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Riserva Naturale Orientata Bosco della Frattona

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Le meraviglie di Rontana

Tesoro archeologico, paesaggistico e naturale.

(01 Lug 22) Si è tenuto sabato scorso, 25 giugno, l'open day a Rontana, cioè una mattina intera con gli archeologi a disposizione per visite guidate gratuite. Come molti sapranno, il sito di Rontana è oggetto di scavi da parte dell'Università di Bologna fin dal 2007, con la direzione di Enrico Cirelli e Debora Ferreri. In quasi quindici anni (fu saltato solo il 2020 a causa del Covid) è venuto alla luce l'intero castello, di cui in precedenza erano noti solo: il torrione ogivale tuttora esistente; la pianta redatta da Achille Lega (per il suo Rocche e Fortilizi di Romagna: Lega era un letterato ma si serviva di un geometra delle Ferrovie che era un autentico segugio e che era riuscito, pur con diversi errori, a fare un discreto rilievo perlomeno delle mura perimetrali); la croce in calcestruzzo eretta nel 1961 sulla precedente del 1928 (e a sua volta risultante da un ingrandimento dell'originale in legno, inaugurata nel 1901 su quel che rimaneva del mastio, oggi obliterato dal manufatto in cemento) e infine alcune foto scattate da Francesco Nonni prima della Grande Guerra e che ci mostrano il torrione più o meno com'è oggi, solo privo di edera, vitalbe e frasche varie.

Rontana, oltre che tesoro archeologico, è anche un posto affascinante: dotato di un panorama mozzafiato (come tutti i castelli in posizione strategica e torreggiante) e di una copertura forestale che grazie al Progetto Europeo Life4OakForest, è in via di "restauro" per il potenziamento delle parte a latifoglie – soprattutto roverella e leccio – a scapito di quella a conifere: queste ultime furono piantate nel 1929 con un notevole cantiere di rimboschimento gestito dall'allora Consorzio di Bonifica: si trattò di pini neri (oggi in larga parte molto deperiti), cipressi (un po'meno), cipressi dell'Arizona (non deperiti ma piuttosto spaesati da un punto di vista paesaggistico), cedri dell'Atlante e, limitatamente ad una conca nel versante nord, tuie dell'Oregon (non deperite e anzi ancora interessanti da un punto di vista storico e testimoniale).

Il progetto Life per il ripristino dei querceti si sovrappone bene, in questo caso, ai necessari abbattimenti ai fini della ricerca archeologica. In estrema sintesi: è ovvio che per quest'ultima si possano "sacrificare" tot piante, meglio appunto se già predestinate perché deperite. Un occhio di riguardo invece andrà riservato a lecci, ornielli e roverelle che, se possibile, vanno preservate perché ombreggiano gli archeologi oggi e ombreggeranno anche i visitatori di domani visto che per questo sito è auspicabile e in parte già previsto un consolidamento degli spettacolari manufatti venuti alla luce e una valorizzazione "turistica" degli stessi.

Ma veniamo ai recenti ritrovamenti: tombe dell'VIII secolo (cronologia confermata da frammenti ceramici associati e da una cintura in rame), una porta di accesso sul lato nord (bellissima, con i piedritti, cioè gli stipiti, perfettamente riconoscibili perché in pietre angolari – in gesso e in arenaria - lavorate con cura) e soprattutto un imponente muro in laterizi sul lato di sud-est. Quest'ultimo risale agli adeguamenti voluti dai Manfredi nel XV secolo: è magnifico, perfettamente conservato, con buche pontaie in parte tamponate e in parte libere e dà un'idea dell'importanza anche militare del sito.

Ancora controversa è invece l'identificazione della primitiva pieve, inglobata nel castello ma probabilmente rasa al suolo dopo l'anno mille per far posto a nuove fortificazioni e infine all'area centrale cortilizia, dove oggi si vede la parte forse più "evocativa" di tutto l'insediamento, cioè il sistema di "pozzi alla veneziana".  Un solo pozzo centrale alimentato da due cisterne laterali che raccoglievano acqua di tetti e di pavimenti per poi depurarle in altre due cisterne piene di sabbia. Enrico Cirelli, che da sempre dirige e segue con passione i lavori, suppone che la chiesa fosse orientata (quindi con l'abside verso est) e che il suo muro sinistro (cioè verso valle: nord) coincidesse più o meno con quello realizzato per ospitare la porta recentemente venuta in luce.

Infine, i reperti. Ben note le ceramiche rinascimentali trovate dodici anni fa nel pozzo (una ventina di brocche di cui cinque assolutamente integre e le altre ben restaurabili) e poi un po' ovunque monete, dadi da gioco in osso, vetri prodotti in loco in un'apposita fornace, abbeveratoi in gesso, un grosso manufatto in calcare cavernoso, tre rocchi di una colonna in Rosso Ammonitico in tutto e per tutto analoga e a quella di Pieve Tho. Ma il più interessante è venuto alla luce lo scorso anno e consiste in un sigillo papale in piombo con inciso il nome Gregorius: se risulterà Gregorio Magno, cioè il Primo, allora dovremo ante-datare tutto al VI-VII secolo. Si tratta di una sorta di certificato di autenticità che veniva allegato, tramite cordoncino un po' come si fa tuttora per i salumi, ad importanti documenti (regalie, concessioni, donazioni). Per avere un confronto si può andare alla Biblioteca Manfrediana di Faenza dove proprio adesso, in occasione della mostra sull'Archivio Zauli Naldi è esposto un documento con sigillo plumbeo ancora legato…. Certo, molto più tardo, inoltre nel nostro caso il documento, probabilmente in pergamena o in papiro, è andato ovviamente perduto.

Le meraviglie di Rontana
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