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Punti di Interesse nel Carmagnolese


Villa Cavour a Santena

Villa Cavour
Villa Cavour

Storia

L'idea di costruire quella che oggi è nota come Villa Cavour, prezioso e celebre patrimonio della città di Santena, si deve a Carlo Ottavio Benso, conte di Santena, che tra il 1708 ed il 1710 avviò la demolizione delle rovine dell'antico castello quadrato, risalente alla prima metà del Cinquecento e del quale furono conservati un ampio terrazzo e la famosa Sala delle Corone.
Per ampliare la proprietà, nel 1714 Carlo Ottavio Benso (che apparteneva al ramo di Santena della famiglia Benso) comprò dal Marchese Federico Tana di Baiard il "castellazzo" e dalla stessa persona e da Giovan Battista Fontanella di Baldissero un altro castello cascina in rovina, che sorgeva sul luogo su cui ora si trova la Sala detta "del Consiglio".
Il progetto per la nuova villa fu commissionato all'architetto Francesco Gallo, autore tra l'altro della cupola ellittica del Santuario di Vicoforte, nei pressi di Mondovì. Il progetto del Gallo, eseguito tra il 1712 e il 1720, prevedeva un basamento a scarpa, utilizzato come cantina, un piano nobile con mezzanino, in realtà occupato al centro dal salone d'onore, un secondo piano con lungo balcone e, sulle ali laterali, un terzo piano.
La villa costruita da Francesco Gallo fu presto alterata. Una prima modifica avvenne tra il 1760 ed il 1766, quando due sentenze del tribunale civile stabilirono che l'edificio fosse diviso in due parti esattamente identiche e simmetriche rispetto ad un piano verticale ortogonale alla facciata e passante per il suo centro.
Intorno al 1840 la villa subì notevoli rimodellazioni, con la sopraelevazione del corpo centrale, la scomparsa delle finestre del mezzanino tra primo e secondo piano ed il rifacimento della terrazza a sud del castello. Tra il 1876 ed il 1888 la marchesa Giuseppina, nipote di Camillo e sposa di Carlo Alfieri di Sostegno, rimodernò la villa con la spesa di oltre 172.000 lire, facendo eseguire le decorazioni esterne sulle facciate (stucchi con motivi naturalistici di gusto manieristico realizzati da Melchiorre Pulciano sotto la direzione di Amedeo Peyron), facendo sistemare il tetto e, all'interno, rifacendo l'impianto di riscaldamento, le tappezzerie, gli stucchi e gli arredi.
Sebbene costruita dal ramo dei Benso marchesi di Santena, la villa nel 1748, con la morte di Giovanni Francesco Filiberto Benso, ultimo Conte di Santena, passò al ramo dei Benso marchesi di Cavour, che la utilizzarono quale luogo di rappresentanza e di villeggiatura stagionale, data la vicinanza a Torino, dove i Marchesi di Cavour avevano la loro residenza abituale nel Palazzo Benso, sito al numero 8 dell'attuale Via Cavour.
Fu proprio nella villa di Santena che Camillo Benso di Cavour trascorse molti anni della sua gioventù, fino al 1850, quando diventò Ministro dell'Agricoltura, Industria e Commercio e successivamente Presidente del Consiglio dei Ministri.
Nel 1947, alla morte del marchese Giovanni Visconti Venosta, cui l'edificio era pervenuto per via ereditaria, la villa Cavour fu donata per testamento alla città di Torino. Fu così rispettata la volontà di Giuseppina Benso di Cavour, sposata al marchese Carlo Alfieri di Sostegno, ultima discendente della nobile famiglia, nobildonna che a fine Ottocento aveva riunito a Santena i cimeli dello zio Camillo Benso di Cavour.

Gli interni

La fronte principale dell'edificio, quella che si affaccia sul parco, conserva il settecentesco scalone aulico a due rampe, parallele alla fronte di accesso al piano nobile. Al piano terreno, sulla sinistra, al posto del "castello antico", rimaneggiato nel Settecento, si apre la spettacolare Sala diplomatica, decorata intorno al 1770 con stucchi di G. B. San Bartolomeo, attivo anche nella Palazzina di Caccia di Stupinigi.
Fra gli altri ambienti riccamente arredati nell'originale assetto sette-ottocentesco, al piano terreno si ricordano lo studio di Emilio Visconti Venosta, la quadreria con i ritratti di famiglia sei-settecenteschi, il grazioso salottino cinese, con vasi, soprammobili, paramenti, tende e tappezzerie di seta dipinte a mano, tutti lavori di squisita fattura, la Sala da pranzo con le tele del Crivellino raffiguranti animali in posa (1730), il Salottino dorato Lascaris con gli arredi rocaille, il Salone delle Cacce con i ricami bandera, la Camera da letto della Marchesa De Sales. Notevoli pure i mobili in stile impero degli appartamenti al primo piano.

Il parco

La villa è circondata da una ampia tenuta, di 19 ettari, all'interno della quale si trovano i rustici, la cappella della Madonna della Neve, la vigna, la cascina detta la Margheria ed un ampio e magnifico giardino all'inglese, con maestosi alberi secolari. Secondo alcune testimonianze i lavori per la sistemazione del giardino ad inizio ottocento furono affidati all'abate d'Arvillars, che aveva già lavorato ai giardini del Castello di Racconigi. Tuttavia non esistono riscontri certi che provino che i lavori siano stati realmente eseguiti dal d'Arvillars. E' certo, invece, che i lavori di sistemazione e di definitivo ampliamento del parco furono avviati da Michele Benso nel 1830 ed affidati a Xavier Kurten, che dal 1820 era anche direttore del parco di Racconigi, su incarico del principe Carlo Alberto di Savoia.
Il giardino di Villa Cavour è organizzato con disegno geometrico in quattro parterres, disposti simmetricamente sull'asse orientale ortogonale alla villa. I parterres più vicini al castello avevano disegno "a broderies", gli altri parterres, che delimitavano la vigna, lo spazio attorno alla cappella ed il corso del Rio Santena Vecchia (l'attuale Santenassa, che in quel tempo divideva l'attuale area del parco in due zone distinte), erano più semplicemente delimitati da siepi allineate di arbusti.

La tomba di Cavour

A destra dell'ingresso al parco, sotto l'abside della parrocchiale, si trova la cappella funeraria dei Benso di Cavour, costruita dopo la morte del grande statista, avvenuta il 7 giugno 1861. Qui sono sepolti Camillo Benso, i suoi familiari, il nipote Augusto, morto ventenne nella battaglia di Goito, ed anche esponenti delle famiglie Sales, Clermont-Tonnerre, Sellon d'Allaman, Lascaris e Visconti-Venosta. Camillo Cavour chiese espressamente di essere sepolto a Santena, accanto all'amato nipote Augusto ed ai familiari. Per questo motivo il fratello Gustavo dovette rifiutare gli onori di una sepoltura di Stato, che Vittorio Emanuele II voleva tributare al grande statista nella Basilica di Superga.
Sopra la cappella c'è la tribuna gentilizia, con numerose iscrizioni antiche su lapidi trasportate dalla chiesa di S. Francesco a Chieri, dove si trovavano le tombe della famiglia Benso, prima che questa chiesa fosse distrutta dai Francesi nel periodo napoleonico.
Sul lato opposto della parrocchiale sorge il possente torrione neo-medievale, costruito intorno al 1878 da Melchiorre Pulciano. Questo edificio è emblematico della cultura architettonica in voga a fine Ottocento, che ebbe la sua massima espressione nella creazione del Borgo Medievale di Torino. La torre del Pulciano vuole ricordare lo scomparso castellazzo, eretto dai feudatari di Santena nel medioevo e demolito nel Settecento per fare spazio alla villa.

Il Museo Cavouriano

Ospitato all'interno della villa, il Museo Cavouriano fu allestito nel 1961 in occasione dei festeggiamenti per l'Unità d'Italia ed è curato dalla "Fondazione Camillo Cavour". Nel museo sono conservati memorie, ritratti, cimeli preziosi (ad esempio la coppa di Sèvres, donata da Napoleone III a Cavour dopo il Congresso di Parigi del 1856), statue, stampe, documenti d'archivio. Da segnalare inoltre la Sala delle caricature di Cavour. Nella villa si trovano anche la preziosa biblioteca dei Visconti Venosta e l'archivio privato del conte di Cavour.

La Villa Cavour si trova in Piazza Visconti Venosta, 3.
Orari: da maggio a ottobre tutte le domeniche, mattino ore 10,30 (unica visita), pomeriggio ore 15-19 (ultimo ingresso ore 18). Durante la settimana sono ammesse solo visite per comitive su prenotazione. Chiuso lunedì e festività.
Accessibilità per disabili garantita in tutta la villa ad eccezione di una parte del 2° piano.
Biglietto: Intero Euro 5, ridotti Euro 4 gruppi e over 65, Euro 2,50 scolaresche e giovani (11-18 anni), Euro 1,50 scolaresche e giovani (6-10 anni), gratuito per bambini fino a 6 anni.
Per informazioni: Tel. 0119492155 - Fax 0119492155 - Sito internet: www.camillocavour.com


Museo Contadino a Villastellone

Inaugurato nel 1992, il Museo Contadino di Villastellone contiene oggi più di quattromila oggetti, tutti catalogati, che consentono al visitatore di addentrarsi in un mondo ormai scomparso. I reperti testimoniano la vita contadina di pianura, di collina e di montagna.
Una sezione del museo espone inoltre documenti cartacei, divise e armi della Campagna d'Africa, della Prima e della Seconda Guerra Mondiale.

Il piccolo museo è collocato in tre sale dell'edificio che ospita anche la Scuola Media, in via A. Gentileschi.

Borgo Cornalese a Villastellone

Antica macina al Borgo Cornalese
Antica macina al Borgo Cornalese
Antico abitato rurale ubicato ad ovest di Villastellone, il Borgo Cornalese fu fondato intorno all'anno 1000 da Ungari e Bulgari, quando questi, terminate le scorrerie sul territorio chierese, decisero di stabilirsi in maniera definitiva non lontano dal corso del Po.
Nel borgo, che anticamente era denominato "Contado di Bulgari", durante il medioevo furono costruiti tre edifici a scopo difensivo, così chiamati: Fortepasso, Malpertusio (oggi Cascina Nuova) e Vai di Cosso (oggi Cascina Valcorso).
Nel 1180 il territorio del "Contado dei Bulgari", rinominato "Borgaro Cornalexio", fu concesso ai Monaci Cistercensi, che lo utilizzarono prevalentemente quale pascolo.
Oggi l'abitato del Borgo Cornalese conserva l'aspetto di borgo agricolo medievale autosufficiente, pur comprendendo al suo interno alcuni edifici di epoca più recente, tra cui la chiesa e la splendida villa dei Conti De Maistre con il suo parco. Particolarmente interessante è un mulino ad acqua ancora funzionante, messo in azione dalle acque della Bealera o Gora dei Molini.
Il Borgo Cornalese è collegato all'abitato di Villastellone mediante una caratteristica strada sterrata, rettilinea e stretta, affiancata da due filari di pioppi cipressini.

Oltre a quello del Borgo Cornalese, altri mulini, tipici dell'area carmagnolese, sono ancora in buono stato di conservazione. Tra questi si ricorda quello di Osasio, il mulino della frazione Gallè di Trofarello e quello di Pancalieri.


Castello Della Rovere a Vinovo

Castello della Rovere a Vinovo
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Castello della Rovere a Vinovo
Castello della Rovere a Vinovo
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Castello della Rovere a Vinovo
A Vinovo (che nel medioevo si chiamava Vicus Novus) un grande parco accoglie al proprio interno l'imponente Castello Della Rovere, così chiamato dal nome della famiglia dei conti Della Rovere, signori di Vinovo, che iniziarono le proprie fortune attribuendosi una parentela con il Papa Sisto IV (Francesco Della Rovere).
Il maniero, dalle sobrie linee rinascimentali, fu fatto costruire tra il 1510 ed il 1520 dai Della Rovere, trasformando il preesistente castello medievale. Il progetto del nuovo maniero rinascimentale è attribuito variamente a Baccio Pontelli o ad Amedeo del Caprina di Settignano (detto Meo del Caprina, autore toscano del Duomo di Torino).
Nel 1692 il castello passò alla famiglia nobile Delle Lanze, poi passò ai Savoia, che lo donarono all'Ordine Mauriziano. Tra il 1776 ed il 1820 l'edificio fu utilizzato quale sede di una importante manifattura di porcellane (le famose "porcellane di Vinovo"), esportate in tutta Europa.
Il castello possiede quattro grandi torri angolari. All'interno del castello lo splendido cortile porticato, di chiara impronta rinascimentale, è decorato con notevoli terrecotte, la cui presenza anche in altri edifici del territorio (Carignano e Piobesi) lascia supporre una produzione locale di grande pregio.
Recentemente in una stanza del castello sono stati recuperati alcuni affreschi a grottesche, attribuiti al perugino Bernardo Betti, detto il Pinturicchio, lo stesso pittore che affrescò la Libreria Piccolomini a Siena.
Tra il XVII ed il XVIII secolo la facciata a nord-est fu rifatta in stile barocco e fu aggiunta una grande scala di matrice juvarriana.
Nel XIX secolo alcune sale furono dipinte da Rodolfo e Luigi Morgari.

Pieve di S. Giovanni ai Campi a Piobesi Torinese

La facciata della Pieve di S. Giovanni ai Campi a Piobesi
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La facciata della Pieve di S. Giovanni ai Campi a Piobesi
Dettaglio di S. Giovanni Battista sulla facciata della pieve di Piobesi
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Dettaglio di S. Giovanni Battista sulla facciata della pieve di Piobesi
Le absidi di S. Giovanni ai Campi a Piobesi
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Le absidi di S. Giovanni ai Campi a Piobesi
All'interno del cimitero di Piobesi Torinese, solitario e isolato nella vasta campagna circostante, si trova uno dei più importanti esempi di architettura romanica della provincia di Torino: la Pieve di San Giovanni ai Campi. Questa chiesa sorse lungo un asse viario già presente in età tardo imperiale romana e ancora utilizzato nell'Alto Medioevo.

Probabilmente il primo nucleo dell'edificio fu realizzato addirittura nel V-VII secolo, con la funzione di battistero, come lascerebbe intendere il recente ritrovamento di un'abside preromanica anteriore all'attuale chiesa e del basamento di un fonte battesimale paleocristiano. La pieve attuale risale invece probabilmente al X secolo e fu edificata sulle fondamenta delle precedenti costruzioni, con materiale romano di reimpiego. Nell'Alto Medioevo attorno alla pieve fu costruito un ricetto fortificato, ora scomparso.

Nella pieve di San Giovanni ai Campi sono visibili sia le trasformazioni che essa ha subito nel corso sei secoli, sia l'incorporazione, nelle strutture della chiesa, di materiali lapidei di origine romana prelevati altrove, quali ad esempio alcune lastre tombali, una lapide sepolcrale, ora conservata nel Museo di Antichità di Torino, una iscrizione infissa sul portale della chiesa e un cippo miliare conservato all'interno della chiesa, che rammenta la vicina strada romana che passava per Piobesi.

L'edificio attuale, datato intorno al 1010, fu costruito su committenza di Landolfo, vescovo di Torino (così come accadde per il castello della vicina Vinovo). La chiesa a tre navate con absidi si ispira a modelli sia lombardi, sia transalpini. Le tre navate absidate trovano infatti riscontro nelle chiese di Amsoldingen (Svizzera), Aime (Francia), Agliate (Lombardia) e San Paragorio di Noli (Liguria). La chiesa di Piobesi è però priva di cripta. La navata centrale è a capriate. Sul catino dell'abside centrale sono rappresentate la "Maiestas Domini" e la "Deesis", affreschi che potrebbero riflettere le tendenze artistiche dell'XI secolo a Torino. Ai piedi del "Cristo in trono" sono raffigurati i dodici apostoli, con una interessante tecnica rappresentativa che interpreta in chiave romanica modelli pittorici ottoniani oltralpini. La serie degli affreschi dei dodici apostoli fu realizzata presumibilmente nell'ultimo quarto del XI secolo, da un pittore probabilmente non locale. Sulle due absidi laterali e sui muri si conservano altri interessanti affreschi del XIV-XV secolo, mentre un importante ciclo di affreschi del pinerolese Giovanni Beltrami, datati 1411, fu trasferito alla Galleria Sabauda di Torino nel 1970. L'acquasantiera del IX secolo è stata invece trasferita ed esposta nel museo di Palazzo Madama a Torino. Sempre all'interno della chiesa è visibile un miliario che era collocato lungo la via romana che univa Caburrum con Augusta Taurinorum.
Il 3 ottobre 1359 Giovanni Pivart e sua moglie Guglielmina, originari di Chamousset in Savoia, commissionarono l'affresco posto sulla lunetta del portale della chiesa e raffigurante la "Madonna con il Bambino", affiancata da due angeli musicanti, dai due committenti e dai Santi Giovanni Battista e Cristoforo. A sinistra dell'affresco di nota una iscrizione romana, incorporata nel muro.
Nel 1717, per volontà dei massari della chiesa di S. Giovanni, fu innalzata una cappella in onore del "Santo Nome di Maria", nella quale è visibile un affresco del Quattrocento.
Si può dire che la pieve di San Giovanni ai Campi, quando costituiva la chiesa principale della zona, si prendeva "cura delle anime" dalla loro nascita fino alla morte: al suo interno vi erano infatti sia battistero, sia una necropoli, dei quali permangono significativi resti.
Il 1 maggio 1909 la pieve di S. Giovanni ai Campi fu inserita nell'elenco dei "monumenti nazionali".

La pieve è visitabile telefonando a:
- Biblioteca Comunale di Piobesi, Tel. 0119657846
- Comune di Piobesi, Tel. 0119657083
- Associazione Progetto Cultura e Turismo, Tel. 3381452945


Museo Civico Giacomo Rodolfo a Carignano

Alcuni reperti di epoca romana nel Museo G. Rodolfo
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Alcuni reperti di epoca romana nel Museo G. Rodolfo
Inaugurato nell'anno 2000, a seguito della donazione, da parte degli eredi, delle collezioni di reperti rinvenuti e raccolti nel territorio carignanese dall'insigne professore, storico e archeologo Giacomo Rodolfo, il museo conserva vestigia, memorie, opere e ritrovamenti che documentano la storia artistica, culturale e sociale di Carignano.
Di particolare rilievo è la sezione dedicata all'antichità preistorica, romana e barbarica del territorio di Carignano, dove, oltre a pannelli che illustrano l'evoluzione degli insediamenti abitati in epoca preistorica, sono esposti materiali fossili, come zanne e denti di elefantide, asce litiche e bronzee, ritrovamenti di epoca romana (con ricostruzione di un pozzo e di una tomba) e reperti longobardi.
Un'altra sezione è dedicata a capolavori di maestri minusieri e scultori barocchi, con esposizione di alcuni disegni progettuali di Benedetto Alfieri e Bernardo Antonio Vittone, maestri del Barocco Piemontese. Degna di nota è anche la sezione dedicata alla Resistenza a Carignano.

Il Museo Civico "Giacomo Rodolfo" è ospitato nei locali del modernissimo Municipio di Via Frichieri 13, ristrutturati su progetto dell'architetto Alberto Sartoris.

Il Museo Civico G. Rodolfo si trova in Via Frichieri, 13.
E' aperto ogni terza domenica del mese, con orario 10-12 e 15-18
, oppure su prenotazione. Si effettuano visite guidate e attività didattiche per le scuole. Ingresso gratuito. Museo accessibile ai disabili.
Per informazioni: Tel. 0119698442-481-482 - Fax 0119698475 - E-mail: culturaturismo@comune.carignano.to.it - museorodolfo@comune.carignano.to.it


Santuario del Valinotto a Carignano

Esterno del Santuario del Valinotto
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Esterno del Santuario del Valinotto
Il Santuario del Valinotto, il Monviso e le Alpi Cozie
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Il Santuario del Valinotto, il Monviso e le Alpi Cozie

La cupola del Santuario del Valinotto
La cupola del Santuario del Valinotto

A quattro km da Carignano, in aperta campagna, si trova il Santuario del Valinotto, dedicato alla Visitazione di Maria Vergine a Santa Elisabetta e caratterizzato da una triplice cupola di notevole audacia e vivacità costruttiva, vero gioiello dell'architettura barocca.
Il santuario, che fu edificato nel 1738 per volere del banchiere Antonio Faccio, all'interno in una villa di sua proprietà, è opera giovanile dell'architetto Bernardo Antonio Vittone (1702 - 1770).
Esternamente si presenta a tre piani degradanti, sormontati da un cupolino, mentre l'interno è a pianta ellittica.
Sulle pareti interne si trovano affreschi raffiguranti i santi della Controriforma: a destra dell'ingresso S. Filippo Neri e S. Francesco di Sales, mentre a sinistra dell'ingresso sono raffigurati S. Francesco Saverio e S. Carlo Borromeo.
La spettacolare cupola è decorata all'interno con affreschi del pittore casalese Pier Francesco Guala, raffiguranti alla base degli archi i dodici apostoli, e, più in alto, gli Angeli, la Vergine e la Trinità.
A Pier Francesco Guala è ascritta anche la pala d'altare raffigurante la Visitazione, ora sostituita da una copia.
L'originale, per motivi di sicurezza, è custodito presso l'Opera Pia Faccio e Frichieri di Carignano, che custodisce anche il bellissimo paliotto dell'altare e il tronetto raffigurante gli angeli che adorano l'Eucarestia, attribuito al Piffetti e realizzato con l'utilizzo di legni rari, intarsiati con avorio e madreperla.
Nella sacrestia l'affresco raffigurante la Madonna del Latte (XVI sec.), attribuito a Jacopino Longo, è ciò che resta di una precedente cappella, alla quale il Vittone affiancò la nuova chiesa, formando un unico corpo.

La cappella del Valinotto è visitabile di sabato e domenica, con orario 10.30-12.00 e 14.30-17.00. Se la porta dell'edificio è chiusa, si può suonare alla religiosa che cura la manutenzione della cappella (campanello nella casa canonica).


Duomo dei S.S. Giovanni Battista e Remigio a Carignano

La facciata del duomo di Carignano
La facciata del duomo di Carignano

La singolarissima pianta del duomo di Carignano
La singolarissima pianta del duomo di Carignano

Storia

A metà del XVIII secolo l'antica parrocchiale, consacrata nel 1484, risultava ormai insufficiente ad accogliere la popolazione carignagnese e si trovava in pessime condizioni di stabilità. Nel 1755 il Consiglio Comunale deliberò di abbattere il vecchio edificio, con il consenso dell'abate commendatario di S. Michele della Chiusa, da cui la chiesa dipendeva, e di costruire una nuova chiesa. Per sovrintendere all'avanzamento dei lavori, fra i cittadini furono nominati alcuni fabbriceri. Il progetto fu offerto gratuitamente, su intermediazione del marchese Sanmartino e forse del principe di Carignano, dal conte Benedetto Alfieri, Primo Architetto del re dopo la morte di Filippo Juvarra. Secondo alcuni studiosi l'architetto Bernardo Vittone, attivo da tempo a Carignano (suoi sono i disegni per l'Ospizio di Carità e per la Chiesa del Valinotto), avrebbe presentato un altro progetto, che sarebbe stato scartato. E' peraltro verosimile che il progetto del Vittone sia stato proposto per il "Duomo Nuovo" da edificarsi a Torino e non a Carignano.
A seguito della demolizione della vecchia parrocchiale, fu recuperata parte del materiale da costruzione, mentre i restanti mattoni furono prodotti in una fornace realizzata presso la cappella di San Rocco, fuori dall'abitato. Per le capriate l'Alfieri fece abbattere i migliori roveri della zona.
Durante la costruzione della nuova parrocchiale, la chiesa della Madonna della Misericordia (chiesa dei Battuti Neri) fu scelta come parrocchiale provvisoria. Grande benefattore della nuova costruzione fu il notaio Sebastiano Fricchieri, che sceglierà di vivere povero tra i poveri nell'Ospizio di Carità. La fabbrica della parrocchiale si protrasse dal 1757 (posa della pietra fondamentale) al 1764 (consacrazione), con alterne vicende e fasi di interruzione dei lavori. Nel settembre 1757, a cantiere ormai avviato, Alfieri presentò un nuovo progetto, che fu quello poi definitivo.

Analisi architettonica

A Carignano Benedetto Alfieri soddisfece appieno un tema funzionale, architettonico ed urbanistico. La chiesa infatti fu posta al centro della città, verso lo spazio pubblico più rappresentativo per la comunità (l'antica piazza del mercato, su cui prospettava il Palazzo Civico), ma le esigenze legate alla presenza della vecchia chiesa ed in parte all'uso razionale del lotto edificabile richiesero una planimetria col lato maggiore rivolto sulla piazza. Non sarebbe stato possibile utilizzare la superficie in profondità. Tuttavia l'architetto accettò la sfida, creando uno spazio nuovo con l'ampliamento della piazza, mediante un intervento tipico dell'arte barocca.
Il Duomo di Carignano rovescia gli schemi fino ad allora seguiti in architettura: chi entra dalla porta principale può vedere contemporaneamente tutti gli altari, inoltre è ribaltata la scenografia barocca incentrata sulla teatralità dell'altare maggiore. Qui è il celebrante a percepire il peristilio (il grande colonnato interno) come fondale di un teatro.
Sull'unica navata si aprono sei cappelle, tre per parte del presbiterio. Le due centrali sono maggiormente sfondate rispetto le altre, per sopportare ciascuna due speroni, che dall'esterno controbilanciano la spinta della volta anulare della navata. Una calotta a quarto di sfera copre il peristilio, spingendo verso la facciata, la quale, con la sua convessità, ne controbilancia la spinta. Se lo schema del teatro è invertito, si trova tuttavia nell'atrio il punto privilegiato di visione: l'ingresso della chiesa, con pianta centrale divisa a metà, porta il visitatore direttamente all'interno dello spazio, con una lettura simultanea in più direttrici, cosa che verrebbe negata dalla pianta centrale o nella chiesa a navate. Il Duomo è stato definito uno "spazio in tensione": la copertura pare tendersi, attraverso le forcelle che segnano la calotta, dall'atrio verso le cappelle, mentre l'atrio, visto dall'abside, appare come un unico grande pilastro che regge la grande fuga delle volte.

Interno

La decorazione degli interni iniziò ancora prima della consacrazione ufficiale, compiuta nel 1764 dal cardinale Carlo Vittorio delle Lanze, arcivescovo titolare di Nicosia ed Elemosiniere del Re. Dalla vecchia parrocchiale gotica furono recuperati pochi arredi, mentre andarono disperse importanti tele del Pistone, del Claret e del Molineri. Tra gli arredi recuperati si ricorda il contraltare ligneo, che ha un alto valore documentario, in quanto rappresenta uno scorcio della città con l'antico castello abbattuto nel 1821 e l'antica parrocchiale. Nel Duomo lavorarono vari artisti luganesi, tra i quali si distinsero Andrea Rossi, Francesco Bottinelli ed il Bartolomeo, assai apprezzati dall'Alfieri, avendo essi già operato nei cantieri di corte ed in alcuni palazzi nobiliari.
Tra le opere d'arte che furono commissionate appositamente per il Duomo, sono sicuramente da citare:

  • 1) l'altare maggiore, eseguito da Rossi e Bottinelli con marmi pregiati (alcuni dei quali donati dal re Carlo Emanuele III, in visita al cantiere);
  • 2) le quattro grandi statue dei Dottori della Chiesa, realizzate nel 1764 in stucco dal luganese Carlo Giuseppe Bollina (attivo poi nei cantieri del Castello di Racconigi e del Palazzo Cavour di Santena) e poste nelle nicchie lungo la navata;
  • 3) la cassa dell'organo, intagliata nel 1771 dal carignanese Giuseppe Antonio Riva;
  • 4) al posto dell'ancona dell'altare maggiore l'architetto Luigi Barberis, che eseguiva i lavori per conto dell'Alfieri, progettò di porre un grande altorilievo in marmo. Ignazio Collino, Primo Scultore di Sua Maestà venne appositamente a Carignano per studiare dove e come porre convenientemente l'opera, che fu realizzata in stucco e calce dal celebre Giovan Battista Bernero (circa 1765). L'altorilievo rappresenta il Padreterno Benedicente e i Santi patroni della città;
  • 5) lo splendido organo, collocato nel 1764, fu rifatto con l'aggiunta di registri da Giovanni Bossi nel 1863.

L'interno della chiesa fu totalmente imbiancato nel 1776. Soltanto nel 1879 il parroco Capriolo decise di far affrescare il Duomo, innescando una grande polemica tra gli artisti locali e della capitale, che ritenevano inadatta qualsiasi decorazione. I lavori furono affidati al pittore Emanuele Appendini di Carmagnola, che riuscì a dipingere soltanto il Giudizio Universale (nel presbiterio) e le volte di alcune cappelle. Alla sua morte (1879) fu chiamato il giovane Paolo Gaidano di Poirino, che in soli sei anni (1879-85) portò a termine l'opera, affrscando scene di vita si S. Remigio e di S. Giovanni Battista. Le sue opere migliori rimangono quelle meno accademiche, come la bellissima Caduta di Lucifero, L'incontro di Gesù con la Samaritana e L'Orazione nell'Orto di Getsemani.

Il campanile

Dai disegni trascritti dall'architetto Mella (quelli originari dell'Alfieri andarono perduti), risulta che Benedetto Alfieri avesse previsto un piccolo campanile, forse su sollecitazione della Comunità carignanese, la quale riuscì a far erigere un campanile mozzo su cui fu posta la campanella di segnalazione sino ad allora collocata sulla torre civica (come si rileva da una fotografia Alinari di fine XIX secolo).
Nel 1833-34 furono raccolti fondi per l'innalzamento del campanile, ma senza risultato. Nel 1932 il prevosto Gambino riuscì a reperire i fondi per la costruzione del campanile, in stile neobarocco. Non mancarono nemmeno in quell'occasione vive polemiche di coloro che ritenevano sproporzionato, rispetto alla mole della chiesa, qualsiasi campanile. Perduti gli originali alferiani, l'ingegnere carignanese G. Cornaglia preparò un disegno che evitasse le stonature con l'edificio religioso, consultando i disegni dell'abozo del Campanilio del Duomo di Caregniano, preparato da Francesco Perrucchetti, assistente dell'Alfieri. La spesa fu sostenuta in massima parte dalla parrocchia, ma le sei campane furono offerte dalle varie compagnie religiose e fuse dalla ditta Mazzola di Valduggia. A queste sei campane fu aggiunta anche la vecchia campana dell'orologio.

(Testo a cura dell'Associazione Progetto Cultura e Turismo Carignano).

Per informazioni, rivolgersi all'Ufficio Cultura del Comune di Carignano, Tel. 0119698442-481-482 - Fax 0119698475 - E-mail: culturaturismo@comune.carignano.to.it oppure all'Ufficio Parrocchiale di Via Frichieri 10, con orario lunedì, martedì, giovedì e venerdì 9-11 e 18-19, Tel. 0119697173


Mulino di Borgonuovo a Osasio

Nella frazione Borgonuovo di Osasio, pittoresco e raccolto angolo di natura, sorgono la piccola Cappella di Santa Croce, del 1747 ed un vecchio mulino ad acqua. L'edificio originario risale al Settecento, ma fu ampliato e sopraelevato nell'Ottocento. Nel 1879 furono installate le nuove ruote in ferro, in sostituzione di quelle precedenti in legno. Il mulino fu utilizzato fino alla metà del XX secolo per la macinazione dei cereali e per la "pesta" della canapa, sfruttando la forza motrice del torrente Angiale.

Museo Civico di Storia Naturale a Carmagnola

La facciata del Museo di Storia Naturale di Carmagnola
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La facciata del Museo di Storia Naturale di Carmagnola
L'idea di creare un Museo Civico di Storia Naturale a Carmagnola nacque nel 1973 grazie alla collaborazione instauratasi tra alcuni carmagnolesi appassionati di varie discipline naturalistiche e l'amministrazione comunale. Il museo fu inaugurato nel 1976, nei locali di Palazzo Lomellini, in piazza S. Agostino. Nel 1990 il museo fu trasferito nella Cascina Vigna, appena ristrutturata, che si trova nell'omonimo parco cittadino, non lontano dalla Riserva Naturale Speciale della Lanca di San Michele, che fa parte del Sistema delle Aree Protette del Parco del Po. Nel 2001 il museo è diventato il primo Centro Visita del Parco Fluviale del Po Torinese. Oggi esso funge anche da centro di ricerche, soprattutto in campo entomologico, ittiologico ed ornitologico.

Le principali collezioni del museo, oltre a quelle dei fondatori, sono quella di C. Bosso (fossili del Pliocene), P.F. Cavazzuti e R. Pescarolo (insetti), R. Sindaco (insetti e rettili), M.P. Vaschetti (minerali), pervenute al museo per donazione o lascito. Le collezioni e le informazioni naturalistiche custodite nel museo sono tuttora in rapida crescita grazie alla continua donazione di collezioni private e alle convenzioni coi centri di recupero fauna e sopratutto grazie all'attività di ricerca sul campo dei collaboratori. L'esposizione è attualmente organizzata in cinque sale. La prima sala è dedicata alla ricerca ed alla didattica; la seconda sala è dedicata agli invertebrati; la terza sala è dedicata ai vertebrati e alla biologia degli uccelli; la quarta sala ospita alcuni diorami che illustrano flora e fauna ed il comportamento animale; l'ultima sala è dedicata al fiume Po, alla sua idrologia e alla sua morfologia.

Il museo si trova presso la Cascina Vigna, Via S. Francesco di Sales 188.

Orari di apertura: martedì e mercoledì 9-12.30; giovedì 9-12.30 e 15-18; sabato e domenica 15-18; luglio e agosto solo su richiesta
Visite guidate su prenotazione per gruppi e scolaresche in tutti i giorni feriali.

Informazioni: 0119724390
Sito internet: www.storianaturale.org


Sinagoga di Carmagnola

Aron aperto della sinagoga di Carmagnola
Aron aperto della sinagoga di Carmagnola
Mostra permanente sulla presenza ebraica in Piemonte
Mostra permanente sulla presenza ebraica in Piemonte
Le prime notizie riguardanti la presenza ebraica a Carmagnola risalgono al XV secolo.

Fino al 1724 la popolazione di religione ebraica poteva abitare in qualunque zona di Carmagnola, compresa la via maestra. Con l'istituzione dei ghetti in tutti il Piemonte, anche gli ebrei carmagnolesi furono costretti a trasferirsi in un ghetto, lasciando le case lungo la via maestra. Il ghetto fu istituito nella contrada chiamata Isola delle Cherche, nascosto alla vista dalla via maestra e delimitato dalle attuali vie Bertini, Cherche, Benso e Baldessano. L'arrivo nel 1737 degli ebrei di Racconigi, un gruppo troppo piccolo per rimanere comunità autonoma, determinò l'aumento della popolazione ebraica, che nel 1761 arrivò a 110 persone.

Oggi la comunità ebraica di Carmagnola è estinta, ma rimane, a testimonianza dell'antico splendore, la pregevole sinagoga, che ricorda la presenza in loco di un ghetto.

La sinagoga di Carmagnola fu costruita all'ultimo piano di una casa del ghetto, che era appartenuta al banchiere Abram Jona. La sinagoga fu costruita nascosta alla vista dall'esterno, perché agli ebrei era consentito pregare, purché ciò avvenisse senza che i cristiani potessero vedere gli ebrei pregare o anche soltanto le mura del loro luogo di preghiera.

Per la linearità delle forme in legno dal fascino discreto, per la suggestiva sequenza degli spazi, per la garbata eleganza degli arredi e per aver conservato intatte le caratteristiche originarie settecentesche barocche, la sinagoga di Carmagnola è considerata la più preziosa e interessante del Piemonte.

La grande sala di preghiera è quadrangolare e si apre al visitatore in maniera inaspettata, illuminata da sette finestre sormontate da decorazioni a stucco con scritte in ebraico. Gli scranni lignei occupano i quattro lati. Al centro della sala si trova una splendida tevà, il baldacchino ottagonale in legno intarsiato e dipinto, risalente al 1766, dove i rabbini leggono le preghiere. Sempre nella sala si trova un importante aron, l'armadio che custodisce i Rotoli della Legge. Nell'aron sono intagliate immagini rappresentanti il Tempio di Gerusalemme, la Menorà, le Tavole della Legge e l'Altare per i sacrifici. Dal soffitto, con travi a vista, pendono cinque lampadari settecenteschi in legno dorato, mentre il pavimento è in cotto.
Tramite una scala a chiocciola si raggiunge un vestibolo con lavamani. Proseguendo si sale una ulteriore scaletta che conduce al matroneo, schermato da una grata lignea.
La sinagoga di Carmagnola è stata restaurata all'inizio di questo secolo dagli architetti Paola Valentini e Franco Lattes.

Nei locali al piano terreno della sinagoga la Comunità Ebraica di Torino ha allestito una mostra permanente, curata dagli architetti Franco Lattes e Paola Valentini, dal titolo "Parole, oggetti, immagini e architetture delle sinagoghe piemontesi".
Nella mostra, attraverso parole, immagini, disegni, oggetti e suoni, si sviluppa un sintetico itinerario che racconta le sinagoghe piemontesi e documenta il grande sforzo compiuto negli anni ed ancora in corso per restaurare gli edifici e conservare le tracce della presenza ebraica in Piemonte. La mostra permanente si sviluppa secondo una sequenza temporale, dalle sale di preghiera settecentesche, rimaste nella loro originaria configurazione, attraverso le sinagoghe rinnovate nell'Ottocento, sino ai templi israelitici di Torino e Vercelli. Infine due sinagoghe, quelle di Carmagnola e di Torino, sono presentate per illustrare in modo più approfondito la trasformazione delle concezioni architettoniche, del ruolo urbano e dei valori simbolici ad esse collegati, che caratterizzano le sinagoghe precedenti e successive all'emancipazione degli ebrei nello Stato Sabaudo.
Nel percorso conclusivo le fotografie di Monika Bulaj, Daria De Benedetti, Giovanni B. M. Falcone, suggeriscono tre diverse interpretazioni dei luoghi e degli spazi.

La sinagoga di Carmagnola si trova in via Bertini n. 8 ed è aperta alle visite dal 1 aprile al 30 giugno e dal 1 settembre al 31 ottobre ogni domenica dalle 15 alle 18. La sinagoga è inoltre aperta tutto l'anno ogni seconda domenica del mese, con orario 10-12 e 15-18. E' possibile effettuare visite anche fuori da questi orari, prenotando presso la Cooperativa Artefacta, Tel. 347/4891662, 011/8131230.


Ecomuseo della cultura e della lavorazione della canapa a Carmagnola

Canapa grezza nel sentè dell'Ecomuseo
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Canapa grezza nel sentè dell'Ecomuseo
Il sentè di S. Bernardo di Carmagnola
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Il sentè di S. Bernardo di Carmagnola
La canapa, oggi troppo spesso ricordata solo per il suo antichissimo uso come droga o rimedio in caso di malattie, in secoli non troppo lontani è stata utilizzata anche a fini tessili. In Piemonte fu introdotta quasi sicuramente dai Celti, trovando nella pianura a sud di Torino il suo habitat ideale. L'impulso decisivo alla coltivazione avvenne poi nel Medioevo grazie ai monaci dell'Abbazia di Casanova di Carmagnola, che diffusero la conoscenza intorno a questa preziosa cultura. Mentre nel resto del Piemonte le fibre erano utilizzate soprattutto per produrre tele, a Carmagnola la canapa era coltivata specialmente per il seme, ricavato dalle piante femminili e indispensabile per la riproduzione. Non a caso la "carmagnola" è ancora oggi la più diffusa tra le varietà italiane di canapa.
Nel piccolo borgo di San Bernardo di Carmagnola, in particolare, gli abitanti si specializzarono fin dal 1600 nella produzione di cordami. Ecco perché qui è ancora visibile l'ultimo sentè, costruito nel 1905 e utilizzato fino alla metà degli anni Cinquanta del 1900. (Con il termine sentè si intendono le strette e lunghe tettoie, i camminamenti, i "sentieri" dove si lavoravano e producevano le corde in canapa).

Qui a San Bernardo, nell'ultimo sentè rimasto, l'Amministrazione Comunale, in collaborazione con la Provincia di Torino, ha realizzato nel 1998 un museo che racconta una tra le più antiche tradizioni del territorio carmagnolese: l'Ecomuseo della cultura della lavorazione della canapa. Questa realtà non è solo un luogo dedicato al passato: sotto la tettoia, infatti, gli originari attrezzi continuano di tanto in tanto a rivivere attraverso le mani esperte del Gruppo Storico Cordai di San Bernardo che, depositario di questa secolare tradizione, la racconta e la tramanda mediante dimostrazioni pratiche della lavorazione, dalla materia prima al prodotto ultimato. I visitatori possono così assistere alla cardatura, alla filatura e, infine, alla torcitura delle corde, un vero tuffo nel passato: sembra ancora di sentire il vociare delle donne che di sera si ritrovavano sotto il sentè a filare con i bimbi addormentati nei cesti, culle improvvisate.
I segni dell'attività di lavorazione della canapa sono inoltre ancora perfettamente leggibili anche fuori dal museo, conservati nell'architettura delle case del Borgo e nel paesaggio circostante, modellato da rivi, fossi e maceratoi.

L'Ecomuseo della cultura della lavorazione della canapa ha sede in via Crissolo n. 20, Borgo S. Bernardo a Carmagnola (TO).
Orari: dal 1 Aprile al 31 Ottobre (escluso agosto), tutti i sabati e domeniche, ore 15.00-18.00. Il Museo è inoltre aperto durante tutte le domeniche di "Mercantico" (2° domenica del mese, con orario 10-12 e 15-18).
Apertura su prenotazione in tutti gli altri giorni e orari dell'anno, rivolgendosi al Comune di Carmagnola, Ufficio Cultura e Turismo, Tel. 0119721491 - 3384701298 - 0119724238 - Fax 011/9724237 - Email: musei@comune.carmagnola.to.it - www.comune.carmagnola.to.it

- Biglietto di ingresso al Museo: Intero 2,00 Euro - Ridotto (fino a 14 e oltre i 66 anni) 1,00 Euro
- Biglietto Cumulativo per la visita dei 5 Musei di Carmagnola: Intero 6,00 Euro - Ridotto 3,00 Euro


Castelli dei Romagnano e dei Piossasco di None a Virle Piemonte

Nonostante l'abbattimento delle strutture difensive, il centro storico di Virle conserva le caratteristiche di un borgo fortificato, raccolto attorno alla sua parrocchia e ai due castelli, appartenuti alle due famiglie che nel Settecento si contendevano il controllo politico del territorio.

L'attuale chiesa parrocchiale di S. Siro, dedicata al primo vescovo di Pavia, fu eretta tra il 1733 ed il 1735 su una preesistente costruzione del XII secolo, di cui si conservano il campanile e un fonte battesimale del 1495. Il progetto dell'attuale parrocchiale è da alcuni attribuito all'attivissimo architetto Bernardo Antonio Vittone. All'interno della chiesa si ammirano il pulpito e la cantoria provenienti dal distrutto convento di Santa Chiara a Carignano, pregevoli opere lignee di età barocca. Ai lati dell'altar maggiore, che è di notevole interesse, si trovano le cappelle private dei marchesi di Romagnano e dei conti Piossasco di None.

Nei pressi della parrocchiale si trova la Portassa (Porta Boni Loci), antica torre-porta delle mura del castello dei Romagnano, che testimonia il passato militare di Virle. Sulla torre-porta sono conservate tracce di affreschi del XV-XVI secolo. A fianco della Portassa sorge la Chiesa di S. Bernardino, del XVI secolo, che presenta notevoli linee architettoniche e un elegante campanile.

Il Castello dei Romagnano ha invece perso traccia delle sue funzioni difensive, essendosi trasformato in splendida residenza gentilizia per la famiglia marchionale. Conserva tuttavia le torri angolari e un bel giardino cinto da mura. All'interno degno di nota è il "Salone di rappresentanza", il cui soffitto è decorato da oltre cinquecento piatti di porcellana piemontese (probabilmente della manifattura di Vinovo).

Di bell'effetto scenografico è la Piazza dei Forni, elegantemente incuneata tra la chiesa parrocchiale, il palazzo comunale e il castello dei Romagnano.

Poco oltre si erge il Castello dei Piossasco di None. Fatto costruire nel Settecento dal conte Gian Michele Piossasco di None, rimaneggiando un edificio preesistente, conserva al suo interno gli splendidi affreschi del Salone, opera dei modenesi Giuseppe e Niccolò Dallamano. Luigia Birago di Vische, vedova dell'ultimo conte, nel 1862 donò il castello all'Istituto San Vincenzo de' Paoli, da lei fondato.

Museo della Menta e delle Piante Officinali a Pancalieri

Alambicco al Museo della Menta
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Alambicco al Museo della Menta
Chiaffredo Gamba, il primo distillatore a Pancalieri
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Chiaffredo Gamba, il primo distillatore a Pancalieri
Un cimelio nel Museo della Menta
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Un cimelio nel Museo della Menta
Nelle campagne attorno a Pancalieri, a cavallo fra le province di Cuneo e Torino, è diffusa la coltivazione di menta piperita e di altre piante officinali. Dalla pianta di menta si ricava un liquido che contiene l'essenza profumata di menta. Tale liquido è chiamato "olio essenziale di menta piperita Piemonte o Pancalieri Piemonte" ed è riconosciuto quale "prodotto agroalimentare tipico della Regione Piemonte".
Nel secondo dopoguerra nella zona di Pancalieri si iniziò a coltivare anche altre piante officinali ed aromatiche, tanto che oggi nella zona si contano circa venti differenti specie di piante coltivate a scopi commerciali nel Pancalierese: oltre alla famosa menta piperita Piemonte, la menta dolce, la salvia, la melissa, la malva, la camomilla, l'assenzio, il tarassaco, l'estragone, l'iperico, l'issopo, ecc.

Vista la lunga tradizione nella coltivazione della menta, a Pancalieri è stato realizzato il "Museo della Menta e delle Piante Officinali di Pancalieri", per raccontare la storia delle piante officinali, dalle origini ad oggi, passando attraverso i primi distillatori, con testimonianze, documenti, erbari, gigantografie in bianco e nero, racconti di anziani, filmati, attrezzi di un tempo e prodotti di oggi, cicli di lavoro e fasi di produzione delle erbe aromatiche.

Il Museo della Menta e delle Piante Officinali di Pancalieri è stato realizzato con la collaborazione del Museo del Gusto di Frossasco.

Il museo si trova in via S. Nicolao, nei locali comunali che un tempo ospitavano la Società Operaia.

Orario:
- da ottobre a marzo: domenica dalle ore 15 alle ore 17
- da aprile a settembre: domenica dalle ore 10 alle ore 12 e dalle ore 16 alle ore 18 (chiuso 2° e 3° domenica di agosto).
- tutto l'anno, da martedì a sabato: visite guidate su prenotazione (Tel. 0119734102).
Ingresso gratuito.


Centro cicogne LIPU a Racconigi

La sede del Centro Cicogne LIPU
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La sede del Centro Cicogne LIPU
Nei pressi del Castello di Racconigi, vi è la cascina Stramiano, in cui ha sede il centro cicogne della LIPU. Il Centro è agevolmente individuabile dalla strada di accesso, per la domestica, rassicurante presenza sui comignoli dei nidi di questo elegante migratore.
Dalla metà degli anni ottanta, il centro si occupa della reintroduzione delle cicogne in Italia oltre a promuovere campagne di informazione sulla cicogna, anche attraverso programmi di didattica ambientale destinati alle scuole elementari e medie.
Parallelamente viene seguito, attraverso l'allevamento di giovani esemplari, un programma per la reintroduzione in Sardegna di un raro anatide: il Gobbo rugginoso.

Logo Unesco Castello Reale di Racconigi

La facciata del Castello Reale di Racconigi
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La facciata del Castello Reale di Racconigi
Sorta nel Medioevo come roccaforte, la struttura fu trasformata in castello dai marchesi di Saluzzo, per poi passare in proprietà dei Savoia nel 1605. Del medievale castello rimangono, all'estremità destra del cortile, una torre cilindrica con merli coperti da tetto e altre tracce in incorporate nel nucleo centrale dell'edificio.
Il castello medievale rimasè pressoché inalterato fino al 1676, quando il principe Emanuele Filiberto di Savoia-Carignano affidò a Guarino Guarini i lavori di ampliamento e trasformazione del castello medievale in villa signorile con ampi giardini. Del progetto guariniano fu realizzata la splendida facciata settentrionale verso il parco e l'imponente padiglione centrale (coperto nel 1719 da Francesco Gallo), al posto del preesistente il cortile interno.
Lungamente sospesi, i lavori furono ripresi soltanto nel 1755 da Ludovico di Savoia-Carignano, che li affidò a Giovan Battista Borra (allievo del Vittone). Il Borra concluse i lavori nel 1758, realizzando la facciata sud, quella principale e che dà sul centro abitato di Racconigi, con gusto già Neoclassico e vagamente palladiano, ma senza compromettere l'unità stilistica della struttura.

Il Castello Reale fu ampliato nella prima metà dell'Ottocento dal re Carlo Alberto, che aveva eletto Racconigi quale sua dimora estiva preferita e che commissionò a Ernesto Melano l'ulteriore ampliamento dell'edificio, mediante la costruzione di due bassi padiglioni inseriti agli angoli delle due facciate. Raffinati esempi delle trasformazioni albertine sono all'interno il Gabinetto d'Apollo, le cui pareti furono dipinte dal Bellosio, e all'esterno l'enorme edificio delle "Margherie". Il castello assunse così con Carlo Alberto la sua fisionomia attuale e definitiva.
Per quanto riguarda gli interni, le loro trasformazioni furono realizzate da Guarino Guarini nel Seicento, da Gian Battista Borra nel Settecento e dal decoratore e architetto Pelagio Palagi nell'Ottocento, su incarico di Carlo Alberto. All'interno sono presenti numerose sale decorate e arredate con mobili e opere d'arte dal Seicento al Novecento. Fra le sale più fastose del castello si menzionano il Salone, ricco di statue, stucchi e dorature, il Salone di Diana, aperto sul parco, con bassorilievi in stucco del Settecento, camini in marmi preziosi e mensole in alabastro e la Sala di lettura, con numerosi ritratti. L'Appartamento Cinese nel 1906 ospitò lo zar Nicola II di Russia.

Alle spalle del castello si estendono i bellissimi giardini, realizzati da André Le Nôtre (il celebre architetto paesaggista di Luigi XVI) in stile francese, con fontane, statue e giochi d'acqua. Nell'ampio parco si trovano la chiesa "gotica", creata da Giacomo Pregliasco nel 1787-88, una torre-belvedere, creata nel 1823 da Ferdinando Bonsignore, le serre, considerate tra le più famose d‘Europa, e le cosiddette "Margherie", complesso neogotico di ispirazione romantica inglese, formato da vari ambienti con funzioni attinenti la caccia, edificato su progetto di Pelagio Palagi nel 1834.

La particolarità del castello è di essere stato abitato ininterrottamente per tutta la sua storia. Ospitò eventi ufficiali, visite di stato, e, nel 1904, vi nacque il re d'Italia Umberto II.

Dal 1997 tutto il complesso del Castello Reale di Racconigi, come tutte le altre residenze sabaude piemontesi, è tutelato dall'Unesco, che lo ha iscritto fra i beni considerati "Patrimonio dell'Umanità".

Oltre al castello, sono molto interessanti anche la città di Racconigi e la circostante campagna, ricca e fertile, dove si trovano numerose grandi tenute agricole legate ai possedimenti dei Savoia, sulle cui terre furono costruite da architetti famosi grandi cascina, tra le quali citiamo la Migliabruna Vecchia e la Migliabruna Nuova.

Il castello è visitabile, con visite guidate a gruppi, dal martedì alla domenica, con orario 8.30-18.30. Chiuso lunedì. (Sono possibili variazioni nel corso dell'anno).
Anche il parco è visitabile, ma soltanto da marzo a novembre, dal martedì alla domenica, con orario 10-19. La biglietteria chiude un'ora prima. Chiuso lunedì.

Biglietti interi:
- Castello: 5 Euro
- Parco: 2 Euro
- Castello + Parco: 6 Euro
(Sono possibili variazioni nel corso dell'anno)

Sito internet: www.ilcastellodiracconigi.it