2.5. i parchi nazionali COME POLITICA AMBIENTALE.

 

In Italia, la pianificazione paesistica è ufficialmente introdotta con la legge 29 giugno 1939, n. 1497, volta alla tutela delle cosiddette "bellezze naturali, ma i piani paesistici predisposti in base alla legge 1497/1939 sono pochissimi e molto circoscritti e soltanto con la legge 8 agosto 1985, n. 431 (la cosiddetta legge Galasso, dal nome del suo autorevole proponente), la pianificazione paesistica prende concreto avvio su gran parte del territorio nazionale. » solo con tale legge che la tutela ambientale acquista piena rilevanza urbanistica, territoriale e socioeconomica, entrando a connotare obbligatoriamente la pianificazione generale del territorio. Ciò è tanto più importante in quanto, come la stessa legge precisa, il campo di attenzione, ai fini della disciplina d'uso e di valorizzazione ambientale che i piani debbono assicurare, è enormemente più vasto di quello che era in precedenza costituito dagli scarni elenchi di beni tutelati in base alla legge 1497/1939. Esso abbraccia obbligatoriamente una molteplicità di beni - come le fasce costiere, i corsi d'acqua, la montagna oltre i 1.600 metri s.l.m., i ghiacciai e i circhi glaciali, i parchi e le foreste, le zone umide etc. - ampiamente diramati sul territorio, e finisce quasi sempre per coincidere appunto con la maggior parte del territorio complessivo.

La pianificazione delle aree protette, e in particolare dei parchi naturali, deve essenzialmente la sua specificità al fatto che gli ambiti interessati, pur nella loro diversità, sono sempre caratterizzati da qualche forma di protezione istituzionale per il particolare valore delle risorse naturali, degli ecosistemi e dei paesaggi ospitati. Sebbene in tutto il mondo le aree protette rappresentino tuttora una quota relativamente modesta della superficie delle terre emerse e anche dei territori abitati, il loro sviluppo in Europa negli ultimi decenni è stato spettacolare (fig. 2.1.).

 

 

 

Fig. 2.1.: La distribuzione dei parchi naturali in Europa.

 

Secondo indagini svolte a livello europeo, il numero dei parchi è aumentato da circa 60 negli anni cinquanta a oltre 600 nel 1995, mentre la loro superficie complessiva si è estesa da poco più di 20.000 kmq a quasi 250.000 kmq (pari a circa il 5% della superficie territoriale complessiva dei paesi interessati): un aumento, di circa 10 volte i valori precedenti. Anche in Italia la superficie protetta è più che decuplicata dai primi anni settanta ai primi anni novanta, mentre il numero è passato da poche unità (i cinque parchi storici) ad oltre un centinaio.

Simile andamento ha conosciuto un'impennata nell'ultimo decennio, nel corso del quale si è assistito ad una crescita del 40% dei parchi europei (fig. 2.2.) a cui hanno contribuito in misura determinante i paesi meridionali; mentre i paesi dell'Europa centrale avevano invece svolto un ruolo più importante nei decenni precedenti

 

 

 

Fig. 2.2.: La crescita del numero dei parchi naturali in Europa, dal 1909 al 1995.

 

La tendenza a intervenire positivamente sui paesaggi e gli ambienti da tutelare sembra destinata a rafforzarsi non soltanto in alternativa alla conservazione (cioè per le aree o le risorse riconosciute ìnon meritevoliî di tutela conservativa) ma anche, sempre più spesso, ìin appoggioî alla conservazione.

La diffusione dei parchi naturali tende a intrecciare sempre più problemi di tutela e conservazione degli spazi naturali con quelli dello sviluppo socioeconomico, urbano e produttivo, e quindi dell'organizzazione e dell'uso del territorio. E' un intreccio che si fa sentire prima di tutto all'interno delle aree protette, in cui occorre ormai affrontare problemi di gestione assai diversi da quelli che caratterizzavano la gestione dei parchi storici fino a non molti decenni addietro. In linea generale, è facile osservare che l'esigenza della pianificazione è tanto più avvertita quanto più le aree protette presentano disomogeneità e problemi interni o di confine, quanto più elevata (anche se circoscritta ad ambiti limitati) è la pressione antropica, quanto più ìattivaî è la politica di tutela e di valorizzazione desiderata.

Entrare in una logica di piano è tanto più necessario quanto più vincoli e interventi si diversificano sul territorio, o comunque producono effetti diversificati nelle diverse parti del territorio e/o per i diversi interessi coinvolti e/o per i diversi gruppi sociali interessati; quanto più cioè la gestione deve affrontare problemi di equità o anche soltanto di efficienza distributiva. Tali problemi sono destinati ad assumere una crescente rilevanza nella gestione dei parchi e in genere nelle politiche ambientali.

Tuttavia emerge una esplicita domanda di pianificazione in difesa dell'ambiente proprio negli anni in cui la crisi della pianificazione stessa è diventata più evidente, e più diffusa la sfiducia nei suoi metodi, nei suoi strumenti, nelle sue pratiche applicative.

La rivalutazione del piano nel vasto ambito delle tematiche ambientali era osservabile da tempo a livello internazionale, ma si è manifestata in Italia in modi quasi inaspettati nel corso degli anni ottanta, in particolare nel 1985, quando un Parlamento apparentemente distratto approva quasi contemporaneamente la legge sul condono edilizio (che, aldilà di ogni buona intenzione, avalla di fatto il consolidamento dell'abusivismo edilizio, sottratto ad ogni efficace controllo pianificatorio) e la legge Galasso ìper la tutela delle zone di particolare interesse ambientaleî.

Aspetto qualificante della l. 8/8/1985 n. 431 è appunto la rivalutazione del piano come strumento essenziale di gestione della tutela ambientale: che si traduce nell'obbligo per le regioni, con riferimento ai beni e alle aree da tutelare, di sottoporre ìa specifica normativa d'uso e di valorizzazione ambientale il relativo territorio, mediante la redazione di piani paesistici o di piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientaliî (art.1 bis). Norma fortemente innovativa perché non soltanto rilancia la pianificazione paesistica già introdotta con la l. 29 giugno 1939 n. 1497 volta alla tutela delle cosiddette ìbellezze naturaliî, ma di fatto quasi ancora inapplicata, ma soprattutto realizza quella ricongiunzione tra la materia urbanistica e la materia della tutela ambientale che la legislazione precedente aveva lasciato largamente incompiuta. Pochi anni dopo, la l. 18/5/1989 n. 183 recante ìNorme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suoloî ribatte la stessa strada. Al centro della legge vi sono infatti le attività di pianificazione e programmazione coordinate, per ogni bacino idrografico, dalle apposite Autorità di bacino. Inoltre, ciò che ci interessa di più, è la ìlegge quadro sulle aree protetteî (l. 6/12/1991 n. 394) uscita dopo molti anni di attese e vicissitudini legislative, che si propone ìdi garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paeseî (art. 1). La legge introduce una serie di principi fondamentali, tra i quali vi è certamente quello per cui ìla tutela dei valori naturali ed ambientali affidata all'Ente parco è perseguita attraverso lo strumento del piano per il parcoî. La formazione del piano, predisposto dall'Ente di gestione ed approvato dalla regione competente, diventa così il passaggio obbligato ed ordinario per le politiche di tutela. La pianificazione dei parchi e degli spazi naturali sta assumendo in Europa - ed anche in Italia, aldilà dell'obbligo fissato dalla l. 394/1991 - un'importanza crescente. Ci si può dunque chiedere quanto ciò sia dovuto ai fattori generali che hanno determinato l'emergere di quella ìdomanda ambientaleî di pianificazione e quanto invece dipenda da fattori più direttamente interessanti i parchi e le aree protette. Tra questi ultimi si riconoscono due raggruppamenti principali:

fattori legati ai cambiamenti oggettivi dei problemi di protezione della natura e dell'ambiente;

fattori legati ai cambiamenti socioculturali del mondo industrializzato.

Tra i piani, non va certo sottovalutato l'aumento, pur tra molti squilibri e contraddizioni, del numero e dell'estensione delle aree protette: anche in Italia, l'iniziativa regionale ha portato in meno di 15 anni a quintuplicare la superficie protetta dai parchi nazionali (207 aree protette nel 1991, con una superficie complessiva di 1.369.637 ha, contro i 269.912 ha dei 5 parchi nazionali ìstoriciî, ai quali si possono aggiungere i 90.484 ha delle riserve statali). All'interno stesso delle aree protette, cambia la natura dei problemi che le politiche di gestione debbono affrontare: cambiano i conflitti, i rischi, le minacce e le pressioni cui esse sono sottoposte. Le minacce che più preoccupavano il legislatore quando i maggiori parchi italiani furono istituiti (come tipicamente la caccia per il Parco del Gran Paradiso, dello Stelvio, d'Abruzzo) e che ancora polarizzavano l'attenzione dell'opinione pubblica negli anni sessanta o settanta sono poca cosa a fronte dell'impatto del turismo di massa, coi fenomeni connessi della diffusione indiscriminata delle seconde case, delle strade e del traffico motorizzato, degli impianti di risalita e delle piste di sci o delle attrezzature ricreative e sportive più diverse. In sostanza, i cambiamenti oggettivi che si sono prodotti e si stanno producendo nell'estensione, nella complessità e nella qualità dei problemi di protezione della natura e dell'ambiente, sollecitano in modo sempre più evidente il ricorso alla pianificazione, come base per le politiche di gestione, anche all'interno delle aree protette.

In generale è facile osservare in Europa ritardi, carenze e disomogeneità più gravi di quelli osservabili in altri contesti, soprattutto negli Stati Uniti. L'esperienza degli Stati Uniti, culla dei parchi nazionali, costituisce quindi un termine di paragone imprescindibile per valutare la situazione europea e le prospettive che, con la l. 394/1991, si stanno profilando in Italia. La situazione europea si stacca nettamente da quella americana, non soltanto perché il ricorso alla pianificazione non ha né i caratteri di obbligatorietà né quelli di sistematicità ed ordinarietà osservabili nell'esperienza degli Stati Uniti, ma anche perché non esistono a livello europeo e, spesso, neppure a livello di singole nazioni, norme o criteri volti a regolare la produzione dei piani ed a controllarne la qualità e l'efficacia. La situazione varia infatti da quella di paesi come la Gran Bretagna o la Francia o la Germania, nei quali la pianificazione dei parchi può essere considerata un'attività istituzionale consolidata, a quella di paesi come la Norvegia o il Portogallo, nei quali tale attività ha preso solo recentemente avvio, a quella ancora di paesi come l'Italia, nei quali si avvertono forti differenze tra parchi nazionali e parchi regionali e, per questi ultimi, fra le diverse regioni.

Oggi, comunque, la maggior parte dei parchi europei (precisamente il 57% al 1995, secondo le indagini Ced-Ppn) è dotata di piano di gestione, e una parte dei restanti ha in corso di formazione un piano; la maggior parte dei parchi sprovvisti di piano è di recente istituzione, com'è comprensibile se si tiene conto dei tempi tutt'altro che brevi necessari per la formazione dei piani.

La situazione italiana, in questo panorama, sembra piuttosto anomala: da un lato i cinque parchi nazionali esistenti al 1991, pur essendo di grande prestigio e di precoce istituzione, sono tuttora sprovvisti di piani; dall'altro lato il primo tentativo di pianificazione, quello per il Parco dello Stelvio, non ha avuto alcun seguito, e neppure quello più avanzato, per il Parco del Gran Paradiso, nonostante i recenti progressi, sembra prossimo ad una positiva conclusione. La situazione potrebbe peraltro mutare rapidamente, non solo per il maturare dei processi di pianificazione in atto, ma anche per la nascita di nuovi parchi nazionali. Ai cinque parchi nazionali esistenti prima della legge n. 394 del 6 dicembre 1991 (Gran Paradiso, Abruzzo, Circeo, Stelvio, Calabria), se ne sono aggiunti altri 14 dopo la legge 394 (Dolomiti Bellunesi; Monti Sibillini; Foreste Casentinesi, Monte Falterona, Campigna; Valgrande; Pollino; Aspromonte; Cilento e Valle di Diano; Gran Sasso-Monti della Loga; Maiella; Gargano; Vesuvio; Arcipelago Toscano; La Maddalena; Asinara); e in corso di istituzione sono il Gennargentu, Cinque Terre e Appennino Tosco-Emiliano.

Alla luce delle considerazioni fin qui esposte, si dovrebbe ritenere che la motivazione dell'istituzione dei parchi possa oggi essere ricercata in quattro funzione interconnesse:

a) conservazione ambientale; b) fruizione sociale; c) sviluppo locale; d) rappresentazione e comunicazione culturale; nel quadro di strategie complessive di tutela e valorizzazione degli spazi naturali e di organizzazione e sviluppo del territorio. E' dunque in relazione a tali finalità - o meglio ancora al loro intreccio, che è diverso da un parco all'altro - che occorre cercare di definire il ruolo specifico della pianificazione delle aree protette; quindi assume grande importanza la preliminare definizione degli obiettivi specifici che la pianificazione deve perseguire, obiettivi che non possono in alcun caso essere dati per scontati, o essere dedotti meccanicamente dagli scopi istituzionali delle singole aree protette. In linea generale, il ruolo della pianificazione consiste anzitutto nell'offrire alle scelte di gestione un quadro strategico di riferimento, sufficientemente ampio e lungimirante; è infatti evidente che nessuna strategia efficace di regolazione dell'accessibilità, di distribuzione dei flussi turistici, di integrazione delle attività economiche compatibili o necessarie per la conservazione ambientale, può essere disegnata se non facendo riferimento all'intero contesto territoriale interessato, indipendentemente dal fatto che esso sia solo parzialmente compreso nei confini dell'area protetta.

Nell'esperienza internazionale, la pianificazione delle aree protette deve altresì assicurare, mediante opportune forme di disciplina, un certo controllo degli usi del suolo, al fine di ridurre o contenere i conflitti e le incompatibilità in atto o potenziali, di assecondare le possibili sinergie, di infondere una certa razionalità distributiva nei processi d'uso e di trasformazione. La forma più diffusa con cui la pianificazione ha tentato di assolvere questa funzione è rappresentata dalla ìzonizzazioneî - vale a dire dalla differenziazione della disciplina per le diverse parti del territorio protetto - che tuttavia si presenta in modi assai diversi nelle diverse esperienze nazionali e regionali.

La stessa articolazione indicata in Italia dalla legge 394, che distingue quattro tipi di zone, a decrescente severità di disciplina (riserve integrali, riserve generali orientate, aree di protezione, aree di promozione economica e sociale), sembra lasciare spazio a forme diverse di zonizzazione, o, meglio, di articolazione territoriale della disciplina di piano. La legge 394 offre al riguardo una soluzione drastica (i piani dei parchi sostituiscono a tutti gli effetti i piani urbanistici, anche nelle zone urbanizzate: v. art. 12 e 25) che va nella direzione opposta a quella presa da molte Regioni e da molte leggi istitutive di parchi regionali (che riservano invece ai Comuni, tramite i piani urbanistici, la disciplina delle parti più antropizzate) e che sembra difficile da praticare, se non in parchi disabitati o in presenza di un alto grado di consenso. Inoltre, la pianificazione è chiamata a ìgiustificareî le scelte di gestione, nel senso che esse non possono più legittimarsi sulla base di semplici dichiarazioni di pubblica utilità, o di discrezionali decisioni delle ìautorità competentiî, ma richiedono di essere specificamente spiegate e motivate.

In conclusione, la necessaria ridefinizione del ruolo della pianificazione per la gestione delle aree protette profila nuovi rapporti, assai più stimolanti, dinamici ed innovativi, tra scelte di gestione e conoscenza scientifica dell'ambiente.