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Parco Naturale del Fiume Sile



L'Area Protetta


Il fiume e il territorio

Il fiume Sile



Il territorio

Anche il Sile ha questa forza.
Fin dai tempi più remoti il clima mite dell'area, la navigabilità delle acque, la vicinanza con il mare, la copiosità di risorgive e la ricchezza boschiva del territorio circostante (il paesaggio, per quanto simile, non era comunque quello attuale) attraggono al Sile popolazioni che si fermano lungo le sue rive. Numerosi reperti di un'importante cultura palafitticola lo testimoniano.

Pur essendo evidenti in tutta l'area i segni del riassetto territoriale dovuto a terribili eventi naturali, alluvioni di tali proporzioni da cancellare per secoli "civiltà e memorie", l'uomo continuò a tornare e a fermarsi lungo quelle sponde, possiamo supporre per la natura davvero particolare delle acque e per le felici coincidenze ambientali che si venivano a ricreare.

Sull'antica pianura alluvionale, una grande "spugna" di ghiaie e argilla sulla quale tuttora "galleggiamo", formatasi 14-17 mila anni fa con il ritiro dei ghiacciai e al cui centro scorre il Sile, si susseguirono i primitivi dell'età della pietra, la civiltà del bronzo e quella del ferro; vennero poi i Romani, i Comuni, la Repubblica Veneta, fino all'era industriale e consumistica dei giorni nostri.


I Fontanazzi del Sile

Fontanassi (questo termine lo scriviamo come più frequentemente si pronuncia: si scrive "fontanazzi", ma la "z", in dialetto trevigiano si legge "s", esse sorda, dimenticandosi di far sentire la doppia), dicevamo fontanassi un po' ovunque, a sud di Casacorba, che, allagando tutt'intorno, rendono la "natura del suolo incerta fra la terra e l'acqua". Il posto, un tempo selvaggio, mantiene una cert'aura di mistero. Sacre agli antichi, le risorgive abbondano di storie paurose e alle leggende pagane si mescolano quelle cristiane. Qui la fantasia popolare fa sprofondare nelle sabbie mobili interi paesi, carri di fieno e, come agli inferi, con carrozza e cavalli, la malvagia padrona delle terre circostanti. Ma per i contadini che si sono succeduti nell'alto Sile, i paleoveneti prima, i veterani delle legioni romane e i servi della gleba poi, fino ai mezzadri di qualche decennio fa, tutta l'area delle risorgive e delle paludi, fin oltre Quinto, resta pur sempre zona di riserva, per la caccia, la pesca, per il foraggio e l'approvvigionamento di legname, da costruzione e per le colture agricole.
Il Fontanasso de la Coa Longa è certamente uno dei superstiti più significativi e tra i più accreditati come sorgente del Sile, anche se tutta l'area è coinvolta nel fenomeno e una prima risorgiva si trova ed è ben visibile nei pressi della "Casa del prete", un po' più a nord, dove è programmato un Centro Parco. L'acqua delle polle sorgive, in parte celate da un folto intrico di piante e rovi, si fa largo tra le erbe palustri formando ben presto un fossatello limpidissimo, con fondo ghiaioso, striato di verdi alghe sinuose. Il Sile appena nato s'allunga e s'allarga nella campagna tra rive frondose e canneti, allagando vecchie cave e formando piccoli stagni ricchi di ninfee. Pochi chilometri e il fiume ha già la portata e l'energia necessarie per far funzionare un mulino.

Paesi e mulini





Mulino
I mulini del Sile, situati lungo tutto il suo corso, ma principalmente tra Quinto e Silea, ne caratterizzano la natura di fiume di risorgiva a regime d'acqua costante, scevro, almeno un tempo, dal pericolo delle piene.

Località "I mulini", via "Molinelle", località "Munaron", via "Munara" sono toponimi che ricorrono lungo il Sile, anche se, per lo più, i nomi dei mulini erano quelli dei loro proprietari: Favaro, Bordignon, Granello, Rachello, Torresan, ma anche mulino "degli Angeli", cioè della congregazione monastica di Santa Maria degli Angeli. Dopo Morgano e Santa Cristina del Tiveron, dove si può sostare ad ammirare la pala dipinta nei primi del '500 da Lorenzo Lotto, giungiamo a Quinto. Qui abitava in villa un altro pittore, vissuto nell'800, che potremmo definire il pittore del Sile, Guglielmo Ciardi. Le sue vedute luminose del fiume con barcaioli, lavandaie, mulini, chiuse, e, oltre le sponde, della campagna assolata, testimoniano la straordinaria industriosità legata al fiume, punto d'incontro tra forme diverse di economia.

A Quinto, località sicuramente rinomata anche per le anguillette fritte, il Sile s'allarga a formare quasi un lago, sorto in seguito alle massicce escavazioni e che adesso misura oltre venti metri di profondità. L'importante sequenza dei mulini che formano il nucleo centrale del paese sta a testimonianza dell'imponente "industria" molitoria del Sile. Va ricordato infatti che Treviso (e dintorni) era soprannominata "il Granaio della Repubblica" perché da qui proveniva gran parte della farina destinata a Venezia.

A Silea, la Chiari & Forti, ex Mulini Toso, oggi grande industria di trasformazione di prodotti agroalimentari, il Porto e il Cimitero dei burchi (ma anche le fornaci di mattoni che troviamo più a valle) parlano di un passato economico glorioso per il fiume.

Da Quinto è abbastanza semplice e piacevole scendere la corrente in barca, o in kayak, fino a Treviso. E' l'unico modo, salvo qualche riva erbosa percorribile a piedi, per conoscere il fiume in questo tratto. Le strade che lo costeggiano ad una certa distanza infatti (meno trafficata quella sulla riva destra) non offrono grandi attrattive, mentre sovente si vedono partire ed atterrare con gran fragore voli charter nel perimetro dell'areoporto di San Giuseppe, tra Quinto e Treviso.

Spesso, dopo il ponte sulla tangenziale sud, capita di vederci venire incontro qualche armo della Canottieri Sile. E' segno che stiamo arrivando in città.


Treviso, tra acqua e storia

Fiume


Fiume

Spontaneamente e gioiosamente, segno e colore, dolcezza e bellezza, e la schietta ospitalità (decine e decine di ristoranti e osterie: ecco la Marca "gioiosa et amorosa"), si fondono rispecchiando la lucentezza, la garrula allegria, la trasparenza delle acque, ma anche la luminosità e la mitezza dell'aria.

Annota il Mazzotti a proposito del clima: "Fra le case della città, di qua dal Ponte di San Martino, il Sile trascina un altro gran fiume: un fiume d'aria che si avverte fresco sostando sui ponti nelle sere d'estate." Vicino a quei ponti, a iniziare da giugno, troviamo le bancarelle di angurie.

Nello splendore dell'Età Comunale, ma anche sotto il dominio della Serenissima e, per certi aspetti, fino all'ultimo dopoguerra, contadini, mugnai, maniscalchi, lavandaie, barcaioli, pescatori, traghettatori, borghesi, commercianti, signori e nobili affollavano armoniosamente le rive del Sile, e quelle dei molti canali di Treviso. I Cagnani, che si dipartono dal Botteniga non appena questi giunge a contatto con la città a Nord, come dita aperte della mano che passano dolcemente tra i capelli dell'amata, attraversano i quartieri con un ritmo irresistibile, comparendo e scomparendo tra le case, facendo ancora oggi di Treviso una delle più importanti città d'acqua d'Europa.

E fuori mura e nelle campagne tutt'intorno, un popolo operoso (lo stesso d'oggi, intendiamoci) "affollava" gli affluenti Limbraga, Storga, Melma, Nerbon, Musestre, i cui tributari minori, fiumiciattoli lunghi a volte solo poche centinaia di metri e dai nomi armoniosi (Rul, Piovensan, Pegorile, Rio delle Fontanelle, Cerca, Mignagola...), hanno a loro volta altri affluenti minori, veri e propri fossetti d'acqua corrente che conducono, lì vicino, ad una polla sorgiva, e tutti insieme venano la pianura, la intridono, la rendono verde, fresca, rigogliosa.

Quel popolo lavorava e viveva grazie alle acque di risorgiva, risorsa impareggiabile, ma non infinita e dunque preziosa al punto da dover essere protetta, regolamentata, diventando fulcro di civiltà. Un tempo.

Adesso queste acque inutili (!) - ma non è forse l'unica risorsa idrica a nostra disposizione? - avendo perso la loro funzione economica (ma non quella d'essere indispensabili alla vita dell'area e di ognuno di noi), queste acque sono trascurate, abbandonate, tombinate, soppresse, buone solo, dove permangono, a portar via lo sporco, perché a questo serve la corrente. Decaduto in pochi decenni il magico, millenario equilibrio tra uomo e fiume, uomo e acqua, l'uno e l'altro (e l'altra) muoiono ogni giorno un po', preparando (se non si ragiona e non si rimedia in tempo) vere e proprie catastrofi.
Che "frescura" per l'anima scoprire che poeti e scrittori per citare Treviso ne ricordano i fiumi, le rogge, i canali.

Il Petrarca si riferisce forse alla "bella contrada di Trevigi" nelle sue "chiare, fresche e dolci acque"; Dante, nel Paradiso la indica semplicemente con "dove Sile e Cagnan s'accompagna"; e Fazio degli Uberti, dice di Treviso "che di chiare fontane tutta ride". In questo secolo Riccardo Bacchelli scrive: "...son le allegre correnti, le vivide chiuse e pescaie; son le rogge e i fossati..."; Diego Valeri: "Il mio grande amore fu la Pescheria (...) con le sue acque di diafana seta (...): isola di fiaba nel cuore della città."; Guido Piovene: "Le acque entrano in Treviso col Sile e con i suoi canali, e vi si specchiano dovunque vecchie case fiorite."; e naturalmente Comisso. Lui, trevisan autentico, a cavallo dell'ultima guerra è tra i grandi interpreti, insieme ad un bel "manipolo" di pittori e scrittori, di una delle più felici stagioni culturali di Treviso, soprannominata per questo, da Dino Buzzati, "la Piccola Atene". Scrive Comisso: "Le anse placide del Sile, così verde nel suo defluire lento, sono coperte da fragili salici piangenti, che si chinano tremuli fino ad accarezzare le acque.

Nel medioevo la città delle giostre amorose era come una grande fiera, con le sue case tutte affrescate di bizzarre tappezzerie variopinte. Treviso non è una città di pietre squadrate, monotona e fredda, ma intrecciata dalla mobile e cangiante filigrana d'acque, con smeraldi interposti dovunque d'alberi e di giardini, convince d'esser piuttosto un parco d'incantesimi."


Camminando sugli argini

Paesaggio

Proseguendo sulla restera, superati i Mulini Mandelli, arriviamo a Silea. Anche qui come a Fiera, sulla riva sinistra, poderosi moli testimoniano di un'ancora recente, importante, portualità del Sile. Sull'altra sponda Sant'Antonino, dove nel secolo scorso i cavatori di ghiaia rinvennero un gran numero di spade dell'età del bronzo, ora visibili al Museo Bailo di Treviso; e, di rimpetto ai moli della Chiari & Forti, l'"isola" di Villapendola, raggiungibile attraverso un ponte pedonale e, più a valle, per mezzo di un ponte sopra un sistema di chiuse vinciane. L'area, oramai protetta e destinata a passeggiate e al tempo libero, s'è formata nella grandissima ansa del Ramo Morto del Sile.

Da Casier, a Casale, fino a Musestre, il Sile si snoda pigramente in un continuo di meandri, slarghi, rami secondari, ex cave che formano laghetti, tra bassi argini erbosi, folti pioppeti, coltivazioni e ville. La barca è certamente il mezzo più adatto per percorrerlo e visitarlo. A Casale, Leo e Brunetto Stefanato, figli di un vecchio barcaiolo che portava i grandi burchi a vela da Treviso, attraverso la laguna, il Delta e il Po fino a Ferrara, Pavia e Milano, da molti anni organizzano, con i loro battelli, escursioni tra Sile e isole della laguna veneta. Ed ha senso, questo viaggio da Treviso a Venezia, proprio perché è lo stesso che facevano i nobili veneziani andando in villa, o "villeggiatura". Nell'area delle sorgenti del Sile, sono almeno due le "case veneziane" da vedere: Villa Corner della Regina a Cavasagra, trasformata in albergo e Villa Marcello a Levada, visibile dall'esterno. In più c'è la Piazza di Badoere, splendido centro-mercato "ante litteram" fatto costruire dal Badoer nel '700.

Tra Silea e le antiche conche di Portegrandi costruite in pietra bianca d'Istria, dove il Sile sfocia in laguna nel suo antico alveo, il Silone, e da dove si diparte il Taglio del Sile in direzione di Jesolo e dell' attuale foce del fiume, di ville sulle sponde (ma anche nell'immediato entroterra, magari affacciate ad affluenti del Sile) ce ne sono davvero molte. Ricordiamo una delle più emblematiche e antiche, la villa che Caterina Cornaro, regina di Cipro, alla fine del '400 fece costruire e regalò alla sua ancella Fiammetta come dono di nozze, Villa Barbaro a Lughignano. Dopo la Torre dei Carraresi, a Casale, lasciata a sinistra la confluenza con il Musestre, detto il fiume "delle lavandaie" perché vi si lavavano i panni della Serenissima, si va, in un ultimo lungo tratto di fiume maturo, tra latifondi di bonifica in piena zona archeologica (non lontano c'è Altino), ad affacciarsi alla gronda lagunare, con in vista, all'orizzonte, Torcello.