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Parco del Circeo padre e figlio indagati per l’intimidazione

Richiesta di interrogatorio dopo la notizia che i carabinieri avevano isolato il Dna. Uomo ascoltato per ore in Procura

(17 Settembre 2019) Quando ha letto che c'era l'esame del Dna sapeva benissimo che aveva ormai poche possibilità di farla franca. Così attraverso i suoi avvocati ha chiesto di essere ascoltato per raccontare la sua versione dei fatti. Un'istanza che i pubblici ministeri Carlo Lasperanza, Antonio Sgarrella e Valentina Giammaria, hanno fatto notificare la fissazione dell'interrogatorio. Lui è Giovanni Scavazza, 67 anni, di Sabaudia, accusato insieme al figlio Nicolò di 36, di concorso in minacce e incendio. La vicenda è quella del liquido infiammabile sparso intorno agli uffici del Parco Nazionale del Circeo, con il successivo ritrovamento anche di una busta con proiettili indirizzata al comandante della stazione carabinieri forestali, Alessandro Rossi. I due sono indagati per avere compiuto «atti idonei e diretti in modo non equivoco a cagionare l'incendio della centrale termica, non riuscendovi per cause indipendenti dalla loro volontà» e per le gravi minacce al comandante «abbandonando un plico contenente 4 cartucce calibro 12 marca Fiocchi». I militari del nucleo investigativo avevano fatto un lavoro certosino per quanto riguarda le indagini "classiche", cercando le pratiche che potevano aver dato fastidio a qualcuno, precedenti "minacce" benché non di questo calibro, erano arrivati a escludere parte dei sospettati e via via si erano concentrati sull'uomo che ieri in Procura ha raccontato la sua versione dei fatti, assistito dagli avvocati Giampero Vellucci e GaetanoMarino. A dare conferma ai militari che si trattasse di lui erano stati i riscontri scientifici del Racis dei carabinieri che avevano isolato delle impronte. LE IPOTESI Ma perché tentare l'incendio? Sul movente il riserbo resta stretto. La ricostruzione possibile è che negli uffici del Parco Nazionale del Circeo ci fossero le pratiche relative a degli abusi commessi dal figlio. Documenti che, attraverso l'incendio, sarebbero andati distrutti. Ma è solo una ipotesi, al momento, e tra l'altro la posizione del figlio rispetto a quella paterna sarebbe defilata. Una cosa è certa, Giovanni Scavazza non ha potuto materialmente portare da solo le grosse taniche e anche per questo motivo non si esclude la presenza di ulteriori complici. La notizia del possibile Dna ha suggerito all'uomo, evidentemente, di giocare d'anticipo e presentarsi con gli avvocati per raccontare come fossero andate le cose dal suo punto di vista. Dopo l'interrogatorio si vedrà come agiranno i magistrati che seguono il caso. Una vicenda che il 25 giugno scorso (l'episodio è avvenuto la notte precedente) ha avuto una grossa eco mediatica, tanto che arrivò al Parco Nazionale anche il ministro dell'ambiente Sergio Costa e l'attentato fu oggetto di un apposito comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica. Solo pratiche da far "sparire" bruciandole - come vuole una delle ipotesi - o c'è anche altro?


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Fonte: Il Messaggero

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