Logo Parco Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli

Parco Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli



Quaderni del Parco
  Centro Studi Valerio Giacomini sulle Aree Protette

scoiattolo

Giacomini presidente di Pro Natura

Valerio Giacomini, scienziato ed ecologo di fama mondiale non si accontentò del suo prestigio in ambito scientifico; non si rifugiò mai in una condizione di comodo, ma seppe scendere sul terreno dell’impegno e anche della battaglia quotidiana capace di tradurre in atti pubblici, politici, le convinzioni maturate dalla ricerca scientifica.
In questo seppe mettersi in gioco per testimoniare idee nelle quali credeva fermamente, per tentare di farne prendere coscienza alla collettività e per stimolare risposte concrete, dai decisori politici, capaci di porre rimedio alla gravità di una situazione da tempo nota ma disconosciuta.
E sottovalutata, se non proprio volutamente ignorata, sembra esserlo anche oggi, davanti a progetti infrastrutturali sconsiderati e ambientalmente devastanti, piuttosto che di politiche – vedi quella energetica – che sembra non tenere conto, pur conoscendole, delle leggi fondamentali della fisica che imporrebbe atteggiamenti più responsabili per rallentare la tendenza all’entropia del pianeta.
Profetico e, con pochi emuli, isolato protagonista di un momento storico nel quale occuparsi di protezione della natura era considerato passatempo poco produttivo, sia in ambito accademico che politico, Valerio Giacomini ebbe la coerenza e il merito di non considerare mai i destini della Natura separati da quelli della società umana, anticipando in ciò le indicazioni che sarebbero venute, ben più tardi, a indicare due capisaldi per le politiche del futuro: lo sviluppo sostenibile e la territorializzazione delle politiche ambientali.

Commentando la prima proposta di parchi naturali fatta in Italia dal senatore Medici nel 1969, finalizzata soprattutto per la ricreazione, e quindi rivolta essenzialmente alla realizzazione di parchi attrezzati, che oggi chiameremmo “aree attrezzate”, Valerio Giacomini così si espresse:

  • «Questi parchi o aree possono, infatti, avere ben poco di naturale e potrebbero, anzi in molti casi dovrebbero, essere costruiti artificialmente e costituire un’importante risorsa ricreativa. Siamo del parere, infatti, che la creazione di parchi attrezzati si imponga proprio per completare il sistema conservazionale in quanto rispondono a esigenze di conservazione dell’uomo. Di che cosa ci occupiamo precipuamente nel nostro discorso ecologico globale se non della conservazione dell’uomo intesa nel senso più integrale, cioè con riferimento a tutti i legittimi bisogni umani? Un sistema conservazionale di parchi e riserve deve necessariamente prevedere un sottosistema di aree ricreative di alleggerimento e capaci di assorbire le prime ondate di richieste ricreative che irradiano dalle città e dai centri industriali».

Questo passo è paradigmatico della concezione giacominiana della natura, a servizio dell’uomo ma nei confronti della quale l’Uomo non può che sottomettersi per seguirne le regole.
Il contendere tra primato della Natura e antropocentrismo, recentemente riportato alla ribalta con argomentazioni piuttosto grezze, trova in questo ragionamento una sintesi che ancora oggi va sottolineata e ripresa.
In questo ragionamento sta anche il ritratto di Valerio Giacomini ecologo attento a problemi della società. Una figura che ancora oggi non è, nonostante un contesto indubbiamente diverso, molto diffusa.
Ancora oggi molti studiosi non amano “sporcarsi le mani” con la politica o l’attività di impegno ambientalista. Molti, rispetto ad allora, si occupano di ecologia come scienza sociale e forse anche si preoccupano dell’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo, ma pochi, troppo pochi mettono la loro scienza e la loro conoscenza a servizio dell’impegno politico.
In fondo, a distanza di oltre trent’anni dal momento in cui furono scritte, valgono ancora le parole di Giacomini quando rifletteva:

  • «Esaltiamo a livello di alti organi responsabili, genericamente, astrattamente, i valori della natura, ma quando si tratta di compiere gesti o scelte decisive allora l’iniziativa resta al volontarismo di pochi, di qualche associazione protezionistica o naturalistica, o di qualche uomo coraggioso…».

Da quella consapevolezza di scienziato che non può rimanere a guardare una situazione volgersi verso l’insipienza, prese senz’altro avvio l’impegno ambientalista di Valerio Giacomini all’interno dell’allora Pro Natura Italica, oggi Federazione Nazionale Pro Natura.
Un incontro, quello con la Federazione Nazionale Pro Natura, di cui sarà presidente effettivo dal 1968 al 1979 e presidente onorario sino al momento dell’improvvisa scomparsa, che diede all’associazione una precisa connotazione nel mondo dell’associazionismo ambientale di quegli anni, proprio per lo straordinario e innovativo afflato verso il contesto sociale che il conservazionismo tradizionale sembrava restio a coinvolgere.

Nella prima circolare inviata, in data 14 luglio 1969, a tutte le associazioni federate, così scrisse a proposito degli obiettivi dell’associazione:

  • potenziamento di Pro Natura Italica sul piano nazionale come forza concorde ed attiva dei naturalisti italiani in favore di fondamentali problemi della conservazione della Natura e delle sue risorse;
    • avviamento di Pro Natura Italica all’attuazione di una autentica “politica della conservazione” in senso globale, integrale – non episodico, frammentario o occasionale –, politica da imporre sempre più vigorosamente all’attenzione dei responsabili della più ampia politica del paese;
    • sensibilizzazione dei naturalisti italiani ai problemi pratici, umani della conservazione, affinché ogni naturalista – anche il più umile raccoglitore – senta l’importanza civile alla quale può assurgere la sua presenza non isolata, ma attivamente associata, nelle programmazioni, nelle pianificazioni, che interessano sempre i beni naturali del territorio. […]
      Che ogni Associazione o Ente Federato senta la necessità, l’urgenza di creare una unione più forte, più operante per un grande dovere comune che è di umanità, di giustizia, ancor più che di cultura e di progresso scientifico. Si tratta della conservazione della natura per la conservazione dell’uomo».
  • unione più forte, più operante per un grande dovere comune che è di umanità, di giustizia, ancor più che di cultura e di progresso scientifico. Si tratta della conservazione della natura per la conservazione dell’uomo».

Un concetto, quest’ultimo, che sarà sempre ben presente nell’impegno ambientalista di Valerio Giacomini che avrà modo di testimoniarlo non solo con le parole e gli scritti, ma anche con il suo concreto agire, dall’impegno nel Programma Man and Biosphere dell’Unesco a quello per la pianificazione territoriale a Roma piuttosto che nelle politiche per i parchi e le aree protette.

Anche il suo impegno all’interno di Pro Natura fu coerente con questi princìpi, a partire dalla nascita, fortemente voluta dal presidente, della testata “Natura Società” che come ebbe modo di riaffermare più volte rappresentava proprio la sintesi dell’impegno dell’associazione sospeso tra conservazione della natura e impegno sociale, convinta che solo la consapevolezza dell’indissolubilità dei destini di entrambi possa essere elemento guida per una corretta gestione del presente e una progettazione sostenibile del futuro.

La Federazione Nazionale Pro Natura, sotto la presidenza di Valerio Giacomini, e con il contributo determinante di un altro botanico, il torinese Bruno Peyronel, segnò subito dopo, un momento di svolta nella storia del movimento ambientalista italiano, passando definitivamente dal conservazionismo naturalista all’ecologismo, neologismo che non sarebbe condiviso da Valerio Giacomini a causa della contaminazione nei confronti di uno specifico settore della scienza.
Con l’assemblea di Forlì 1971, e con il Documento programmatico (poi aggiornato nel 1981) che ne uscì da quell’assise quel passaggio fu definitivamente sancito.
Nella prolusione iniziale di quel congresso Valerio Giacomini così rifletteva sul momento storico e sul ruolo dell’associazione:

  • «… Non sorgevano problemi di principio e di organizzazione in altri tempi, quando era così bello, così confortevole ritrovarci insieme ogni tanto fra appassionati della natura a discutere pacatamente di problemi ecologici, non ancora diventati drammatici e minacciosi. Eppure non dobbiamo dimenticare che, per molto tempo, le voci dei naturalisti, dentro e fuori la Federazione […] sono state le uniche voci ammonitrici che si levavano in difesa di quei valori ambientali che erano del tutto negletti e sottovalutati. […] Ma i problemi dell’ambiente […] stanno diventando sempre più complessi e controversi, man mano che si vanno scoprendo le numerose e profonde implicazioni di carattere scientifico, tecnico, economico e sociale. Quando il naturalista, in altri tempi, difendeva la natura per se stessa, per i suoi valori e significati, lo faceva certamente per vantaggio umano, ma non conosceva ancora tutti i legami che vincolano l’uomo all’ambiente fisico e biologico quali si sono venuti rivelando col progresso delle scienze ecologiche. Si muoveva allora, il naturalista, in atmosfera molto rarefatta di astrazioni scientifiche, di umana appassionata curiosità […] Ma i tempi sereni della scienza sono crollati nell’urto contro la dura realtà del crescere rovinoso e del deterioramento crescente dei rapporti tra uomo e natura. Una neutralità tranquilla del naturalista è diventata anacronistica anche se oggi perdura purtroppo in buona parte del mondo scientifico e soprattutto nelle sedi accademiche […] vuoi per assonnato tradizionalismo, vuoi per molto opportunistica acquiescenza. Federnatura si è proposta innanzitutto di scuotere le coscienze […] Scuotere le coscienze dei naturalisti anzitutto, ricordando loro le nuove e gravi responsabilità umane e civili che sono chiamati ad assumersi. Responsabilità di assistenza informativa, di richiamo al prudente uso di determinate risorse naturali, di avvertimento dei pericoli e dei rischi che derivano dall’aver calpestato per ignoranza o per avidità incontrollata delicati equilibri costruttivi della natura vivente. Se è vero com’è vero, che Federnatura vuole aprire un vasto colloquio informativo cordialmente avvicinato con tutte le componenti naturali, anche le più modeste e trascurate dell’opinione pubblica e particolarmente nel campo delle scuola e del lavoro, è pur vero che questo colloquio deve essere tenuto da naturalisti con competenza naturalistica e non con vaghe opinioni a sfondo naturalistico. Vi è molta comprensibile richiesta di azione immediata di lotta, di presenza ammonitrice e giustificata dal moltiplicarsi degli sfruttamenti, delle speculazioni, delle rapine a carico delle più preziose risorse naturali di interesse comune a tutti gli uomini, proprietà comune a tutti gli uomini. Un impulso generoso induce a reagire senza indugi, ma qualche volta anche senza esaurienti conoscenze delle situazioni. Alcuni casi sono così evidentemente delittuosi, che è giustificato un impetuoso insorgere di proteste. Ma non pochi casi presentano complesse implicanze che non si possono valutare superficialmente e affrettatamente».

Questo pensiero venne lucidamente ribadito, proprio sulle pagine di “Natura e Società”, in occasione della partecipazione alla 1a Conferenza Internazionale sull’Ambiente tenutasi a Stoccolma nel 1972.
Sentiamo ancora le sue parole:

  • «Diciamo pure che la prima grande lezione, il primo severo ammonimento che ci viene da Stoccolma ‘72 deriva proprio dal manifestarsi di questo contrasto fra sviluppo e ambiente, suscitato ben comprensibilmente dai paesi in via di sviluppo. Non è più possibile separare, in nessun momento dell’azione per l’ambiente, i problemi dell’ambiente dai problemi dello sviluppo. Si è lagnato, qualcuno, perché la Conferenza di Stoccolma “degenerava” dai problemi ambientali a quelli dello sviluppo. Non si era capito dunque il senso globale che doveva necessariamente assumere il messaggio di Stoccolma, se doveva pur tenere conto degli insopprimibili interessi umani, dei gravissimi interessi umani che condizionano, ci piaccia o non ci piaccia, ogni efficace azione in favore dell’ambiente terrestre. […] proprio i paesi in via di sviluppo hanno fatto sentire fortemente la loro voce respingendo l’antinomia sviluppo-ambiente, affermata astrattamente da molti teorici dell’ecologia.
    Si tratta però anche di una doccia fredda versata su coloro che pretenderebbero di imporre gli stessi provvedimenti limitativi sia ai paesi già sviluppati sia a quelli in via di sviluppo. […] È ben chiara la tendenza dei paesi in via di sviluppo a rivendicare -e sarà ciò che apparirà anche più manifesto nel prossimo avvenire- un concreto aiuto che compensi i sacrifici imposti da una nuova politica dell’ambiente e soprattutto dai programmi anti polluzione Un transfert finanziario e tecnico sarà dunque richiesto con sempre maggior insistenza e sarà fondato oltretutto sul testo della dichiarazione di Stoccolma».

Ma Giacomini commenta con delusione l’art. 21 della dichiarazione

  • «che richiamandosi alla Carta delle N.U. e ai principi di diritto internazionale rivendica agli Stati “il diritto sovrano di sfruttare le loro proprie risorse secondo la loro politica ambientale”. È ben vero che invita i medesimi stati ad accertarsi che non venga portato nocumento ad altri stati, ma come non rilevare lo stridente contrasto con quello che doveva essere lo spirito di solidarietà universale della Conferenza e con la stessa logica più stringente di un severo discorso ecologico? Non è noto ormai a tutti che nessuna trasformazione ambientale è nociva solo in un limitato intorno perché nessun ecosistema è chiuso, nessun complesso di ecosistemi può essere separato dall’unità della biosfera? Un vibrante discorso di Mansholt che chiedeva severe corresponsabilità delle nazioni, e perfino l’adozione di sanzioni sul piano internazionale è giunto a Stoccolma evidentemente un po’ troppo presto. ma non inutilmente, perché non è mai inutile una intelligenza precorritrice. […] Il problema della miseria di enormi masse di popolazioni si è levato gigantesco, come forse mai in precedenza nella sede dell’ONU. […]
    Un acuto editoriale di Le Monde metteva in guardia dall’altra polluzione: “la polluzione è, infatti, anche la miseria e il sottosviluppo senza parlare del commercio della armi […]. Certamente i delegati di Stoccolma non sono stati incaricati di liberare il mondo dalla miseria. Ma chi rimprovererà loro di voler non soltanto una Terra più pulita, ma più fraterna? Chi non sa che le due cose sono legate?” Ecco dove il discorso, come era prevedibile, diventa squisitamente, prevalentemente politico, nel senso più originario e più autentico dei diritti e dei doveri delle popolazioni umane; ecco il punto in cui tutti possiamo convergere se abbiamo sufficiente sensibilità e intelligenza».

E nel commento finale dedicato a Stoccolma ‘72 le sue parole sono di una straordinaria lucidità e lungimiranza, e ancora una volta con una testimonianza di apprezzamento verso i giovani del movimento ambientalista internazionale riunitosi nei forum alternativi:

  • «Certo era invidiabile la concordia, la coerenza dei giovani, degli indipendenti che si univano nelle conferenze alternative. Non erano i portatori obbligati di interessi economici, politici, di questa o quella nazione; erano meravigliosamente liberi, e direi proprio che erano liberi nella verità e nella giustizia. I loro discorsi, le loro stesse invettive non appartenevano al piccolo discorso politico di questa o di quella “parte” appartenevano veramente al discorso politico più grande e universale, quello che in fin dei conti la Conferenza ha dovuto iscrivere nel primo articolo dei Princìpi. Ma i dissidenti alternativi di Stoccolma potevano permettersi di essere coerenti fino in fondo, il che non poteva fare nessun delegato, dico nessun delegato governativo. […] A Stoccolma era riuscito ad avere una voce, insolitamente forte, nelle aule della Conferenza governativa, anche il più povero camminatore del deserto, anche il più diseredato abitatore dei confini dell’ecumene. E spesso era una voce sola con quelle che levavano all’Environment Forum i piagati di Hiroshima. […] Penso che Stoccolma ‘92 […] valga ciò che valgono le più grandi “epifanie”, le più grandi manifestazioni nelle quali si esprime finalmente al di sopra di tutti i rumori, la voce dell’uomo più povero e più inascoltato».

In fondo si tratta di una anticipazione di quelle tensioni e di quei diritti di esprimere democraticamente l’esigenza e il progetto di un sistema diverso che oggi è diffuso in quell’ampio movimento che si ritrova e manifesta sotto l’efficace slogan “Un mondo diverso è possibile” cui ci viene istintivamente di aggiungere “ed è auspicabile”.

Fu quella, un’occasione per svolgere anche una severa analisi del mondo accademico.
La diffusione dei primi appelli gli offrì, infatti, il destro per sottolineare le attese del mondo giovanile, i doveri della scuola e l’insufficiente attenzione del mondo della scienza richiamato a un impegno meno di facciata:

  • «È stato distribuito in più lingue un appello ai giovani di tutto il mondo, – scrive in un articolo sul giornale della Federazione Nazionale Pro Natura che dirige insieme a Dario Paccino – appello rieccheggiato alla TV con suggestivi inquadramenti visivi. È un appello all’interessamento, alla sensibilità dei giovani, per il futuro del Pianeta. Appello che vuol richiamare a responsabilità, a impegni universali. Per la sua ampiezza quasi cosmica accede ad un lirismo, che rasenta la retorica più scontata. Ma i giovani hanno bisogno di questa esortazione, di questo avvertimento? Non sono essi già assai più carichi di sensibilità umane ed ecologiche universali, di quel che non siano i loro presunti maestri? O non è il caso invece di rivolgerci ai non più giovani a coloro che detengono tutti i poteri (politici, culturali, economici, ed anche giudiziari), a coloro che veramente determinano oggi lo stato delle cose, il loro divenire? A che serve esortare i giovani, se poi i detentori del potere soffocano sul nascere ogni loro volontà di vero progresso civile ed umano anche sul piano dei giganteschi problemi dell’ambiente e delle vita.
    Parliamo con l’esperienza di ogni giorno, l’esperienza nel settore più delicato, più critico ed anche più contestato: la scuola universitaria […] Consegnare i problemi ai giovani può diventare anche la peggiore ipocrisia, la più abile evasione, quando si sa bene che questi giovani sono in grado, al più, di elevare qualche protesta subito peraltro soffocata; quando si sa benissimo che la maggior parte di questi giovani soccomberanno entro il “sistema” appena avranno lasciato la scuola, appena si troveranno a dover scegliere fra l’inserimento pieno di lusinghe e una ribellione sterile non consentita dalle prepoderanti forze della tradizione. Che servirà allora un grande consesso come Stoccolma ‘72 se non ad un incontro di vanità, che già si predispongono ansiosamente a sopraffarsi, a scavalcarsi per quell’ambitissima tribuna, se non si andrà in quella sede con volontà di operare praticamente, politicamente, ad una inversione coraggiosa di processi rovinosi? […]
    Purtroppo non saranno i giovani coloro che terranno il banco nella grande Conferenza internazionale. I giovani al più riceveranno un altro autorevole e forbitissimo appello straripante di fiducia nella loro azione futura. […] Moltissimi giovani hanno capito assai più di molti mandarini, di molti politici, che cosa è veramente l’ecologia, che cosa è soprattutto l’impegno ecologico. E proprio per questo si affollano, con un residuo di speranza, starei per dire con un residuo di illusione, intorno ad alcuni professori universitari, chiedendo di essere preparati tecnicamente, e non solo teoreticamente ad affrontare i gravi problemi dell’ambiente da risanare, da riparare, da ricostruire. Ebbene: alcuni di questi professori preferiscono restare nella torre d’avorio di un tradizionale eccelso sapere, nel quale hanno riposto ogni ragion d’essere; alcuni sono incapaci, perché disinformati, di recepire la istanza nel senso più giusto e più concreto; ed i pochi che vorrebbero dedicarsi a questo nuovo, solido discorso coi giovani, devono aprire le braccia e devono confessare che queste loro richieste urtano contro impossibilità, inaccessibilità di ogni genere. […]
    Questa è la risposta che diamo oggi ai nostri giovani in Italia. Noi siamo disposti a saturarli di nobili appelli, ma non siamo disposti a tendere loro una mano. […] Se è vero che la conservazione deve diventare politica dello Stato, non deve essere confusa con quella mediocre politica di oscillazioni opportunistiche (insegna qualche cosa l’andamento umiliante dei discorsi sull’uccellagione), di dichiarazioni ambigue, di temporeggiamenti, che sono i vili surrogati di una azione chiara, decisa, veramente protesa verso la soluzione di tremendi problemi umani».

Ciò che a Valerio Giacomini era chiaro, sin da allora, è che la superbia umana – che pretenderebbe di essere in grado di dominare la natura e imporre correttivi taumaturgici anche ai nostro comportamenti incompatibili con la Vita – non è sufficiente a garantirci il futuro.
In un comunicato lanciato in occasione di “Environement ‘74”, primo salone nazionale del disinquinamento svoltosi a Torino nel maggio di quell’anno e boicottato dalla Pro Natura, Giacomini ribadiva questi concetti sottolineando che l’Uomo, da solo, non ha futuro, né sono sufficienti la scienza e la tecnologia a garantirglielo:

  • «L’assenza di Federnatura vuol rivendicare la priorità assoluta di un nuovo orientamento, di un nuovo costume, di una nuova civiltà, che deve fondarsi nel lavoro, nello sviluppo, nella inarrestabile creatività e costruttività umana, ma che deve opporsi ai processi di consumismo, di degradazione, di alienazione, di corsa al profitto, che continuando ad essere incoraggiati da una falsa concezione del benessere delle popolazioni; Una modesta presenza protezionistica che riponga accanto alla trionfale ostentazione di creazioni industriali, quanto si voglia civilmente o umanamente finalizzare, arrischia di servire di vernice e copertura a una presunzione tecnologica che vuole attribuirsi il merito di un indefinito progresso e al tempo stesso la salvezza dell’ambiente umano.
    L’impegno per l’ambiente non si esaurisce in provvedimenti tecnici contro l’inquinamento che pure sono urgenti e necessari, ma si rivolgono solo alla riparazione degli effetti e alla cura dei sintomi. Finché non si affronteranno le cause profonde e determinanti non vi sarà speranza di arrestare i processi rovinosi a carico dell’ambiente e delle vita.
    La Federazione Nazionale Pro Natura vuole richiamare l’attenzione alle reali dimensioni dei grandi problemi, che sono ecologici, sociali e integralmente umani, e non tollerano riduzioni».

Abbiamo voluto attingere direttamente ad alcuni documenti o scritti di Valerio Giacomini, inediti o poco noti, per andare direttamente alla fonte, senza mediazioni – e conseguenti rischi di fraintendimenti o distorsioni –, del suo pensiero.
Un pensiero che rimane punto di riferimento importante per la Pro Natura, non solo perché ne rappresenta un inalienabile patrimonio storico, stabilmente scritto nel nostro DNA, ma soprattutto perché rimane quanto mai attuale.
Valerio Giacomini ricordò nella sua relazione all’assemblea della Federazione del 1974, il sogno di Alessandro Ghigi (altro padre nobile della nostra associazione), che immaginava la Pro Natura come prolungamento, nel Paese, dell’attività della Commissione per la Conservazione della Natura del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Quella Commissione venne vergognosamente lasciata morire, il CNR e tutto il mondo della ricerca vivono momenti difficili.
La politica del parchi e delle aree protette – cui Valerio Giacomini dedicò grande impegno e delle cui intuizioni è testimonianza viva ed attuale quel “Uomini e parchi” scritto da Valerio Romani e recentemente ristampato – corre seri rischi.
Quali richiami maggiori per una ripresa forte del nostro impegno?
Ambientalismo, mondo dei parchi e mondo della ricerca, possono insieme riprendere un percorso per far crescere una cultura dell’ambiente e del territorio che forse troppo presto avevamo data per acquisita.
La possiamo riprendere a partire proprio dalla parole che scrisse sul secondo numero di “Natura e Società”:

  • «Se consideriamo che la conservazione della natura non è altro ormai che il capitolo conclusivo della dottrina ecologica, possiamo renderci conto che nessuna efficiente attività conservazionale è attuabile altrimenti che su fondamento rigorosamente scientifico ecologico. Ma alla conservazione sono legati ormai i destini stessi dell’umanità: basterebbe questa considerazione per dimostrare il carattere umanissimo dell’ecologia e per rivendicare la sua fattiva presenza nella nostra cultura scientifica».

Un testamento spirituale che suona, oggi ancor più che allora, come un monito che dobbiamo raccogliere.

* Presidente di Pro Natura