(Riomaggiore, 27 Giu 17)
Sentiamo continuamente parlare di paesaggio, ma "che cos'è il paesaggio?" A questo interrogativo
sono state spese molte parole e molta carta nel corso del tempo, ancor di più se si pensa a tutte le
digressioni su teorie, significati, caratteristiche e interpretazioni. Il geografo Umberto Toschi negli
anni '60 evidenziò le fondamentali differenze tra il "paesaggio dei geografi" e "paesaggio dei non
geografi" facendo comprendere al primo anche "ciò che c'è dietro a quel che l'occhio vede da un
punto", ed inoltre considerandolo "nel tempo". Il paesaggio dei geografi, precisa, è "l'insieme di
tutte le fattezze sensibili di una località, nel loro aspetto statico e nel loro dinamismo".
Cosa c'è "dietro" al paesaggio delle Cinque Terre? È certo riduttivo dire che c'è l'uomo, anche
perché come sostiene Lucio Gambi "il paesaggio è soprattutto ciò che non si vede", ma esso
rappresenta sicuramente l'elemento caratterizzante di questo Parco Nazionale. Un territorio isolato e
poco mutato, che ancora agli inizi del XX risultava quasi interamente terrazzato e coltivato con
quasi 8000 km di muretti a secco. Fu sempre l'uomo, con un processo iniziato alla fine del XIX
secolo, a sancire il declino del suddetto territorio. Facendo venir meno il secolare isolamento con
l'arrivo della ferrovia, in concomitanza al presentarsi di alternative alla faticosa tradizione
contadina tra i terrazzamenti (es. l' Arsenale di La Spezia), si diede origine ad un'emorragia nella
popolazione: ciò che l'uomo abbandonò, la natura lo riprese. Le Cinque Terre rinacquero alla fine
del XX secolo, con il riconoscimento, da parte del livello regionale prima e da quello internazionale
dopo, del valore intrinseco del luogo, inserendole così nel circuito del turismo internazionale.
Oggi le Cinque Terre si presentano con meno di 4.000 abitanti, in diminuzione e con elevati indici
di anzianità, con un rapporto tra attività legate al settore primario e le attività di alloggio e
ristorazione di 1 su 4, e con continui incrementi turistici: oltre un 1.300.000 presenze nel 2015 (solo
all'interno del Parco). Quest'ultimi dati se non messi in relazione al luogo apparirebbero più che
positivi, ma se inseriti in quel contesto fragile che sono le Cinque Terre, sono allarmanti. I
terrazzamenti che hanno dato la fortuna a questo luogo, abbandonati e soggetti a una tale pressione,
si sono rivelati il punto debole del Parco: il recupero di 200 ettari di terrazzamenti previsti dall'Ente
Parco sembrano inevitabili. Le Cinque Terre si trovano quindi nel punto di maturità turistica, il che
le mette in una posizione di non ritorno: rinnovamento o declino. Sarà compito delle governance
trovare il giusto optimum turistico. Una sfida che prevede come obbiettivi: il sostegno
all'agricoltura, sviluppo sostenibile, supporto alle comunità locali, educazione, protezione
dell'ambiente, innovazione e sensibilizzazione turistica. Il coinvolgimento e l'apertura a nuovi
stakeholders sarà essenziale, così come mettere in reazione il Parco al territorio regionale
circostante e a quello nazionale, e la ricerca di nuovi paradigmi turistici e agricoli.
Qualsiasi strategia non potrà funzionare se non considererà la "conservazione" e la
"valorizzazione". Bisogna però tenere in mente una cosa: il paesaggio non è né museificabile né
restaurabile, perché rappresenta la risultante di tante età e processi, le mutazioni cui va soggetto
vengono incluse come una caratteristica dello stesso, nel tempo mutano i ruoli, i significati, le
funzioni dei suoi elementi, a causa del modificarsi delle relazioni tra gli uomini, e tra gli uomini e le
cose. Considerando il paesaggio come un bene culturale, non si può congelare, il presente va
accettato. Bisogna sì continuare a trasmettere il patrimonio intrinseco storico-culturale, così come
garantire l'equilibrio e la sicurezza del territorio, ma senza cadere nell'anacronismo, come per
esempio pensare di riportare il paesaggio delle Cinque Terre a cento anni fa.