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Parco Nazionale della Val Grande



Atti del Convegno
  Wilderness e turismo integrato - Opportunità o conflittualità?

“Interventi e prospettive del Parco”

La Val Grande: decine di migliaia di ettari di natura selvaggia, di “Wilderness” di ritorno, dopo secoli di sfruttamento antropico per la sua roccia, i suoi boschi, i suoi prati che l’hanno resa palestra di immani fatiche degli alpigiani e dei boscaioli, che ne hanno utilizzato i più remoti anfratti. Oggi, il nulla. Le uniche presenze umane sono rappresentate da qualche escursionista (ardito), da qualche pescatore e da qualche sporadico bracconiere.

Per queste sue caratteristiche la Val Grande è un’area magica, che crea una propria “mistica”, le proprie leggende, che Teresio Valsesia (1976) ha iniziato a raccontare negli anni ’60 con Nino Chiovini. Gli emuli sono in crescendo: dalla pregevole guida di Paolo Crosa Lenz (1996), che va ben al di là del semplice manuale escursionistico, alla monumentale opera della Fondazione Monti, agli articoli sulle riviste locali, al libro di storie del Ferrari (1996), alla guida di Paleari ed altri (1995).

E dall’altra parte il Parco Nazionale, istituito nel 1991 con la Legge quadro sulle aree protette, con tutto ciò che si porta dietro: un’attenzione dei media, una curiosità crescente, visitatori in aumento.
Molto probabilmente questa tendenza sarà via via maggiore: basta pensare a ciò che succede negli altri parchi nazionali alpini (vedi ad esempio lo speciale di “Alp” sui parchi del giugno 1996). Questa presenza antropica potrebbe minare il valore di area selvaggia di questa zona unica. Ma allora, quale parco per la Val Grande?

Le difficoltà gestionali che emergono da questa apparentemente contraddittoria situazione sono state sottolineate anche da Fabio Lopez Nunes su Parchi n. 9 del giugno 1993, che sottolinea come la “wilderness” più che una condizione geografica sia uno stato d’animo, e che è ben difficile istituire un’area protetta per uno stato d’animo.

Il concetto di “wilderness”, nato negli Stati Uniti all’inizio del secolo in forza della presenza di estesissime superfici del territorio non utilizzate dall’uomo, misurabili in milioni di ettari, mal si adatta alla realtà italiana che presenta praticamente l’intero territorio sottoposto a modificazioni pesanti da parte dell’uomo.

Eppure in Italia c’è chi difende la sostanza dell’idea di wilderness sostenendo che si possa applicare anche alla realtà del nostro Paese, ed in particolare alla Val Grande (Zunino, 1996).

Per estremizzare il ragionamento si potrebbe arrivare ad affermare che la Val Grande non andava istituita come Parco Nazionale, ma andava lasciata riserva naturale, al limite allargando il perimetro delle preesistenti riserve dello Stato (integrale e orientata), gestite per vent’anni dal Corpo Forestale dello Stato attraverso la ASFD (oggi ex Gestione ASFD), poco conosciute e con strutture per la fruizione minimali, limitando de facto l’afflusso turistico. In questo modo la wilderness si sarebbe conservata da sé.

La scelta del legislatore invece, su richiesta delle comunità locali, è stata opposta: parco “nazionale”, per attivare consistenti afflussi turistici (e risorse economiche) richiamati da questo ambito aggettivo, grazie al suo notevole potere evocativo. Il forte rischio però è che per assurdo il parco stesso diventi minaccia per la conservazione dei valori unici di questa area.

Una proposta su come coniugare wilderness e turismo è stata presentata dal Presidente del Parco, Franca Olmi, su “Parchi” n. 13 (ottobre 1994), che sottolinea come una sinergia con le altre forme di fruizione della zona del Verbano Cusio Ossola, tra lago, collina e montagna, con uno sviluppo del “turismo di scoperta”, possa rappresentare la chiave di lettura delle scelte strategiche dell’Ente.

Un parco circolare
Il sistema Val Grande – Val Pogallo è un bacino imbrifero dalla forma approssimativamente pentagonale chiuso su quattro lati da altre valli (Ossola, Vigezzo, Cannobina, Intrasca), e sul quinto dal Lago Maggiore, dove sfocia a Verbania. Da un punto di vista strettamente geografico ed idrografico si tratta quindi di un sistema chiuso, ma da un punto di vista ecologico tutto l’insieme forma un massiccio isolato che include anche i territori esterni alla Val Grande vera e propria, fino al fondo valle e ai centri storici dei paesi delle quattro valli sopra citate. Tutto questo complesso, sostanzialmente privo di presenze antropiche, può essere considerato un'unica area omogenea, che sarà l’oggetto delle previsioni del Piano del Parco, del Regolamento e del Piano Pluriennale Economico e Sociale per lo sviluppo delle attività compatibili, previsti dalla legge quadro ed attualmente in corso di predisposizione da parte del Consiglio (i primi due) e della Comunità del Parco (il terzo). In tale sede verranno definite eventuali ipotesi di ampliamento del territorio del Parco, già anticipate da richieste di alcuni comuni, e di definizione delle aree contigue, per arrivare ad una pianificazione complessiva degli interventi pubblici nell’area legati alla presenza del Parco, che saranno probabilmente consistenti. La proposta dell’Associazione Italiana per la Wilderness di istituire “aree wilderness” nella zona si scontra con il fatto che esse non sono definite nell’ordinamento giuridico e quindi non hanno significato, se non morale: c’è quindi il rischio che una tale individuazione non si rispecchi in una effettiva tutela e gestione. Tale proposta viene però di fatto raccolta quando l’intera gestione del Parco Nazionale, che comprende sotto diverse forme anche l’indirizzo sulle aree esterne e quindi sull’intero complesso, venga effettuata nel senso della difesa del “valore wilderness” della Val Grande, che per altro rimane uno degli obiettivi del Parco e non l’unico.

Dal punto di vista naturalistico l’area della Val Grande è poco conosciuta, ma per la sua posizione, la sua struttura geografica e il suo isolamento è lecito aspettarsi qualche sorpresa. Alcuni endemismi sono già stati individuati nella fauna entomologica. Il Parco è riconosciuto dalla comunità Europea come “Area di Protezione Speciale” ai sensi della direttiva 79/409 (Direttiva “Uccelli Selvatici”), e entrerà a far parte della Rete Natura 2000 che racchiuderà tutte le aree più importanti in Europa per la natura. Per questo motivo la Commissione dell’Unione sta contribuendo alla realizzazione del Piano del Parco.

Purtroppo la foresta di antica memoria (le “foreste di Adamo” citate da Valsesia) è stata sfruttata pesantemente in questo secolo, con tagli a raso sino agli anni ’50, ed oggi presenta caratteristiche di scarsa maturità ecologica; probabilmente si è molto impoverita rispetto alla situazione originale. Il valore ecologico di quest’area è per il momento quindi abbastanza limitato, anche se gli studi in corso per il piano potranno dare indicazioni più precise al riguardo. La presenza di una superficie forestale piuttosto uniforme potrebbe favorire la ricomparsa di specie che un tempo frequentavano questi luoghi. Permane un dubbio “filosofico” di fondo : si deve accelerare la ricostruzione di un sistema ecologico in equilibrio attraverso opportuni interventi gestionali ( sempre ammesso che sia possibile effettuarli), o piuttosto la Val Grande va lasciata a se stessa, dando il tempo alla natura di seguire il proprio corso, seguendo semplicemente nel tempo quanto succede, in una specie di “laboratorio naturale” sulla wilderness?.

Comunque il “valore wilderness” è la tipicità più particolare del Parco Nazionale, che dal punto di vista naturalistico è un’area si importante ma non unica, e su questo elemento può essere costruita l’immagine esterna del Parco, al fine di una sua migliore conoscenza da parte del pubblico, ed anche per un suo uso turistico.

Gli obiettivi per la gestione del parco, ai sensi di quanto detto e in base alla normativa attuale, in sintesi potrebbero essere così elencati:

  • conservazione dell’ecosistema, della fauna, della flora, della emergenza territoriali;
  • conservazione del “valore wilderness”;
  • sviluppo di un’economia locale attraverso attività turistiche compatibili nei paesi intorno al Parco e nelle sue fasce esterne;
  • mantenimento di un escursionismo interno al Parco gestito al fine di minimizzare l’impatto sul “valore wilderness” e sui valori naturalistici.

Gli interventi per lo sviluppo turistico

La forma circolare del Parco favorisce la presenza di fasce concentriche progressivamente meno abitate e frequentate, a partire dai paesi, dove è concentrata la presenza umana, per passare alla aree ancora oggetto di qualche minima attività produttiva (soprattutto allevamento residuale e utilizzo dei prodotti del sottobosco) e di svago (pesca, caccia, raccolta funghi), fino alle aree interne “deserte” (come le riserve dello Stato già istituite negli anni ’70). La Val Grande, da sempre, è una zona lontana, da qualunque parte la si guardi. Questa strutturazione del territorio facilita la zonizzazione del Parco in fasce di rispetto crescente, con al centro la riserva integrale, che deve essere seguita anche nella predisposizione delle strutture del Parco.

Una prima ipotesi di impostazione delle strutture del Parco sulla base di questo principio è stata definita nel documento su “Accessibilità, fruizione ed informazione” approvato dal Consiglio direttivo dell’Ente Parco nel giugno 1995, con il quale si sono impostati, in mancanza del Piano del Parco, i primi interventi previsti.

Sostanzialmente, in riferimento agli obiettivi prima citati, il Parco ed il suo intorno andrebbero strutturati nelle seguenti fasce:

  • A. la zona di massima tutela;
    coincide con la riserva integrale, dove l’accesso è vietato a chiunque;
  • B. la zona di riserva generale;
    a tutela integrale, ma con la possibilità di accedere in modo controllato per la fruizione escursionistica e naturalistica; questa fascia è la più delicata. Le strutture in questa zona del Parco vanno mantenute al livello minimo, semplicemente restaurando delle baite ad uso bivacco leggero (con solo uso letto), in punti fissi, e segnalando solo alcuni sentieri principali; in questo modo solo i più motivati percorreranno la parte centrale del territorio, con un effetto filtro progressivo dall’esterno verso l’interno. La sorveglianza sull’abbandono dei rifiuti dovrà essere rigorosa; il segnalare solo alcuni sentieri principali, scoraggiando così l’abbandono del sentiero, permetterà di percorrere il Parco in sicurezza, lasciando alcune zone “a riposare” salvaguardandone i valori naturalistici (Crosa Lenz, 1996);
  • C. la zona di protezione;
    In quest’area dovrebbero essere consentiti gli usi tradizionali del territorio, la pastorizia, il mantenimento degli alpeggi (incentivando la produzione di prodotti tipici con il marchio di qualità del Parco) la raccolta dei funghi e dei prodotti del sottobosco a favore delle popolazioni locali (al fine di incentivarne un uso economico), la produzione del miele;

In questa fascia potrebbe essere incentivato l’agriturismo anche con pernottamento, oggi pressoché assente, al fine di offrire una ricettività locale legata alla fruizione turistica del Parco; in questo senso il Parco sta elaborando un regolamento per concedere contributi a privati;

Qui andrebbero anche realizzate strutture del Parco per l’interpretazione naturalistica: sentieri didattici, capanni e torri per l’osservazione degli animali, orti botanici, aree faunistiche;

Inoltre si potranno localizzare le “porte del Parco” nei punti di attestamento automobilistico (da arretrare il più possibile per favorire il turismo escursionistico) con aree attrezzate e parcheggi.

D1. i centri storici e gli alpeggi ancora conservati;
In queste aree, individuate puntualmente dal Piano del Parco, andrebbero mantenute con opportuni incentivi le tipologie edilizie tradizionali (tetti in piode e muri in sasso), per offrire un aspetto attrattivo nei confronti dei potenziali visitatori; qui (come nella zona D2) andrebbero trovati i metodi per facilitare la nascita di una ricettività non legata alle seconde case, ma a rotazione rapida, con il sistema delle camere in affitto giornaliero o settimanale da privati, sul genere del “bed and breakfast” anglosassone; il ruolo del parco dovrebbe essere di rendere effettivamente possibile, e semplice, per i residenti lo sviluppo di queste attività economiche;

Centri visite, Musei ed altre strutture informative trovano qui la migliore collocazione.

D2. il resto dei paesi;
In questa area andrebbero garantite le capacità ricettive principali, con piccole strutture a basso impatto: affitto di camere diffuso, i piccoli alberghi esistenti, alcuni piccoli ostelli, aree campeggio.

Il primo documento orientativo del Parco su “Accessibilità, fruizione, informazione” approvato nel giugno 1995 dal Consiglio direttivo dell’Ente delinea questi problemi nelle sue linee principali; sarà poi il Piano del Parco, in corso di elaborazione, con il Piano Pluriennale Economico e Sociale, a risolverli definitivamente, in uno schema aperto e dinamico.

Giuliano Tallone - Direttore del Parco Nazionale Val Grande