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Parco Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli



Quaderni del Parco
  Centro Studi Valerio Giacomini sulle Aree Protette

fenicottero

Esperienze e prospettive del sistema delle aree protette in Toscana

Riferimenti dal quadro nazionale per la possibile evoluzione dell’esperienza in Toscana

Nel riferimento alla politica generale delle aree protette, in cui si colloca la specifica situazione toscana, l’impressione prevalente su quanto sta accadendo nel quadro nazionale, è caratterizzata dall’apparente situazione di stasi: apparenza che invece nasconde i segni di un’involuzione profonda in corso; ma di direzione opposta rispetto alla spinta propulsiva che ha caratterizzato il lavoro nel decennio passato.
Due segnali valgono tra i tanti a giustificare l’allarme al proposito; ugualmente significativi, nella scala in cui si manifestano, di una pervasività che investe tutto il campo in cui si opera: da una parte il perfezionarsi del disegno di legge per la delega al governo del riordino della legislazione in materia ambientale, comprensiva di quella per le aree protette; dall’altra la conflittualità quotidiana, ormai sostitutiva della “leale collaborazione”, che riguarda la gestione di situazioni vecchie e nuove coinvolgendo le istituzioni locali, ma soprattutto nei rapporti tra queste ed il Ministero; prove di ciò sono desumibili dalla rassegna stampa di Federparchi dove non passa giorno che ai casi insoluti se ne aggiungano di nuovi: vedi al proposito la questione assai indicativa, aperta da tempo ma sempre attuale, dei commissariamenti nei parchi nazionali.

Per qualche riferimento utile, invece, a consolidare la continuità della situazione, sull’indirizzo di lavoro intrapreso dopo la legge quadro, pur nel poco sereno panorama complessivo a cui si è fatto veloce accenno precedentemente ed alle prevedibili prospettive altrettanto preoccupanti, bisogna rifarsi alla 2° Conferenza Nazionale delle Aree Protette, a Torino nell’ottobre 2002, ed alle impressioni desumibili da quel dibattito che possono interessare anche la nostra regione e l’esperienza di lavoro sulle aree protette avviata sin dalla prima legislatura regionale ed attualmente in piena operatività.
A mio avviso, oggi, l’interesse di maggiore attualità è tutto sulla questione della formazione della rete delle aree protette come “sistema”: termine questo da tempo ricorrente tra le parole-chiave in ogni dibattito o intervento in sede, locale, regionale, nazionale; oggetto d’impegni governativi in sospeso, a seguito della l. n. 426/’98; presentato come prospettiva obbligata con la definizione della “rete ecologica nazionale”; quasi diversivo nell’aspettativa, finora delusa, della “carta” della natura e delle linee d’assetto del territorio con riferimento alle valenze ambientali.

La Conferenza di Torino, appunto, è stata anche circostanza utile nel tentativo di levarci qualche curiosità sulla questione e sulle possibili maniere di intenderla dai vari punti di vista, dal centro e dalla periferia; per possibili risposte ad interrogativi ricorrenti: quale “sistema”, perché, dove, come e con chi “fare sistema”; a che punto siamo al proposito?

Gli elementi desumibili, al proposito, sono abbastanza contrastanti, ma comunque interessanti e stimolanti, nella loro valenza tanto positiva che negativa, a proseguire nella ricerca per saperne qualcosa di più.

Progressi positivi e contributi di chiarimento ed approfondimento vengono dall’ufficializzazione, da parte del Ministero, degli esiti della ricerca del CED-PPN del Politecnico di Torino sul sistema nazionale delle aree protette nel quadro europeo: classificazione, pianificazione, gestione; altrettanto autorevole, anche se più spiccatamente settoriale è il contributo del Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo dell’Università di Roma sulla Rete Ecologica Nazionale, quale approccio alla conservazione dei vertebrati italiani: almeno a livello scientifico e culturale esistono dunque idee e riferimenti non banali su dove e come operare nella logica di sistema, quali esiti di un serio indirizzo di ricerca, anche se settoriale, concretamente avviato.

Restiamo invece al palo per quanto riguarda la prosecuzione dell’esperienza di APE, Appennino Parco d’Europa, dopo i primi finanziamenti CIPE ai progetti pilota di sistema; nulla si sa sul procedere delle iniziative avviate e sull’estendersi delle progettualità nella logica affermata; ma quello che più conta è che APE resta evidentemente un caso isolato, mentre gli altri grandi sistemi nazionali, individuati nelle Alpi, sulle coste, sul Po, nelle isole minori, attendono ancora riconoscimento ufficiale nel quadro nazionale; d’altro canto, di fatto, mentre è ferma l’iniziativa del Ministero, non si determina alcuna innovazione concreta nelle intenzioni delle regioni per lavorare insieme su qualche grande tema di interesse comune, almeno a partire dalle aree protette esistenti.

In questa situazione di stallo, resta comunque un aspetto da non sottovalutare, anzi di portata decisiva e questa volta positiva, per il rinnovamento sul campo dell’indirizzo di lavoro intrapreso: il generalizzarsi della consapevolezza di un limite iniziale ormai superato di fatto con la scomparsa della considerazione delle aree protette come isole, più o meno felici, o anche come arcipelaghi più o meno estesi; oggi il raccordo con il contesto è ormai ineludibile, ben oltre le aree contigue possibili secondo la legge quadro; e, in questo contesto sempre più vasto, le sinergie e le alleanze che si determinano tra le aree protette, anche di varia tipologia, rafforzano ed arricchiscono il confronto e predispongono a meglio reggere il conseguente ed inevitabile impatto innovativo, che si presenta sin da ora non da poco.

Un preoccupante interrogativo che si prospetta, a questo punto, riguarda il possibile rischio di un peggioramento della situazione insito nella novità: se le aree protette, finora chiuse in se stesse, corrono il pericolo dell’isolamento, dell’autarchia e dell’autoreferenziazione, l’apertura al contesto prospetta altrettante incognite, conseguenti alla possibile omologazione e banalizzazione: è ricorrente, infatti, la riduttiva maniera di pensare alle aree protette come agenzie di sviluppo sostenibile; strutture erogatrici di servizi, anche se di qualità; una sorta di pro-loco, intese in chiave ammodernata ed alla moda: solo “saperi e sapori”; questo atteggiamento, oggi tendenziale, rischia di affermarsi e prevalere.

A ridurre il grado del possibile rischio, la questione dell’inevitabile raccordo al contesto, deve essere affrontata, sempre dal punto di vista delle aree protette, da una base di partenza necessariamente forte: fondata sulla consapevolezza della loro “straordinarietà” derivante dal regime “speciale” a loro assegnato dalla legge quadro; questo in rapporto alla generalità del contesto caratterizzato, invece, dal regime “ordinario” delle molteplici, varie e distinte discipline di settore riguardanti l’ambiente, il territorio, lo sviluppo rurale, l’assetto idraulico-forestale, quello faunistico-venatorio ecc., operanti estensivamente.

La solidità di questa base di partenza da costruire, per essere funzionale al giusto approccio risolutivo ai problemi da affrontare, è oggi, a mio avviso, sottoposta soprattutto a due condizionamenti preliminari e pregiudiziali: il primo riguarda la chiarezza sull’identità delle aree protette e sul loro ruolo nel contesto; il secondo la certezza di regole condivise sulle modalità del raccordo, attraverso strumenti previsionali e normativi tra loro coordinati e non gerarchici.

Nella prima condizione, quella relativa all’identità, si è oggi particolarmente deboli, stanti le difficoltà di verificarne i presupposti nella realtà: basta al proposito considerare in che termini si esprime l’Elenco Ufficiale delle Aree Protette; solenne espressione del caos nazionale in materia che mette insieme e convalida le situazioni più disparate, difficilmente interpretabili in se stesse ed in raggruppamenti di senso comune; né si sa nella realtà, in mancanza di parametri omogenei ed occasioni continue di monitoraggio, cosa sta accadendo localmente, nella loro attuazione, delle intenzioni in base alle quali si è ottenuta l’iscrizione: nel lento passaggio dall’atto formale di istituzione, alla formazione di piani e regolamenti, alla loro gestione.

È tempo forse di pensare alla possibilità di una nuova classificazione tipologica delle aree protette, opportunità già prevista dalla legge quadro, non più fondata sulla titolarità dell’iniziativa istitutiva, ma su criteri di scopo collegati alla missione da affidare a ciascuna area secondo la sua precisa caratterizzazione e la collocazione nel sistema; questo per rafforzarne l’identità e la specificità, anche nella prospettiva di una coerenza complessiva del sistema nazionale col quadro europeo.

Al proposito è eloquente, in quanto ad indicazioni operative, la ricerca del Politecnico di Torino, autorevole non solo per la qualifica di chi l’ha conclusa, ma anche per la committenza ministeriale su cui ricade la responsabilità di una sua adeguata utilizzazione.

La seconda condizione, quella relativa alla certezza di regole e strumenti per il raccordo al contesto, non gode di riscontri nella realtà attuale più tranquillizzanti rispetto alla prima: da un lato la formazione di piani e regolamenti per le aree protette procede con troppa calma, soprattutto per quanto riguarda l’innovazione voluta dalla legge quadro nella contestualità tra i piani territoriali e quelli di sviluppo economico e sociale; d’altro canto comincia a manifestarsi insofferenza da parte del quadro complessivo della pianificazione ordinaria, di cultura urbanistico-territoriale, nei confronti delle cosiddette “pianificazioni separate”; l’obiettivo di “ricondurre ad unità” tutte le pianificazioni di settore, includendo in queste anche quella delle aree protette, comincia ad apparire nel rinnovamento della pianificazione in molte regioni.
Questa maniera che si va affermando, di considerare le aree protette come settore, o super-settore che dir si voglia, concorre a rafforzare il rischio iniziale di omologazione e banalizzazione nel quadro complessivo, facendole perdere quel connotato di straordinarietà, non solo in quanto ad identità e caratterizzazione, ma anche disciplinarmente ed in termini istituzionali.

Infatti occorre ricordare che la legge quadro configura nei suoi effetti un regime speciale, quando prevede, anche se assai schematicamente e semplicisticamente, la “sostituzione” da parte del piano del parco, sullo stesso territorio, di tutti gli altri strumenti di pianificazione: urbanistica, paesaggistica, forestale, difesa del suolo ed acque, faunistico-venatoria ecc.

La necessaria apertura delle aree protette a rapporti di integrazione e raccordo con il contesto territoriale, ambientale, economico e sociale, ben oltre le aree contigue, se mai ci fossero, rende impraticabile un rapporto drasticamente sostitutivo ed inevitabilmente conflittuale; nel contempo, però, il raccordo e l’integrazione richiedono regole condivise e circostanziate secondo le tipologie delle aree protette e le situazioni concrete, a superamento tanto di una concezione di settore, o super-settore, per queste, ma anche di una loro sovraordinazione o sottordinazione gerarchica rispetto al regime ordinario nelle varie discipline interessate nel comune riferimento territoriale.

Venendo alla situazione in Toscana, le due condizioni prima ricordate prospettano altrettanti punti, a mio avviso, problematici e di particolare debolezza, costituendo anche condizioni di possibile vulnerabilità a fronte della involuzione riscontrata nel quadro nazionale; questa infatti comporterà implicazioni anche dirette sul sistema toscano: basta pensare alla presenza nella regione dei tre parchi nazionali, due dei quali già commissariati, e delle oltre trenta riserve dello stato, di incerto destino, nonostante le intese da tempo intervenute per il trasferimento alla Regione: aree protette quasi tutte di rilevante valore ed in collocazione strategica nella rete delle altre aree già istituite per iniziativa regionale ed attivamente operanti.

Per quanto riguarda la prima condizione, relativa all’identità delle aree protette ed alla praticabilità di una possibile revisione della classificazione vigente in basse a criteri di scopo, occorre ricordare che la questione è già da tempo aperta, peraltro finora senza esiti, limitatamente alla tipologia delle aree naturali protette di interesse locale (ANPIL): quasi un’anomalia tutta toscana, variamente considerata e valutata in sede tecnica e politica.
Anche se la questione nasce nel riferimento ad un caso limite, quello della Val d’Orcia, che utilizza in maniera platealmente abnorme la tipologia, resistendo ad ogni invito ad un ripensamento, la necessità vera di una riflessione sul tema va estensivamente riferita a tutto il sistema regionale, nelle sue varie tipologie: tale ripensamento va piuttosto inteso nei termini di una introduzione nella classificazione, che in se stessa può restare così com’è, di criteri e parametri utili ad un continuo monitoraggio della situazione con possibilità di verifiche nel tempo sulla rispondenza delle situazioni concrete ai principi di scopo iniziali e con eventuali correttivi nel passaggio motivato di una stessa area da una tipologia ad un’altra.

Anche per quanto riguarda la seconda condizione, il profondo rinnovamento in atto della pianificazione urbanistica e territoriale, sia come evoluzione della l.r. n. 5/’99, sia come effettiva disponibilità di una nuova strumentazione coerente tra i livelli locale, provinciale e regionale, richiede che sia colta l’occasione per una puntualizzazione delle regole del gioco, per quanto riguarda il riconoscimento del regime speciale di area protetta ed il rapporto tra ordinarietà e straordinarietà, con il coinvolgimento delle discipline che riguardano anche altre materie quali, prioritariamente, quelle faunistico-venatorie e quelle dello sviluppo rurale.
Il caso dell’Arcipelago Toscano è sintomatico di qualcosa che finora non ha funzionato nella corretta applicazione della l.r. n. 5/’99, pur in presenza di un piano del Parco Nazionale in corso di elaborazione: quanto previsto dalle salvaguardie istitutive, dal PIT regionale e dai PTC delle province di Livorno e Grosseto non impedisce che vada avanti una pianificazione comunale assolutamente non confacente e priva di qualsiasi coordinamento: non solo in termini ordinari, vedi la problematica aperta dalla recente crisi alluvionale, ma anche nella straordinarietà della situazione corrispondente alla classificazione come area protetta.

In tutte le isole dell’Arcipelago i rapporti tra enti locali e parco non possono contare, oggi, su corrette impostazioni di base desumibili del complessivo quadro della pianificazione ordinaria, così come il governo del territorio, alla scala comunale, non sembra voglia giovarsi della presenza e del significato del parco, sia pure entro perimetri da perfezionare, per armonizzare e coordinare contenuti ed obiettivi di diretta ed indiretta competenza.

La messa a punto della l.r. n. 5/’99, attraverso la sua riedizione a cui oggi si lavora, da prospettiva inquietante di conferma della sottovalutazione e marginalizzazione del regime speciale di area protetta, in forma di piano di settore, può essere invece occasione risolutiva per dare e chiedere garanzie di reciproca adeguata considerazione almeno negli aspetti urbanistici e paesaggistici e nelle implicazioni territoriali relative agli altri aspetti, con priorità per lo sviluppo rurale e forestale e per la gestione faunistico-venatoria.

La Conferenza Regionale delle Aree Protette, del giugno 2003, ed i suoi lavori preparatori, oltre a colmare formalmente il vuoto determinatosi con la mancata considerazione delle questioni relative alle aree protette nel programma dell’ultima Conferenza Regionale dell’Ambiente, può essere occasione per un confronto sui temi di preoccupazione qui accennati; per l’accertamento dell’esistenza e consistenza dei rischi conseguenti; per l’indirizzo dell’impegno futuro verso l’adeguamento tanto degli strumenti ordinari disponibili, nelle varie materie coinvolte ed in particolare in quella urbanistico-territoriale, che di quelli speciali propri del regime speciale derivante dalla legge quadro sulle aree protette.

Questo nell’attesa e nella speranza che gli esiti della delega al governo per il riordino della legislazione ambientale e di quella sulle aree protette non crei nuovi fronti di sovvertimento dei risultati e degli assetti finora positivamente conseguiti nella regione.

* Ex dirigente settore parchi Regione Toscana