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Parco Nazionale della Val Grande



Atti del Convegno
  Wilderness e turismo integrato - Opportunità o conflittualità?

”La wilderness nelle Alpi”

MAJESTIC
19 ottobre 1996
Cos’è la wilderness?

Dal momento che tutti noi siamo intervenuti a questo interessante convegno per parlare di wilderness, è necessario spiegare brevemente cosa si intende con questo termine. O meglio, che cosa non intendiamo: quando oggi parliamo di wilderness dobbiamo sapere che non può esserci alcun ritorno. Duecento milioni di cittadini degli Stati Uniti non lasceranno il loro paese per restituire la terra sottratta ai nativi indiani. E sulle Alpi è lo stesso. Non si può revocare una realtà che si è prodotta attraverso i secoli, piuttosto ci dobbiamo chiedere quale può essere il significato di wilderness oggi, alla fine del XX secolo. Una wilderness – che è sempre stata tale, e come tale si è conservata – è pressoché scomparsa in Europa. Noi non possiamo rimpiazzare questa wilderness “perduta”, ma possiamo cercare di lasciarla rinascere di nuovo.

Le aree wilderness – luoghi selvaggi, natura selvaggia – devono quindi essere prima di tutto aree in cui la tutela della natura è prioritaria. All’interno di esse si garantisce il naturale sviluppo delle biocenosi che interagiscono con il proprio ambiente. Oggi questo non si può verificare quasi più in nessun luogo. Ciò comporta la rinuncia allo sfruttamento economico e avvia di solito un processo di rinaturazione. Questo nuovo tipo di wilderness, localizzato perlopiù nelle aree centrali di parchi nazionali, implica l’abbandono dell’agricoltura e della selvicoltura, nei fondovalli così come sugli alpeggi. In casi specifici ciò può anche provocare inizialmente una riduzione della biodiversità. A lungo si è pensato che la biodiversità potesse essere salvaguardata solo attraverso un congelamento ed una rigida conservazione di ogni sviluppo.

Forse certe condizioni, che apparentemente non hanno nulla in comune con gli obiettivi prefissati, costituiscono la premessa per efficaci forme di tutela di determinate fasi di sviluppo degli ecosistemi.

E proprio qui, nella Val Grande, tali processi sono iniziati da molto tempo, perché dopo la seconda guerra mondiale questa vasta area è stata completamente abbandonata e la natura ha potuto riprendere il sopravvento. Ma oggi è importante istituire aree wilderness anche dove non sussistono queste condizioni privilegiate.

La wilderness non è quindi necessariamente la foresta vergine – in Europa ormai pressoché sconosciuta – ma significa piuttosto lasciare libero corso alla natura, “abbandono dello sfruttamento”.

Perché wilderness?

Nella prima metà del secolo Aldo Leopold è stato importante pioniere della wilderness negli Stati Uniti. Egli affermava: “Siamo abituati a prendere le cose della natura come fossero scontate, come il vento e il tramonto, finché il progresso non inizia a sopprimerle. Ora stiamo davanti alla domanda se uno standard di vita più elevato debba esser pagato con tutto quanto è naturale, libero e selvaggio. Per noi, la minoranza, la vista delle oche selvatiche è più importante della televisione, e la possibilità di trovare le primule un diritto altrettanto irrinunciabile della libertà di opinione”.

Leopold considera quindi la wilderness uno dei diritti umani. Egli ha anche ottenuto che il “Wilderness-act” garantisse ad ogni americano il diritto alla wilderness.

Ma ci sono anche motivazioni pratiche che rendono importanti le aree selvagge. Innanzi tutto, di molte cose della natura abbiamo scarse conoscenze. Ci sono infatti solo teorie sullo sviluppo naturale di determinati ecosistemi. Ma per poter veramente imparare dalla natura, dobbiamo sapere come essa si comporta quando l’uomo non la influenza. Solo grazie a queste conoscenze diventa possibile uno sviluppo sostenibile.

Aldilà di tutto ciò io credo tuttavia che l’uomo abbia bisogno di wilderness. E qui mi riferisco ai grandi spazi selvaggi, ma anche alla wilderness “in piccolo”, le aree abbandonate nei pressi delle città e rioccupate dalla natura. Ma sulla wilderness “in piccolo” ritornerò più avanti.

Se noi guardiamo ad altri continenti, possiamo renderci conto che la wilderness è importante senza che sia necessario doverlo motivare. Noi chiediamo infatti che le foreste tropicali del cosiddetto Terzo Mondo siano conservate attraverso un non utilizzo. Nelle Alpi però abbiamo sfruttato praticamente tutti i boschi e non abbiamo più tracce di boschi primigeni di vasta estensione.

Credo che sia giunto il momento di considerare la Terra come un organismo vivente, verso cui dobbiamo mostrare rispetto attraverso forme di autolimitazione.

Attraverso l’istituzione di aree in cui la wilderness è protetta possiamo dunque da un lato conservare le specie presenti e i biotopi; dall’altro possiamo creare nuovi territori in cui possiamo osservare e imparare come si sviluppa la natura senza interventi antropici. E questo rappresenta il fondamento di un’economia sostenibile.

Wilderness – è possibile ai giorni nostri?

E’ molto difficile, soprattutto nei Paesi di lingua tedesca, prendere la decisione di rinunciare consapevolmente allo sfruttamento di una determinata area. Persiste ostinatamente il mito per cui tale atteggiamento nelle Alpi debba provocare catastrofi e rovine, nonostante numerose esperienze nelle Alpi meridionali e sud occidentali abbiano dimostrato che ciò è falso.

Numerose ricerche hanno dimostrato che per molte persone il “paesaggio ideale” delle Alpi è ricco di siepi e gruppi di alberi, coltivato, con prati possibilmente variopinti, articolato ma tale da consentire una facile visione dell’insieme. In breve: l’immagine del paesaggio culturale agricolo, nel quale l’ordine regna sovrano. Da un’inchiesta del 1995 della rivista tedesca “Natur” risulta che solo il 19% dei tedeschi apprezza una natura “intatta”.

Questo atteggiamento ha profonde radici nelle paure arcaiche di ciò che è selvaggio. Questo si può comprendere facilmente nell’esempio del bosco. Harrison scrive: “Per quanto concerne l’ordinamento sociale medioevale (…) i boschi erano foris (l’al di fuori). In essi vivevano i reietti, i folli, gli amanti, briganti, eremiti, santi, lebbrosi, esuli, marginali e gli uomini selvatici. Dove dovevano andare altrimenti? Al di fuori della legge e della società umana si era nel bosco. “Il bosco è bensì anche uno spazio vitale, ma è l’opposto del luogo in cui nessuno deve aver paura”. Tra questi due estremi corre lo spartiacque tra cultura e natura: qui il Giardino dell’Eden (cristiano), lì gli spazi selvaggi (pagani).

Anche le fiabe dei fratelli Grimm mettono in luce l’aspetto terrificante del bosco.

La discussione sulla wilderness viene seguita con grande diffidenza dalla popolazione. I diretti interessati infatti temono – certamente motivi diversi da quelli sopra elencati – che non si tenga conto dei loro bisogni fondamentali: posti di lavoro, sicurezza, fonti di sussistenza. Dovremmo quindi avere imparato dalle esperienze passate che l’istituzione di aree wilderness – così come altre misure di tutela della natura – sono possibili solo se tutti i gruppi di interesse vengono coinvolti dall’inizio nella progettazione.

Ciò nonostante oggi è più che mai il momento di creare nuove aree wilderness nelle Alpi. L’agricoltura europea si trova in una fase di profonda trasformazione strutturale. Si può supporre che nel prossimo futuro un terzo della odierna superficie coltivata non sarà più utilizzata per motivi economici. Si può inoltre supporre che ciò colpirà soprattutto le zone più svantaggiate dal punto di vista agro-economico. L’esperienza mostra che l’agricoltura si è ritirata prima dalle zone in cui condizioni particolarmente svantaggiate non sono state bilanciate da misure compensative. Nell’Europa centrale questo si è verificato nel versante meridionale dell’arco alpino, cioè in Francia e in Italia. Per ogni regione si pone qui la domanda su quali possano essere gli obbiettivi a lungo termine. Risulta tuttavia evidente che comunque questa evoluzione favorisce l’istituzione di aree wilderness nelle Alpi.

Wilderness nelle Alpi – come si presenta?

Aldo Leopold afferma: “Wilderness, con ciò intendo estesi paesaggi nella loro condizione naturale, nei quali è consentita la caccia e la pesca. Devono essere abbastanza vasti per poter intraprendere una cavalcata di due settimane, e non devono mostrare traccia di strade, vie artificiali, capanne o altri segni dell’attività umana”.

Le nostre aspirazioni non possono giungere a tanto.
Qui nella Val Grande, Voi sapete molto bene qual è l’aspetto di un parco che tutela un’area wilderness, e in nome della CIPRA-Internazionale mi voglio cordialmente congratulare con Voi per questo Parco. Sono consapevole del fatto che è stato molto difficile mettere in atto questa bella intenzione, e in effetti gli ostacoli non sono certo mancati.

Il professor Bernd Lotsch di Vienna ha detto “Vuoi veramente conoscere la gente? Allora progetta un parco nazionale!” E tutti quelli che hanno preso parte alla progettazione e alla realizzazione possono certamente capire molto bene questa frase. Ma ce l’hanno fatta, e il Parco della Val Grande ha oggi uno straordinario valore ambientale e paesaggistico. Esso rappresenta la più estesa area wilderness delle Alpi ed è uno dei più significativi territori protetti in Europa.

Wilderness anche “in piccolo”

Vorrei dunque non parlare dell’allestimento di grandi aree protette nelle Alpi. Dopo di me interverranno altri relatori che potranno dire di più su questo tema.

Vorrei invece sottolineare che non esiste solo la wilderness “in grande”, come quella della Val Grande per esempio. Credo che sia importante non dimenticare che sono possibili aree protette anche in spazi ridotti. La relazione del Worldatch Institute del 1992 afferma che uno dei motivi della minaccia della biodiversità consiste nel fatto che gli abitanti della città, in primo luogo, hanno scarse esperienze della natura, e in secondo luogo, mostrano una comprensione ancora inferiore del suo significato. Pare inoltre che i cittadini non avvertano la mancanza di ciò che non conoscono.

Proprio perciò è importante che anche nei luoghi in cui molte persone trascorrono la maggior parte della loro vita – nelle città – sia possibile fare esperienza di wilderness. Anche Aldo Leopold non considerava solo importante la vastità di un territorio: “La wilderness si può manifestare in diverse sfumature, da un fazzoletto di terra lungo un fiume rimasto casualmente intatto, in mezzo ad una piantagione di mais, fino alle sconfinate foreste primigenie”. Anche all’interno del paesaggio culturale ci sono aree che si possono restituire alla natura, zone di speranza, in cui si può di nuovo sviluppare la wilderness.

La CIPRA chiede quindi, nell’ambito dell’attuazione della Convenzione delle Alpi, la creazione di nuove aree protette di dimensioni limitate, anche a livello comunale. I comuni si devono attuare su base volontaria affinché le autorità competenti istituiscano aree protette finalizzate, oltre che alla tutela della natura, all’educazione ambientale: esse dovrebbero mostrare alla popolazione locale – in particolare ai bambini e ai giovani – e ai turisti come si sviluppa la natura in assenza di un intervento attivo da parte dell’uomo. Tali aree protette possono comprendere riserve naturali forestali, corsi d’acqua allo stato naturale o aree wilderness.

Noi dovremmo fare in modo di non essere l’ultima generazione che negli agglomerati urbani ha potuto trovare spazi in cui costruire capanne, che ha potuto muoversi in spazi non regolamentati. Ai giovani che si possono sfogare solo nei supermarket o a Disneyland manca qualcosa di essenziale.

Parco nazionale – paesaggio nazionale

Appare quindi sensato accettare la wilderness anche nei territori popolati. Non abbiamo tuttavia certo l’obbiettivo di ricoprire di parchi nazionali tutto l’arco alpino. Al contrario, ci sono luoghi in cui il paesaggio dovrebbe essere salvaguardato senza creare un parco nazionale. Nel corso di un secolare sfruttamento tradizionale e relativamente intensivo si sono sviluppati determinati paesaggi culturali, dotati di una elevata varietà specifica, dipendente proprio da queste forme di utilizzo. Questi ambienti, interessanti dal punto di vista naturalistico e paesaggistico, rischiano di essere cancellati dall’attuale trasformazione strutturale dell’agricoltura.

Risulta pertanto opportuno individuare a livello globale alpino i paesaggi culturali tradizionali particolarmente degni di tutela. W. Scherzinger del Parco Nazionale “Bayerischer Wald” ha adotto a tale scopo il concetto di “paesaggio nazionale”. Qui si rende tuttavia necessario il rimborso delle particolari prestazioni ecologiche.

Nel suo Piano d’azione per l’applicazione della Convenzione delle Alpi la CIPRA chiede il collegamento di parchi nazionali e di “paesaggi nazionali” per soddisfare tale esigenza. Questo si dovrebbe realizzare attraverso la creazione di progetti di sviluppo regionali o interregionali, che prevedano uno sviluppo sostenibile di tutta l’area interessata, la prosecuzione di forme di utilizzo costitutive del paesaggio culturale e il libero sviluppo delle dinamiche naturali in un’area wilderness centrale.

Visione d’insieme

Si pone dunque la questione su dove si possano ancora creare parchi nazionali. Colpisce il fatto che i parchi nazionali sono stati finora istituiti nei luoghi in cui non si manifestavano conflitti economici. In questo modo la loro distribuzione assume però marcati tratti di casualità. Abbiamo quindi urgentemente bisogno di un piano globale per la tutela della natura, che definisca una rete di aree protette di grandi dimensioni. Ciò comporta in primo luogo la rilevazione da parte di ciascun stato di tutti i paesaggi tipici e dei relativi habitat. Nei parchi nazionali devono essere rappresentati tutti i tipi di habitat di un paese con un’estensione sufficiente affinché si possano conservare sia la varietà specifica, sia le dinamiche naturali nel loro sviluppo libero da interferenze antropiche.

Si rende quindi necessario utilizzare tutte le strategie e tutte le categorie di tutela previste, e poi collegarle tra di loro per realizzare questa rete di biotipi estesa su tutto il territorio. In questo quadro i parchi nazionali rappresentano elementi fondamentali, ma non certamente gli unici.

Conclusioni

Sono così giunto al termine della mia esposizione, concludo quindi riassumendo i punti principali:

  • la wilderness non è necessariamente la foresta vergine – in Europa ormai pressoché sconosciuta – significa piuttosto lasciare libero corso alla natura, “abbandono dello sfruttamento”;
  • per poter imparare dalla natura, dobbiamo sapere come essa si comporta quando l’uomo non la influenza. Solo grazie a queste conoscenze diventa possibile uno sviluppo sostenibile;
  • l’istituzione di aree wilderness è possibile solo se tutti i gruppi di interesse vengono coinvolti nella progettazione fin dall’inizio;
  • oltre ai territori protetti di grande estensione abbiamo bisogno di aree wilderness anche nelle vicinanze dei centri urbani. Così la natura selvaggia può diventare un’esperienza quotidiana di giovani e bambini. Perché l’uomo può amare ed è disposto a difendere solo ciò che conosce;
  • occorre individuare a livello globale alpino i paesaggi tradizionali particolarmente degni di tutela. Qui si rende necessario il rimborso delle particolari prestazioni ecologiche;
  • abbiamo bisogno di una visione d’insieme delle aree protette. Esse devono essere istituite in base alle esigenze di tutela della natura, e non in base a criteri casuali.

Andreas Gotz - Direttore Commissione Internazionale per la protezione delle Alpi - Lichtenstein