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Quaderni del Parco
  Centro Studi Valerio Giacomini sulle Aree Protette

donnola

Conferenza Regionale delle Aree Naturali Protette Toscane

Ruolo della Federparchi e consolidamento delle aree naturali protette
Desidero rivolgere al Ministro Matteoli il saluto più cordiale della Federparchi ed esprimere il mio apprezzamento per la chiarezza del suo intervento. È vero, vi sono frequenti strumentalizzazioni di cui sono vittime in primo luogo i parchi, ma allo stesso tempo, vi è più unità di quanto appaia e vi sono le condizioni per una collaborazione piena tra Ministero, enti parco, regioni, enti locali, associazioni ambientaliste ed imprenditoriali.
Al Presidente Martini, all’Assessore Franci, al presidente della Commissione ambiente Bussolotti, le congratulazioni più vive per la decisione di convocare questa importante incontro.
La Federparchi, l’Associazione unitaria delle aree protette italiane, si attende molto dai lavori di questa Conferenza e da una Regione che ha saputo nei decenni costruire un sistema ricco, ben strutturato, spesso anticipatore di scelte generali. I parchi regionali toscani più anziani – quello della Maremma del ’75 e quello di Migliarino del ’79 – conserveranno il merito storico, insieme a pochi altri lombardi e piemontesi, di aver aperto una stagione feconda, dimostrando la praticabilità di un percorso profondamente innovativo nel campo della gestione ambientale, proiettando oltre i propri confini l’idea di un governo complessivo del territorio, svolto su una scala sovracomunale e fondato sulla protezione delle risorse naturali.
L’esperienza toscana è stata fondamentale per l’affermarsi di una visione moderna dei parchi, che li considera ambiti nei quali le attività di tutela della natura sono destinate ad essere durature – e dunque possibili – solo in quanto collegate alla difesa delle complesse relazioni tra l’uomo e il suo ambiente. Tutto ciò è stato possibile grazie all’impegno di amministratori e dirigenti qualificati e appassionati, al contributo culturale importante che essi hanno dato, per contrastare una visione, allora prevalente, che tendeva a negare in linea di principio il ruolo democratico delle amministrazioni locali anche in tema ambientale e la partecipazione delle comunità locali alla realizzazione di uno sviluppo economico fondato sulla valorizzazione del patrimonio naturale, culturale e sociale.
I colleghi e gli amici mi raccontano delle accesissime discussioni, al limite del litigio, durante un seminario organizzato nel 1988 all’Elba dal Cedip, nel quale rappresentanti dell’IUCN mostravano molta resistenza a considerare i nostri parchi come inseribili in qualcuna, fosse anche l’ultima, delle loro categorie.
Grazie a quelle battaglie oggi le relazioni con l’IUCN sono ottime, ed è questa benemerita organizzazione mondiale che sta modificando i propri criteri di classificazione, così come è il NPS statunitense che viene a studiare l’esperienza italiana, considerandola molto avanzata e utile al ripensamento profondo che è in corso sul futuro dei parchi americani.
Il ricordo di queste vicende mi è utile per sottolineare che la necessità del superamento di una concezione “museale” dei parchi, sollevata a Torino, in occasione della Seconda Conferenza, e recentemente sollecitata dal Ministro Matteoli, rappresenta, da anni, il filo conduttore della elaborazione e dell’attività di Federparchi, che ha fatto tesoro delle riflessioni, per molti versi anticipatrici, di Valerio Giacomini che in Uomini e Parchi, molti anni or sono, già indicava che “il tema della conservazione non può essere considerato in modo restrittivo nelle pure necessità della tutela naturalistica, ma deve dilatarsi…alle dimensioni globali del territorio e a quelle interdisciplinari della pianificazione e dell’uso della risorsa ambientale”.
In Italia e nel dibattito internazionale molto acceso e ricco, nel confronto tra differenti orientamenti e sensibilità, la Federparchi, sin dalla sua istituzione, ha contrastato l’idea del parco-isola e sostenuto la necessità della rete, della collaborazione, del rapporto interistituzionale, della partecipazione delle comunità locali.
Di questa vicenda, per certi versi esaltante, sono stati protagonisti essenziali i parchi toscani. Non è un caso che l’idea associativa sia maturata qui e abbia portato negli anni 80, proprio a Firenze, alla nascita della nostra Federazione, allora con il nome di Coordinamento, con i due parchi storici toscani tra i soci fondatori e con la prima sede a Villa Demidoff di Pratolino.

“Ruolo della Federparchi e consolidamento delle aree naturali protette” è il titolo che gli organizzatori hanno voluto assegnare a questo intervento. Ho già implicitamente indicato gli elementi che caratterizzano il nostro ruolo: coordinamento, confronto culturale, collegamenti internazionali, elaborazione originale e innovativa. E un po’ di azione sindacale, di cui c’è sempre necessità anche per degli enti pubblici come i Parchi.
Nel corso degli anni il lavoro per un coordinamento tra le attività dei parchi ci ha permesso di individuare la necessità di costruire un vero e proprio sistema di aree protette, espressione di una politica unitaria e coordinata a livello nazionale e il confronto sempre più intenso ci ha portato a condividere il tema del rapporto virtuoso tra conservazione e sviluppo e a porre l’attenzione ai contenuti gestionali, alla difesa degli elementi di autonomia degli enti parco, alla valorizzazione della loro soggettività istituzionale.
Le relazioni internazionali si sono evolute, hanno consentito di mettere a fuoco le necessità di una politica sovranazionale per le aree protette e di elaborare alcune prime indicazioni per una azione della stessa Unione Europea nei confronti dei parchi, che presenteremo nel corso di un Convegno internazionale venerdì prossimo nel Parco delle Cinque Terre. Il primo appuntamento organizzato su questa tema, nel vecchio continente.
L’originale esperienza italiana ci ha portato alla definizione di un concetto che a nostro avviso costituisce uno dei maggiori contributi venuti al Paese dalla istituzione dei Parchi: un contributo di vera modernità, che pone al centro dell’attenzione non il singolo soggetto istituzionale, ma il territorio nella sua totalità e complessità. Mi riferisco a quelle che ormai tutti chiamano “politiche di sistema”. Ben prima che si affermasse l’idea delle “reti ecologiche” come nuova frontiera della protezione della biodiversità i Parchi italiani, attraverso Federparchi, avevano preso coscienza della necessità di una strategia ancora più ampia, che tenesse conto della intera realtà geografica, culturale, sociale, persino istituzionale, dei grandi ambiti geografici del nostro Paese: le Alpi, l’Appennino, il Bacino del Po, le Coste e le Isole.
Questo è stato il nostro ruolo e vogliamo pensare che esso sia stato utile per raggiungere i risultati che l’Italia nel suo complesso può vantare. Una posizione che è oggi di preminenza, in Europa, in quanto a numero di aree protette, a quantità e qualità delle attività che esse svolgono, a ricchezza di esperienze di conservazione e di sviluppo sostenibile.
Si tratta di un valore ormai riconosciuto che è possibile riscontrare anche dalle visite che le Commissioni Ambiente dei due rami del Parlamento, nell’ambito di due diverse indagini conoscitive, stanno facendo nei parchi nazionali. Da parte dei parlamentari l’apprezzamento per ciò che incontrano è generale, cancella e supera largamente eventuali prevenzioni e luoghi comuni. Lo stesso Ministro Matteoli, nelle sue visite ad alcuni parchi – e ci auguriamo che possa compierne molte altre – ha espresso giudizi positivi su ciò che ha visto. Vi sono naturalmente limiti e ritardi, ma nel complesso, i risultati conseguiti in pochi anni riteniamo siano apprezzabili.
C’è un’altra funzione che l’associazione ha svolto, svolge e dovrà intensificare sempre più: l’informazione e la promozione. Mi piace sottolinearlo perché il coinvolgimento del pubblico, la presenza alle rassegne espositive principali, l’organizzazione di eventi dal notevole impatto comunicativo hanno contribuito a far crescere conoscenza e cultura ambientale, a rafforzare l’identificazione degli italiani in un grande progetto che interessa più del 10% del territorio nazionale, che coinvolge quasi un terzo dei comuni italiani e che si presenta come il più importante e coinvolgente programma di sviluppo sostenibile realizzato nel nostro Paese. La recente edizione della “Giornata Europea dei Parchi”, con oltre un milione di persone coinvolte nelle centinaia di piccole e grandi iniziative e nelle città toccate da “Parchinpiazza”, ha testimoniato l’esistenza di una forte domanda di natura e qualità della vita da parte dei cittadini italiani; di un consenso diffuso nei confronti dei parchi, certo spesso istintivo, ma comunque importante e positivo, che non può più essere sottovalutato dalle forze politiche, anche in termini di consenso elettorale.
Anche questo costituisce, del resto, un elemento di forza dei parchi. Un consolidamento che è notevole, oltre che nella percezione popolare, anche sul piano istituzionale e su quello operativo. Vi hanno contribuito gli enti locali, la maggior parte delle Regioni, e la Toscana tra esse, e vi ha contribuito lo Stato, con una buona legge quadro, che ha consentito di recuperare storici ritardi.
Ora si apre una fase nuova. Siamo ad un passaggio cruciale, e come sempre ci può essere un arretramento, un restringimento della prospettiva, oppure uno sviluppo positivo e una nuova fase espansiva.
Sul piano legislativo, come è noto, il Governo si appresta a riscrivere, sulla base di un’ampia delega già concessa al Senato, l’intera normativa in materia ambientale e quindi anche quella sui parchi. È necessaria, in questa fase, una partecipazione attiva del sistema istituzionale nel suo insieme. Una partecipazione, per intenderci, ben più ampia e attenta di quella assai deludente, registrata alla Conferenza nazionale di Torino dell’ottobre scorso che è stata in parte una occasione perduta anche per l’assenza di molti parlamentari, delle regioni e del sistema delle autonomie. Fra pochi giorni si terrà l’Assemblea congressuale della Federparchi e in quella occasione definiremo unitariamente le proposte con le quali presentarci al confronto che ci auguriamo intenso e positivo con il Ministero e le Regioni, ma si può sin d’ora affermare che non ci spaventa una revisione della legislazione.
Per quanto buona e utile, la legge 394 può essere ulteriormente migliorata, sempre che se ne facciano salvi i principi ispiratori costituiti dall’obiettivo essenziale della tutela ambientale, dalla creazione del sistema fra le diverse tipologie di area protetta, dalla partecipazione democratica, dall’integrazione della loro pianificazione con quella degli altri soggetti istituzionali, dell’autonomia degli enti parco. Noi stessi, da tempo, sollecitiamo innovazioni indispensabili a dare maggiore autorevolezza, più efficienza e più ampi tratti di modernità ad un comparto dell’amministrazione pubblica rimasto escluso dai processi di sburocratizzazione di questi anni.

Si tratta a nostro avviso, per quanto riguarda gli aspetti gestionali:

  • di adeguare la normativa per le aree marine uniformandola a quella dei parchi, tra l’altro per avviare l’integrazione tra la tutela a terra e quella a mare, oggi impossibile;
  • di ridefinire la funzione e l’organizzazione dei parchi, coinvolgendo ulteriormente le istituzioni locali, le popolazioni e gli operatori locali nella vita delle aree protette;
  • di attuare un rafforzamento dell’autonomia degli Enti Parco, sottraendoli ad un assurdo inquadramento nel parastato, riconoscendo loro la potestà di gestire direttamente la sorveglianza, di nominare i vertici dirigenziali e di riconoscere anche a tutti gli amministratori dei parchi, così come opportunamente è stato fatto per gli enti locali, le condizioni minime (permessi, aspettativa, ecc.), per poter svolgere in maniera decorosa il proprio impegno istituzionale.

Ma mi preme sottolineare in questa sede, proprio in coerenza con l’appello che ho rivolto in precedenza alle Regioni, la necessità di conseguire due obiettivi finalizzati a prefigurare un sistema equilibrato, al quale concorrano con uguali possibilità e poteri il livello nazionale e quello regionale: l’istituzione di una sede di confronto che provvisoriamente possiamo chiamare Conferenza Stato-Regioni-Autonomie-Parchi e l’introduzione di un “Programma pluriennale per le Aree Protette e per la Rete Ecologica Nazionale” attraverso il quale la Conferenza stessa potrebbe perseguire il compito di integrare le attività di tutte le aree protette con le politiche nazionali e comunitarie.
Non è possibile parlare di Rete ecologica nazionale o di nuovo sviluppo locale o semplicemente di unità d’azione, senza dotarsi degli strumenti necessari. Ci auguriamo che questo sia il piano del confronto sulla “nuova 394”. Avanzeremo proposte, solleciteremo, chiederemo una discussione che non possiamo immaginare limitata ai 24 esperti della commissione governativa. Che su questo tema ci auguriamo svolga una intensa opera di consultazione con la Federparchi..
C’è poi, come dicevo, un piano politico che deve essere praticato subito, indipendentemente dal fatto che sia in corso la revisione delle norme.
Sono passati otto mesi dalla Conferenza nazionale e ancora non è stato possibile giungere all’atto conclusivo di quell’appuntamento: ad un documento riassuntivo delle linee condivise per indirizzare l’attività futura. Sembra ora che a quell’atto si giunga, dal momento che è convocata la riunione tra Ministero e Regioni per il prossimo 18 giugno. Ci auguriamo vivamente che in quell’occasione e nel documento si tenga conto delle proposte presentate a Torino dalla Federparchi, gli undici punti sui quali, a conclusione della Conferenza, era stata espressa una generale condivisione.
Ciò a cui puntiamo discende, anche in questo caso, dalla nostra idea di leale collaborazione tra i diversi livelli istituzionali. Non è necessario attendere la costituzione della apposita Conferenza Stato-Regioni-Autonomie-Parchi, di cui ho parlato e che pure rivendichiamo, per iniziare a concertare indirizzi e scelte. È possibile istituire da subito un Tavolo tecnico a latere della Conferenza Stato-Regioni-Autonomie, per cominciare a dialogare.
Non solo il conflitto istituzionale – come quello suscitato dalle nomine senza l’intesa delle Regioni ai vertici dei parchi nazionali, o dai commissariamenti reiterati e ingiustificati – è dannoso per il sistema dei parchi. Lo sono ugualmente il disinteresse, o l’assenza di dialogo tra le istituzioni. E questo è un problema che è possibile risolvere avanzando proposte e confrontandosi costantemente.
Voglio fare tre esempi, riferiti a tre questioni fondamentali per la vita dei parchi – le risorse finanziarie, le politiche di sistema, la titolarità della gestione di parti importanti del territorio – per la soluzione delle quali non c’è bisogno di una nuova legge, ma solo di volontà e, appunto, di concertazione tra i soggetti interessati.
Per quanto riguarda i fondi, lasciando a parte il tema delle risorse per la gestione – che pure è drammatico in questo momento per i parchi nazionali e per tanti parchi regionali – la preoccupazione più grande riguarda le risorse per nuovi investimenti: non è in atto alcun programma nazionale; non si sta discutendo di alcun sostegno per qualsivoglia settore – naturalistico, turistico, per la montagna o le acque o le foreste –; siamo all’ultimo anno di previsione nella Finanziaria di pochi milioni di euro per i parchi nazionali, che nel frattempo sono passati da venti a ventiquattro.
Alla luce di questa situazione acquista ancora maggiore importanza la questione dei progetti di sistema. Essi infatti, oltre che rappresentare lo strumento più adeguato per “progettare” su ampia scala, per costruire lo sviluppo partendo proprio dai Parchi e coinvolgendo le forze reali della società, costituiscono il canale naturale per indirizzare energie, convogliare risorse, associare in una unica impresa parchi nazionali, regionali e provinciali. Lo abbiamo detto altre volte e vale la pena di ribadirlo, anche perché il 2006 si avvicina e l’allargamento dell’Unione è una cosa fatta: quando si concluderà l’operatività dei Fondi strutturali attuali solo grandi progetti di qualità, dal contenuto generale ma fondati sulla tutela delle risorse naturali potranno candidarsi per un sostegno comunitario.
Il progetto per l’Appennino, quello per le Coste, quello per le Isole minori, per citare i tre ai quali la Toscana è direttamente interessata, sono una grande opportunità in questo senso. Su questo tema occorre una iniziativa costante del Ministero e delle Regioni, proponendo al CIPE, così come è stato fatto per APE, delibere specifiche sui singoli progetti.

E infine l’annosa e surreale questione della gestione delle riserve naturali dello Stato. Qui, nella Regione che si è vista assegnare non una proprietà qualsiasi, ma la stessa tenuta presidenziale di San Rossore, e che ha saputo scegliere senza problemi la strada maestra dell’affidamento al Parco interessato, denuncio l’enorme ritardo nell’applicazione di una legge dello Stato, gli atteggiamenti a dir poco dilatori del Ministero delle risorse agricole e forestali e l’atteggiamento non sempre deciso del Ministero dell’Ambiente nel rivendicare quanto previsto dalla L.394. Ci sono parchi, anche in Toscana, a sovranità limitata, che non possono fare fino in fondo il proprio dovere perché aree di grande valenza naturale, indispensabili per il perseguimento delle loro finalità istituzionali, vengono sottratte, in spregio alla legge, alla loro gestione.
Non possiamo che augurarci una azione determinata del Ministero e che il silenzio delle Regioni, su questo argomento, venga al più presto sostituito da una forte richiesta di rispetto della legislazione vigente.
Ho parlato soprattutto di questioni nazionali, ma credo fosse necessario per il particolare momento di passaggio che i parchi stanno vivendo. Le questioni regionali sono seguite con grande attenzione dal Coordinamento toscano e la Federparchi è costantemente informata e partecipe sia del buon rapporto di collaborazione esistente tra i parchi e i diversi assessorati regionali – quello all’ambiente in particolare –, quanto della preoccupazione – che condivido – per le ipotesi di modifiche legislative in discussione in questo momento, che si risolverebbero con una pericolosa mortificazione del ruolo generale di pianificazione dei parchi stessi. Chiediamo che siano ripensate e modificate accogliendo le proposte del Coordinamento toscano della Federparchi.
Ci interessa molto il ruolo che hanno assunto le province nella gestione delle risorse naturali e ambientali, così come il dibattito intorno all’integrazione delle anpil in una più generale politica di tutela.
Di questo, però, parleranno altri colleghi, rappresentanti del Coordinamento toscano di Federparchi. Ho voluto richiamare l’attenzione sulle questioni nazionali e sulla necessità di un lavoro comune per determinare il rilancio di una politica per le aree protette che già ha dato tanti frutti positivi in Toscana e che può dare ancora molto a tutto il nostro Paese.
L’incontro di oggi e domani rafforza il nostro comune impegno e per questa ragione, Federparchi vi è riconoscente. Grazie.

* Presidente Federparchi