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Parchi e riforma

I Parchi italiani servono bene la missione per cui sono istituiti?

(Sassalbo, 12 Mag 16) La nuova rivista Ecoscienza, un punto di riferimento importante nell'informazione ambientale e delle politiche di sostenibilità perseguite dalla Regione Emilia-Romagna e da Arpa, ospita nel numero di maggio un articolo nel quale Fausto Giovanelli, presidente del Parco Nazionale dell'Appennino Tosco Emiliano, riflette sull'esperienza dei Parchi e sulla riforma della Legge 394/91 che ne sancisce l'istituzione.

Ho sempre avuto passione e interesse per i Parchi, come luoghi di bellezza da visitare prima, poi – in altra veste - come istituzioni territoriali da promuovere. All'inizio li pensavo come un qualcosa di "altro", estraneo e separato rispetto al contesto territoriale, culturale e politico. 

Dopo anni di lavoro legislativo e parlamentare sulla materia e ora di avvio e gestione di un nuovo Parco Nazionale, ne ho maturato un' idea diversa.

Non "altro", ma piuttosto "dentro".

Qui, nell'Europa forgiata da secoli di civilizzazione e antropizzazione del paesaggio, proprio per svolgere al meglio la loro missione di protezione della natura, i Parchi non possono essere solo "altro"; devono piuttosto essere "dentro".

Luoghi speciali sì, ma anche parte di noi, del nostro modo di vivere e di lavorare; dimensioni di cittadinanza consapevole e responsabile, in relazione intima con la governance ordinaria del territorio e delle sue rappresentanze elettive.

A questa visione dovrebbe sempre più corrispondere anche la legislazione sui Parchi, che in Italia, ha avuto all'origine un imprinting originario di "altro" e "alternativo".

Forse era inevitabile, visto proprio che, nel bel Paese, i Parchi sono nati più tardi che altrove, solo per la spinta di movimenti e associazioni ecologiste apertamente in lotta con un establishment e un senso comune, tutti immersi nell'idea novecentesca della crescita economica a ogni costo.  

Pur con questo imprinting, la legge quadro 394/91, elaborata e votata con una larga convergenza parlamentare, ha saputo cogliere la specificità europea dell'intreccio tra storia umana e storia naturale.

Grazie ad essa, i Parchi sono oggi una realtà concreta ben diffusa in Italia, così come lo sono ormai in tutto il mondo, a ogni latitudine geografica e politica.

Sono ormai  alle nostre spalle i tempi "eroici" della fondazione e della discussione accanita su parco sì o parco no. Le domande di oggi sono maledettamente più concrete e impegnative: " i Parchi italiani servono bene la missione per cui sono istituiti? Come riformarli per farlo meglio?

E – aggiungo io – possono farlo da soli?".

"Una riforma migliorativa dell'ottima legge 394/91 deve guardare ai 24 Parchi Nazionali e ai quasi 200 parchi regionali come una galassia separata?

O piuttosto come una parte dell'ordinamento statutale e della Governance territoriale nel suo insieme?.

Deve guardare ai parchi come progetti di isole felici o come laboratori avanzati di ricerca per uno sviluppo sostenibile dell'insieme del territorio circostante?"

Sono ovviamente domande retoriche.

Il funzionamento e l'efficienza degli Enti Parco è dunque importante. Ma altrettanto importanti sono le relazioni con altre istituzioni, con imprese,  istanze della società civile e con soggetti privati. Deve suggerire qualcosa in proposito la dinamica espansiva dell'esperienza delle riserve Unesco dell'Uomo e della Biosfera, che in Italia hanno recentemente coinvolto il Monviso, il Delta del Po, le colline di Torino, la Sila, la Selva Costiera Toscana, il nostro Appennino Tosco Emiliano e altri territori.

Sono esperienze che mettono in valore le relazioni collaborative tra Parchi e più vasti territori circostanti e che allargano creativamente il raggio e la mappa delle collaborazioni con istituzioni e istanze della società, nel campo della ricerca, della formazione culturale, della nascita e della crescita di professioni e imprenditorialità orientate allo sviluppo sostenibile. Siamo nel "Bel Paese", uno dei luoghi più attrattivi del mondo, una terra la cui bellezza è stata scritta e narrata nei capolavori della letteratura e delle arti.

Siamo il Paese delle leggi Bottai e Galasso, il Paese che per primo in Europa ha inserito il paesaggio tra i principi fondamentali della sua Carta Costituzionale e che ne ha coniato ed elaborato il concetto giuridico con esso un'idea di territorio oltre la pura dimensione fisico-naturale.

Perché allora i nostri Parchi, dall'Etna alle Dolomiti, non sono ancora sentiti come parte essenziale del nostro orgoglio e identità di italiani, del patrimonio culturale e della ricchezza della Nazione, come lo sono il Colosseo, Piazza S. Marco e la Valle dei Templi?

Probabilmente è stato un errore l'aver accettato di scomporre, sia pure per serie ragioni politiche, il valore ambiente dal valore paesaggio; e l'avere poi costruito strutture amministrative separate,  per l'ambiente da un lato e i beni culturali, ambientali e il paesaggio dall'altro.

La parola Parco non compare in nessuno dei 139 articoli della nostra Costituzione.

Ma i valori interpretati oggi dai parchi, le loro potenzialità per dare identità e ricchezza all'Italia sono tutti iscritti fin dal 1948, dentro l'art. 9 dei suoi principi fondamentali della Carta.

Oggi, a 70 anni da quella data e a 25 dalla legge 394, i parchi nazionali, regionali  e rete natura 2000 coprono quasi  il 20% del territorio e disegnano un reticolo istituzionale diffuso in tutto il paese.

Questa rete tende a espandersi ulteriormente, proprio mentre, all'opposto, si riduce la storica articolazione istituzionale, come testimoniano l'abolizione delle Province, e la spinta a ridurre e accorpare piccoli comuni, Camere di Commercio, consorzi e municipalizzate.

Non ci dobbiamo stupire.

Oggi, a 150 anni dalla nascita del primo parco a Yellowstone, in tutti i paesi del mondo sono sempre più presenti e consolidate: pubbliche istituzioni a base territoriale, dedicate a conservare e a far crescere il valore della natura e dell'ambiente.

Si chiamano Parchi.

Nel secolo che assume la sfida globale nello sviluppo sostenibile i parchi sono indiscutibilmente parte integrante, imprescindibile della Governance pubblica. 

Non ci sono ragioni per aver timidezze o incertezze nel rafforzare la legislazione sui parchi, né a livello regionale né a livello nazionale.

Mettere gli Enti Parco in condizione di essere all'altezza del nome che portano e delle idee che esprimono è la sfida dell'innovazione legislativa.

Ma anche un'opportunità per l'Italia.

Sembra premano "altre" urgenze: l'occupazione nel sociale, il debito nella finanza pubblica, la riforma del bicameralismo perfetto nelle istituzioni.

Ma siamo certi che il tema dei Parchi non abbia a che fare con la qualità e la competitività del sistema Italia? Dei suoi turismi, del suo agroalimentare, della sua enogastronomia, della sua creatività, del valore del bello, della qualità del modello di vita italiano?  Ha a che fare eccome!!! È più concreto di tante ingegnerie amministrative.

Il tema è tutto, pienamente e attualmente "dentro" le risposte da dare alla crisi e alla stagnazione italiana.

Merita risposte all'altezza.

Buone e importanti mi paiono le nuove norme in cantiere che tendono a rendere più concreto ed efficiente l'agire dei Parchi.

Ma se a qualcosa si più si può ambire, suggerirei quattro temi di ricerca e innovazione.

a) Il Ministero dell'Ambiente non dispone di grandi risorse finanziarie da distribuire agli Enti .

Ma la sua autorevolezza di governo, se spesa bene, può essere importantissima nel costruire tavoli e progetti di collaborazione tra Parchi ed altre entità territoriali ed economiche.

Su questo la legge va migliorata ma soprattutto attuata.

b) Consentire agli enti Parco di dotarsi di agenzie che possano operare con gli strumenti del diritto privato per entrare in relazione dinamica con gli attori veri dello sviluppo sostenibile, quali imprese e professioni.

c) Su Parchi e tutela paesistica: coordinare e ridurre ad unum i sistemi autorizzativi, paesistico e dei parchi è ormai urgente , ma non basta.

Serve un dialogo stretto e profondo, a tutto campo, tra i 2 Ministeri dell'Ambiente e dei Beni Culturali e Ambientali.  

I piani dei parchi e i piani paesaggistici non possono continuare ad essere cose diverse, in assurda competizione.

Leggiamo i principi della nostra Costituzione e vedremo che sono parti della stessa cosa.

Va assegnato ai territori di Parco un ruolo di laboratori e battistrada-e non di competitore - delle più estese previsioni e azioni di tutela del paesaggio.

E vanno superate tutta la mitologia,  la burocrazia e le lentezze che si sono organizzate intorno alla parola "Piano", che ( in questo campo  l'esperienza parla chiaro)  ha assorbito e annullato i fini nel mezzo e sta diventando un impiastro piuttosto che uno strumento.

d) Intervenire per costruire nell'ambito dell'Arma dei Carabinieri e del processo di "fusione/assorbimento" del CFS un omologo italiano del Park Service degli Stati Uniti. E' un'operazione che si può fare "senza costi", riorganizzando meglio quelli che sono gli attuali CTA (Coordinamento Territoriale per l'Ambiente) e UTB, estendendone le funzioni e la collaborazione ai Parchi Regionali e aggiungendo una funzione di presidio e tutela -promozione del ricchissimo patrimonio culturale (dai Siti Unesco alle Città d'Arte). Un simile "corpo" non sarebbe solo "di polizia". Sarebbe irrobustimento dell'autorevolezza e delle risorse umane a disposizione dei parchi; sarebbe presidio, identificazione, guida, informazione, accoglienza, gestione, educazione: un investimento dell'Italia sui suoi beni comuni più preziosi.

Parchi e riforma
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