci fermiamo per tornare indietro e questa volta sono io a proseguire avanti, ed è molto meglio, perché, stando dietro, ti senti un po' soffocare.
Usciti, facciamo il punto della situazione, risaliamo e torniamo nei pressi della casa in rovina vista in precedenza; scendiamo lungo la strada sterrata, voltiamo sulla destra e proseguiamo sempre in discesa: ad un certo punto, lasciata la strada, ci arranchiamo sulla rupe, inoltrandoci.
Dopo pochi metri Simone mi indica una grossa lamiera avvolta dalla vegetazione, che copre qualcosa, la solleviamo e scopriamo un profondo pozzo largo poco più di un metro.
Simone in quel momento mi dice: "Questo è un pozzo d'aerazione dei cunicoli ed é attraversato dal cunicolo che stavamo percorrendo precedentemente, ma non prosegue, perché la parte che va in direzione del Fosso della Tomba è interrotta da una vecchia frana".
Allora gli domando: "Dove si trova il Fosso della Tomba?"
Lui mi risponde: "Vieni". Proseguiamo e, dopo circa 30 minuti di cammino, arriviamo in quel luogo definito Fosso della Tomba, e situato di fatto sotto al cimitero del Poggio, dalla parte opposta del Fosso Boranico, quel fossato da dove inizia la biforcazione del Buco del Diavolo.
Simone a quel punto mi racconta: "Nel Fosso della Tomba c'è un cunicolo principale lungo 20 metri con due sale laterali: la prima si trova dopo 11 metri di percorrenza, la seconda, poco più avanti, è praticamente irraggiungibile se non strisciando lungo il percorso.
A circa 50 metri di distanza dal principale cunicolo del Fosso della Tomba, ne è stato trovato un altro profondo 5 metri, tutto in discesa, interrotto forse naturalmente.
Questi ritrovamenti fanno supporre che l'acqua era convogliata in direzione Nord - Est, dove, nel mezzo di una folta vegetazione, dovrebbe trovarsi il proseguimento del cunicolo, perché in questa zona - devi sapere - molti sono gli ipogei che si diramano da una parte e dall'altra, ed è probabile che queste vie sotterranee nell'antichità alimentassero anche il vecchio acquedotto di Santa Margherita, situato nei pressi di Pietralacroce, per poi distribuire l'acqua ai vari cunicoli sotto al Viale della Vittoria di Ancona".
Sono completamente gasato, scatto foto a decine e gli chiedo: "Scendiamo?"
Simone mi risponde: "Certo!"
Giunti nel fosso, risaliamo un costone e scendiamo dalla parte opposta, dove troviamo l'entrata del cunicolo; strisciando lungo il percorso, percorrendolo interamente, visitiamo poi le due stanze laterali e ad un certo punto siamo costretti a tornare indietro perché il cunicolo è praticamente interrato, anche se in fondo si scorge una piccola luce.
Torniamo così da dove siamo venuti e quando ci troviamo nel fondo del fossato, su un lato del fosso in mezzo alla vegetazione scorgiamo della terra color marrone chiaro, ammucchiata sul dosso.
Simone esclama: "Chi ha scavato in quel lato?"
Ci avviciniamo per vedere e notiamo che dal piccolo buco esce una forte corrente d'aria dal forte odore di muffa.
Il buco è stato scavato, forse da un tasso, perché notiamo delle impronte sulla terra mossa e ci chiediamo se il tasso sia entrato oppure uscito da lì.
Cominciamo ad allargare quel foro con le mani e con degli arbusti, e più lo allarghiamo e più la forza dell'aria diminuisce; dopo circa 20 minuti di scavo scopriamo la volta di un cunicolo.
La direzione del cunicolo è situata alla stessa altezza di quello precedentemente visitato: la fortuna ci ha assistito; quello è il cunicolo che un tempo proseguiva verso nord-est in direzione di Ancona e, di fatto, il proseguimento del cunicolo sinistro del Buco del Diavolo, quello ostruito sotto al pozzo coperto dalla lamiera.
Pensiamo di aver trovato la prova delle deduzioni di Simone che, per l'eccitazione, non stava più nella pelle.
Ad un certo punto ci guardiamo e, senza dirci una parola, uno alla volta, a fatica, entriamo nel cunicolo.
Percorriamo il tratto e, dopo aver superato una prima angolazione sulla sinistra, notiamo lontana una piccola luce e, strisciando faticosamente con le torce elettriche quasi scariche, ci ritroviamo sul fondo di un pozzo.
Siamo molto affaticati; Simone respira con difficoltà per il gran caldo: gli faccio una foto (ancora oggi a distanza di anni, sorrido e mi commuovo ricordando quel viso spiritato e sudato).
Notiamo subito una cosa strana: il pozzo è completamente asciutto, tutto è secco e da una piccola fessura su un lato del pozzo esce una corrente d'aria che procura un debole sibilo; da quella fessura notiamo facilmente che dell'acqua, probabilmente un tempo depositata sul fondo, era filtrata di li.
È chiaro che dietro a quella fessura c'è il vuoto.
Decidiamo così di allargarla. Tutto è come un sogno, è come se qualcuno ci stesse indicando un percorso da seguire: affannati iniziamo a scavare fino a trovare quello che a prima vista sembra un tunnel, (ma più grande di quello che avevamo percorso fino al pozzo) che prosegue in direzione est.
Un tunnel che è rimasto segreto per chissà quanto tempo....
Emozionati per la scoperta decidiamo di rimandare la visita e, con le ultime forze rimaste, risaliamo il pozzo servendoci degli appositi "gradini" laterali che nell'antichità servivano agli scavatori per scaricare all'esterno la terra recuperata durante lo scavo. Usciti, ci troviamo nel bel mezzo di un campo agricolo, situato a metà strada tra il cunicolo del Fosso della Tomba e il pozzo terminale del Buco del Diavolo.
Siamo completamente imbrattati di polvere mista a sudore e la mia macchina fotografica è ridotta veramente male, ma siamo soddisfatti di quello che in mezza giornata siamo riusciti a fare.
Tornati a casa la moglie di Simone, appena ci vede, si spaventa. Dopo un buon bagno e una buona cena, ci organizziamo per il futuro, perché la curiosità di sapere dove porta quel tunnel è talmente grande che non ci fa pensare o parlare d'altro.
Il giorno successivo devo rientrare a Milano, perciò decidiamo che sarei ritornato a settembre, accompagnato da un mio amico speleologo, anche lui milanese: Simone mi avrebbe aspettato per inoltrarsi lungo quel cunicolo.
Molto probabilmente con un esperto del settore ci saremmo sentiti più tranquilli, perciò anche più sicuri di farcela.
Il giorno seguente ringrazio Simone e Rita per l'ospitalità ricevuta e riparto per Milano.


Terza parte
L'ispezione

A Milano rimasi pochi giorni, perché ebbi un altro incarico in America latina nel mese di agosto. Tornato i primi giorni di settembre, contattai Franco, un appassionato di speleologia, il quale, dopo avergli raccontato la storia che avevo vissuto mi disse: "Non posso che dire di sì, però le spese del viaggio e di soggiorno ad Ancona le paghi tu".
Accettai ed iniziai ad organizzarmi; nel frattempo contattai Simone chiedendogli di prenotarci un posto tenda in qualche campeggio del Parco del Conero, perché due ospiti a casa sua erano troppi.
E così il 7 settembre del 1998 con l'auto carica di attrezzature per la speleologia e con una tenda da campeggio, Franco ed io di buon mattino, quando tutti ritornavano a casa dalle vacanze, partimmo da Milano diretti ad Ancona.
Arrivammo ad Ancona quasi per l'ora di pranzo e Simone con la moglie ci accolse con calore e con un piatto di spaghetti con le cozze (che loro chiamano "moscioli").