Logo Parco Nazionale del Gargano

Parco Nazionale della Val Grande



Atti del Convegno
  Wilderness e turismo integrato - Opportunità o conflittualità?

”Turismo integrato”

Invitarmi a parlare in un Convegno dedicato sostanzialmente ai problemi delle aree protette non solo mi lusinga ma mi impegna ad essere in qualche modo portatore di qualche elemento e di qualche contenuto che non abbia sapore di ripetitività: un rischio che si corre sempre quando ci si dedica a un argomento che sta a cuore e si è chiamati a trattarne gli aspetti, i contenuti, i risvolti.

Parlare poi in particolare del turismo è ancora una cosa che mi lusinga ma che rappresenta per me e per loro anche un grosso rischio; perché come dirò dopo, io ho del turismo una concezione un po’ particolare e abbastanza in controtendenza rispetto alle opinioni maggiormente in auge ed alle intenzioni prevalenti.

L’interrogativo che è posto sotto al titolo di questo Convegno mi provoca ulteriormente per affrontare una tematica che è tutta da affrontare e risolvere. Una tematica che non si dovrebbe nemmeno porre in termini problematici in quanto si impone come di grande attualità in quanto ciò che sta davanti a noi e che costituisce l’esperienza vissuta ci spinge a credere non solo in una conflittualità ma addirittura in una incompatibilità. E’ questa incompatibilità che ci compete di rimuovere facendo un salto di qualità che non è solo gestionale ed operativo ma culturale nel suo significato più ampio.

E’ questo a mio avviso, il senso con cui possiamo affrontare il problema: negare l’ineluttabilità del negativo per affrontare e proporre il positivo.

Farò qualche breve premessa che servirà ad evitare dei malintesi o forse contribuirà a chiarire maggiormente il senso che vorrei dare a questo incontro e conseguentemente a questo intervento e alla intenzione con cui ho accettato di svolgerlo.

Io mi interrogo spesso, anzi spessissimo, su che cosa sia il turismo e quali siano i contenuti e le legittimazioni del turismo e del fare turismo. Essendo un vagabondo, uno che ha fatto attività di vagabondaggio, forse più che di turismo nel senso tradizionale, in giro per il mondo, l’interrogarmi su questa definizione ha al tempo stesso il senso un po’ di voler fare un esame di coscienza e quello di voler proporre agli altri non solo l’esame di coscienza, ma un impulso, un incentivo, un invito alla verifica.

Oggi tutti fanno turismo, o almeno fanno quel tipo di turismo che la società di oggi richiede, impone, suggerisce e propone e che ha finito col caratterizzare questa attività. Personalmente ritengo che tra quell’andare più o meno guidati o meglio portati e spesso trasportati verso mete più o meno convenzionali per ragioni non conosciute e a volte non confessate sia da chi le propone che da chi vi tende, rappresenti una soddisfazione, forse anche una verifica del proprio status symbol, molto spesso una affermazione di sé stessi e delle proprie possibilità, ma nulla o assai poco a che fare con il vero turismo o meglio col “fare turismo” e ancora meno con l’essere turisti.

Anche qui non vorrei essere frainteso perché evidentemente e immediatamente si può pensare che io sia assertore di un turismo elitario, riservato, quello di pochi, quello che romanticamente si rifà e si riallaccia ai turisti del Gran Tour o che rappresenta e presuppone una selezione a monte, basata più sul senso e sulle possibilità, sulle disponibilità o sui desideri. A questa interpretazione sento il dovere e il diritto di rispondere: No! io non sono su questa linea. Io credo in una selezione, credo che sia indispensabile e necessaria, credo che debba finire l’epoca del turismo indiscriminato, credo che si debba lavorare e operare perché il turista sia veramente un cittadino del mondo nel senso più ampio, disposto a vivere questa meravigliosa esperienza che la mobilità ci dà sempre di più, ma con perfetta coscienza, con consapevolezza, con senso di responsabilità.

Ecco perché io credo che buona parte di coloro che fanno i turisti o che vengono coinvolti a farlo, ben poco possono giustificare il consumo di energie proprie e di risorse e di beni altrui che producono, che fanno direttamente o che inducono e che alla fine si esauriscono in un generale impoverimento invece che in un complessivo arricchimento. Tante volte, forse troppe, ho detto che il turista vive un’esperienza che è in gran parte sostituibile e per una parte assolutamente insostituibile.

Le parti sostituibili sono quelle del vedere, del soddisfare il proprio senso di presenza, dell’essere nei posti senza capire o senza obbligo di capire perché ci sei, e quale sia il senso di questo privilegio che è esserci. Vi è qualche cosa che dalla festa paesana alla vita di gruppo, all’andare al soddisfarsi di emozioni del tutto epidermiche, all’ostentare la propria presenza, al documentarla con appropriazioni o testimonianze affidate a messaggi postali o fotografici appartiene alla vita del turista; però tutto questo è assolutamente sostituibile a mio avviso, anche con mezzi capaci di creare visioni e situazioni artificiali: bellissime proiezioni con sensazioni provocate artificialmente altrettanto valide e intense e così via.

Lo stesso si può dire e verificare per molte altre occasioni o possibilità, caratteristiche che fare turismo nel senso comunemente inteso può offrire: ma vi è qualche cosa che il turista, se lo sa vivere, se lo vive fino in fondo, può avere solo facendo questa sua attività che lo toglie dal mondo in cui vive abitualmente per portarlo in un’altra realtà, con altri connotati, con altra gente.

Questo è l’incontro; l’incontro vissuto in prima persona, vissuto intimamente, profondamente: incontro con le cose, incontro con le persone, con gli ambienti, con tutto ciò che ci circonda quando allontanandoci tanto o poco dalla nostra residenza ci offriamo e ricerchiamo la possibilità di stare o di inserirci in una realtà fatta di persone, di esseri, di presenze, di contenuti materiali e immateriali, di contenuti di entità diversi. Ma questo incontro, come tutti gli incontri che ci portano a un contatto vissuto, comunque vissuto, può essere vissuto da tutti coloro che vi partecipano o da una sola delle parti; può essere vissuto con profondità o con leggerezza; può essere vissuto con consapevolezza o con indifferenza: ma è un momento magico e proprio perché magico impone di essere vissuto perché unico e irripetibile nella pienezza delle proprie cognizioni con la dovuta preparazione, con la responsabilità piena di ciò che portiamo e di ciò che pigliamo; con il senso assoluto di essere in grado di valutare questo bilancio che si va stabilendo e con la consapevolezza che sta avvenendo qualche cosa di irripetibile al di là del quale la realtà nostra o quella di ciò che abbiamo incontrato o dei luoghi che abbiamo visitato non sarà più la stessa.

Questo è, a mio avviso, il punto fondamentale, qualificante, drammatico anche dell’essere e del fare turista. E’ quel senso della responsabilità per un messaggio che andiamo recando o che andiamo cercando, che diamo o che riceviamo, messaggi fatto di segni, di atteggiamenti, di parole, di esistenze, di essenze o di comunicazioni, un messaggio irripetibile e irrinunciabile ma che può cadere nel vuoto o su un terreno fertile a seconda di come viene proposto; può produrre effetti meravigliosi, come può cadere in una situazione drammatica accentuandone i drammi. Lo stesso può accadere a noi laddove non solo possiamo avere la responsabilità di avere sprecato l’occasione, per non avere colto il messaggio, non solo nel caso in cui lo abbiamo male interpretato, ma soprattutto laddove non avendolo compreso o essendoci fermati alla superficie o avendolo gestito male o avendolo vissuto impropriamente abbiamo sicuramente creato un impoverimento non solo a noi stesi ma a tutti coloro che hanno vissuto con noi questo incontro e che a loro volta possono intenderlo come un’occasione sprecata o come una violenza subita o come una provocazione i cui effetti si proiettano nel divenire delle persone, degli ambienti e sui loro rapporti.

Parlo di fatti fisici perché ognuno di noi può danneggiare qualche cosa o migliorare qualche cosa, ma parlo anche di fatti psicologici; noi rechiamo un messaggio ad esempio del nostro stare a persone che hanno uno stare diverso, noi portiamo un atteggiamento di appropriazione o di generosità laddove dall’altra parte ci può essere una disponibilità o indisponibilità, noi rechiamo spesso e volentieri dei sensi di arroganza o una voglia di potere di appropriarci laddove gli essere più deboli o le realtà biotiche più deboli hanno bisogno non solo del rispetto, non solo della tolleranza ma dell’aiuto a vivere ed a sopravvivere. Ecco allora che il problema del fare il turista, e spero non me ne vorrete se qui divento per forza di tempo abbastanza sintetico, in luoghi o in località particolarmente significative, diventa esasperazione di questa responsabilità ed esige il massimo della consapevolezza.

Ecco perché il turismo nelle aree protette diviene un’attività che solamente se è non solo compatibile, ma integrata nel senso più profondo, diventa ammissibile, legittima in quanto produttiva di risultati e di cultura.

Permettetemi un piccolo inciso ancora: laddove si parla di aree protette si deve avere sempre presente che la protezione si pone come necessità laddove esistono dei pericoli dai quali l’entità che merita protezione non sa difendersi da sola; e allora qualcun altro deve proporre i mezzi come dovere della collettività per aiutare questi Enti deboli a sopravvivere non solo per loro stessi ma nell’interesse di una collettività che non ne sa ancora percepire il senso, il valore, l'importanza, il significato e che quindi non riesce a farli propri.

E’ in questo senso che la protezione fatta di vincoli è una protezione solo temporanea, è una protezione che serve perché disciplina nel momento del pericolo perché sostiene una guerra contro coloro che vogliono appropriarsi o che non hanno la sensazione dell’importanza di fare sopravvivere questi Enti. Nel tempo la vera protezione viene solo dalla consapevolezza di tutti; viene cioè dalla capacità di una collettività civile di comprendere i suoi valori, di gestirli nel modo più proprio, di farli diventare produttivi per tutti, di farne patrimonio generale. In quel giorno tutti i membri della collettività, tutti, turisti, abitanti o non, divengono i protagonisti della protezione: questo deve essere il traguardo a cui dobbiamo tendere.

Questo è il traguardo per il quale il turismo gestito in un certo modo diviene non solo veicolo ma mezzo di formazione e di crescita culturale e assurge alla qualità essenziale di attività integrata.

Io ho un grande sogno: che nelle aree protette, e accetto questo limite solo in senso temporale perché ad un certo punto spero, continuo a sperare, che tutto il mondo possa essere protetto, che noi tutti possiamo diventare attori pieni di questa protezione dell’universo, in questi luoghi si formi la scuola, si formi l’aula grande in cui cresca e si formi la nostra cultura. Una cultura capace di rivivere l’eresia del poverello di Assisi che oppone la concezione biocentrica a quella antropocentrica.

Allora le aree protette avranno prima di tutto la necessità di un turismo che insegni un modo di fare turista, di intendere, di capire, che faccia crescere la cultura, la conoscenza, l’educazione, il senso di rispetto. Saranno loro, le aree protette, le sedi di quel vero turismo profondo, culturalmente cresciuto, fatto soprattutto di consapevolezza, fatto di responsabilità, quel turismo che potremo chiamare finalmente integrato perché diventerà un modo compenetrato, non compatibile come dicevo all’inizio, ma assolutamente sinergico, necessario, complementare per la vita e per la manifestazione di queste Entità in cui la natura ci parla, ci ammonisce, ci conforta o ci confonde secondo come riusciamo a confrontarci con lei, a compenetrarci nel suo divenire di cui siamo parte.

Io credo, e continuo a crederlo, che un gioiello custodito in una banca non serva a nessuno, serve solo per la memoria storica, serve ad accentuare l’egoismo, serve a consolidare l’esclusività che è manifestazione di egoismo e di povertà, non di ricchezza: ciò vale per tutto. Un gioiello messo al momento giusto, in vista, compreso nei suoi valori e nei suoi significati, sia espressi dalle pietre che lo compongono, sia dal modo come sono incastonate, dal modo come è stato fatto, dal perché è stato fatto, dal senso dell’averlo fatto e dal cuore che nel farlo vi si è trasfuso diventa un messaggio, diventa un simbolo, un segno, una comunicazione, diventa una ricchezza di tutti coloro che lo possono godere anche solo guardandolo perché la vista sia mezzo del capire e via per l’intelletto. Lo stesso può valere per le nostre aree protette, lo stesso vale per tutti gli oggetti della nostra attenzione, del nostro desiderio divisione di conoscenza purché sia come deve essere un desiderio di vera conoscenza, una tensione al capire.

Conoscenza che impone rispetto, conoscenza che impone umiltà, conoscenza che impone soprattutto, prima di tutto, l’acquisizione della consapevolezza del perché ci è consentito, del come ci è consentito, delle ragioni per le quali questo consentimento deve essere da noi ripagato con altrettanta capacità, non solo di comprensione e di consapevolezza ma anche e soprattutto di gratificazione.

Ho voluto questo comunicarvi o cercare di comunicare il senso che io do al termine di turismo integrato e del perché vedo nelle aree protette la grande palestra, la grande aula della formazione non solo delle scuole ma di tutti i turisti; vado sognando, ma i sogni a volte hanno la possibilità di tradursi in realtà purché diventino sogni diffusi e collettivi, che un giorno sul nostro territorio vi siano abitanti, turisti e non, venuti da lontano o residenti, che sappiano veramente vivere nella pienezza della consapevolezza, il privilegio che è loro offerto di accostarsi alle cose, di incontrare le cose e le persone, di vivere questo stato di grazia e soprattutto di saperlo assicurare non solo a sé stessi ma a coloro che verranno dopo; i quali leggendo il messaggio che da queste cose verrà e da questi nostri atteggiamenti sarà stato determinato, potranno rallegrarsi di noi e potranno rallegrarsi e impegnarsi perché il messaggio vada oltre. Il rischio che noi stiamo correndo in questo momento è quello invece che leggendo il messaggio che noi arrischiamo di lasciare, messaggio fatto di attività smodate frutto di una civiltà di consumi e di una civiltà irriverente dei valori e dei significati come qualcuno possa maledirci e possa dire veramente che abbiamo salvato solo qualche angolo di aree protette, se pur ci saremo riusciti; che non abbiamo saputo leggere il senso di una missione che doveva permearci a tutto l’Universo; allora quel giorno le aree protette non saranno più il senso della nostra scuola, della nostra formazione, della nostra civiltà, ma il simbolo e la testimonianza della nostra insipienza e di un tardivo pentimento che abbiamo voluto noi stessi lasciare quale testimonianza delle nostre colpe.

In quel giorno, se mai dovesse venire, ma che potrebbe venire, e che verrà se non sapremo mutare noi stessi e le regole del nostro essere e del nostro porci, le ragioni di fare turismo saranno cessate o si saranno banalizzate al punto da impedire di dare ad esso un significato; quel giorno invece di parlare di un turismo integrato qualcuno dovrà parlare di un turismo degradato, scellerato e perso e sarà una delle pagine più oscure di quest’epoca che noi stiamo vivendo forse per carenza di una illuminazione sufficiente, una illuminazione che andiamo cercando e che spero riusciremo a trovare.

E’ con questa speranza, con questo grande desiderio che qualche anno fa quando incontrai persone come Teresio Valsesia, la Signora Olmi, come altri Amici che qui oggi sono presenti sentii di poter sognare la nascita di questo Parco Nazionale della Val Grande, un Parco che si propone con caratteristiche del tutto particolari, che si offre anche al turismo ma pretende un turismo del tutto particolare; un Parco che miracolosamente ed incredibilmente preservato offre e pretende l’occasione di fare scuola per consentire che i turisti che verranno a contatto con la Val Grande e con le sue ricchezze diventino turisti legittimati a incontrare tutte le altre ricchezze del Mondo secondo una chiave di lettura che mi sembra essenziale; io mi auguro e auguro Loro che ognuno di Loro possa dire a sé stesso, confrontandosi con il suo operato, quella specie di regola che io ho sempre raccomandato a coloro che mi chiedevano se, come, perché fare turismo: vai dove vuoi ma con una sola condizione, che tu possa tornare più ricco senza avere impoverito nessuno e nessun luogo.

Questo è il grande sogno che ancora oggi mi propongo per questo nostro Parco straordinario con l’augurio che i suoi visitatori possano essere tanto saggi dall’essere capaci e consapevoli di arricchirsi arricchendo il Parco, nelle sue essenze materiali e immateriali, dei suoi valori naturali e umani.

Un sogno che io difficilmente vedrò attuato; ma è pure bello pensare che altri possano vivere i nostri sogni che così diventano più reali e più belli.

Francesco Cetti Serbelloni - Esperto – Consigliere T.C.I.