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Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona, Campigna




  Crinali
Notiziario Ufficiale del Parco Nazionale Foreste Casentinesi, Monte Falterona, Campigna
Anno VII - Numero 18 - Primavera 2001


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Campigna, Pian del Grado e Celle
Gli alberi per la Cattedrale di Firenze
di P. L. Della Bordella

Le abetine, all'interno delle Foreste Casentinesi, coprono una superficie di 565 ettari di cui 233 nella Foresta di Campigna. Abeti nelle foreste naturali e abeti nelle colture secolari: Campigna offre entrambe le possibilità di osservazione e visita attraverso i numerosi percorsi e il Sentiero Natura organizzati dal Parco.
Oggi la località Campigna, a venti chilometri da Santa Sofia sulla strada che conduce al passo della Calla, è un punto di ritrovo, di ristoro, di soggiorno e partenza per addentrasi nel Parco, facendo magari sosta al Museo Forestale e nella Villetta di Campigna, dove è allestito un punto di informazione del Parco dedicato a questa bellissima foresta.
Il nome Campigna, che si suppone abbia avuto origine dal latino "campilia" con valore collettivo da "campus" e che indicherebbe forse un insediamento militare d'epoca romano imperiale, è citato, per la prima volta, in un documento dell'Abbazia nullius di Sant'Ellero a Galeata e lo troviamo riportato su una pergamena di Camaldoli dell'anno 1223. Possedimento dei conti Guidi di Modigliana dagli inizi del X secolo, nel 1376 la selva di Campigna entrò nell'orbita del Dominio fiorentino, finchè nel 1380 la Repubblica Fiorentina assegnò gli abeti all'Opera del Duomo di Firenze, affinché dal commercio del legname da qui esboscato, reperisse i fondi necessari alla costruzione della Cattedrale.
I Consoli della Corporazione dell'Arte della Lana, incaricati dalla Repubblica fiorentina, gestirono al proprietà di Campigna fino al 1818, sfruttandola in maniera impietosa. L'esbosco da questa foresta avveniva a strascico servendosi di bestiame da smacchio.
Talvolta per il trasporto degli abeti maggiori, lunghi fino a trenta metri ed impiegati come alberi di maestra, era necessario "aggiogare" anche settantacinque paia di bovi per ciascun traino.
Solo un impiego di forza così rilevante era adeguato per trascinare quei tronchi su, oltre l'Appennino, verso la Toscana, per scendere al porto fluviale della Badia di Pratovecchio.
Da questo "porto", legati in lunghe zattere (foderi), nei periodi di massima portata dei fiumi, gli abeti venivano "fluitati" via Arno verso Firenze e l'Arsenale di Pisa.
Per tre soldi di compenso, eroici nocchieri, detti foderatori, s'imbacavano su queste pericolosissime zattere. Stando diritti e in guardia continua, pilotavano questi tronchi con lunghe pertiche per oltre cento chilometri verso il mare.
Tra le rapide e i massi affioranti dall'Arno in piena, la loro vita era sempre alla mercè della sorte. Spesso questi alberi, al traino di velieri, venivano poi consegnati ai cantieri del Mediterraneo fino a Malta e Tolone. Quanti mari hanno solcato gli alberi di Campigna! Le prime testimonianze della chiesa dedicata a Santa Maria, in località Le Celle, risalgono al 1233, anche se oggi, dopo l'esodo degli anni '50 e '60, la titolarità della chiesa è passata a quella più recente costruita in Campigna.
Dall'antico nucleo di Celle e dai poderi che ne facevano parte si diramano numerosi sentieri, in particolare quello spettacolare detto delle "Ripe toscane" che unisce Lago di Corniolo appunto con Celle, Pian del Grado, Poggio Corsoio e poi, svalicando il crinale, la Toscana. Il borgo di Pian del Grado è molto interessante sotto il profilo della conservazione tipologica perché gli antichi proprietari non hanno mai venduto allo Stato le loro case e le hanno ristrutturate con gusto salvandole dal degrado. Posto ai margini della foresta di Campigna, in cui risiedevano operai e guardiani alle dipendenze dell'Opera di Santa Maria del Fiore, è stato a lungo un centro di lavorazione artigianale del legno e rinomato per i fertili pascoli. Tutta l'area è per molti versi speciale, sia per la impervietà dei luoghi e i rimandi della letteratura popolare allo spirito del malvagio Mantellini e alle Rive del Satanasso, un ardito e pericolo sentiero che da Pian del Grado, con pendenze mozzafiato, mena al massiccio del Falterona.