2.6.2. La legge quadro sui parchi.

 

Quella sulle aree protette non è sicuramente l'unica legge che è rimasta in lista d'attesa per un tempo incredibilmente lungo. E tuttavia il suo cammino è stato così accidentato, che pochi ormai credevano in un suo positivo approdo. Le prime proposte di legge sui parchi, come è noto, risalgono al 1964. Due anni prima era stato il CNR a porre il problema. Fino al '70, però, l'anno in cui vengono istituite le regioni, il dibattito e l'interesse per la ìconservazioneî malgrado le proposte di legge, non va molto al di là di ambienti culturali piuttosto ristretti.

Sono gli ambientalisti o, più precisamente, i ìconservazionistiî ad agitare la questione, mentre le forze politiche e sociali mostrano ancora scarsa sensibilità ed interesse. Talune impennate positive si registrano quando l'esigenza di ìconservazioneî può giocare un ruolo determinante nella lotta contro grosse speculazioni edilizie che minacciano, in quegli anni, ambienti di grande pregio. Alcuni parchi, che saranno istituiti in anni successivi, prendono corpo come idea - proposta proprio allora, all'insegna di battaglie contro operazioni scellerate, purtroppo non sempre sconfitte.

Non è un caso che in carenza di una legge nazionale le regioni che allora ritennero giusto impegnarsi concretamente nella istituzione dei parchi, piuttosto che limitarsi a protestare nei confronti delle inadempienze dello Stato e dei ritardi del Parlamento, abbiano dovuto ricorrere a competenze proprie, settoriali e spesso parziali, nel campo dell'assetto del territorio, della fauna, dell'agricoltura etc.

All'inizio degli anni Ottanta, nel corso della settima legislatura , dalla collaborazione tra Ministero dell'agricoltura e foreste, Italia Nostra, WWF Italia e CAI, prende corpo la prima iniziativa legislativa in materia da parte del Governo. Ne è fautore il Ministro senatore Giovanni Marcora che intende così adempiere al disposto di cui all'art. 83 del DPR n. 616/1977 che aveva fissato nel 31 dicembre 1979 il termine per l'approvazione della disciplina generale di parchi e riserve naturali. Il disegno di legge n.711 del 7 febbraio 1980 prevedeva, tra l'altro, l'adeguamento dei parchi nazionali esistenti, la costituzione dei parchi nazionali in enti autonomi (come già per il Parco d'Abruzzo e per quello del Gran Paradiso), la ripartizione del territorio del parco in zone con diversificazione di destinazione e tutela, l'indicazione delle attività vietate perché incompatibili, l'istituzione di otto parchi nazionali nonché di riserve e parchi marini e di un servizio autonomo per le riserve naturali e, infine, del Consiglio nazionale per la protezione del patrimonio naturale con compiti di coordinamento, di indirizzo e di controllo degli enti gestori delle aree naturali protette, affidato alle rappresentanze di tutti i soggetti interessati (Stato, regioni, comunità montane, comunità scientifica e associazioni ambientalistiche). Nello stesso anno (28-30 ottobre 1980) l'Università di Camerino ospitava lo storico convegno promosso dal WWF Italia e dal Comitato parchi e riserve analoghe operante nell'ambito del Parco nazionale d'Abruzzo. Il dibattito si concluse con la sfida allo Stato e alle regioni di realizzare entro la fine del secolo un sistema di aree naturali protette su una superficie pari ad almeno il 10% del nostro Paese. Il disegno di legge Marcora, unificato con altri, per la fine anticipata dell'ottava legislatura decadde quando già era all'ordine del giorno dell'aula.

Anche le proposte legislative presentate e discusse nell'ottava e nella nona legislatura non pervennero all'approvazione.

Quando la decima legislatura (1987-1992) prende avvio, è ancora viva l'eco della tragedia di Chernobyl. Per la prima volta entra in Parlamento un drappello di deputati e di senatori verdi che, nonostante le loro provenienze più disparate, si ripromettono alcuni obiettivi comuni a quelli del movimento ambientalista.

Anche parlamentari di derivazione prettamente politico-partitica tradizionale mostrano interesse, attenzione e curiosità verso la problematica ambientale che improvvisamente ha fatto irruzione nelle istituzioni. La normativa sulle aree naturali protette è quella che da tempi più remoti è, per così dire, in lista di attesa: più volte sul punto di essere votata nelle precedenti legislature, era stata ostacolata e differita dai perenni conflitti di competenze tra Stato e regioni, per gli interessi particolaristici di agguerriti e potenti gruppi di pressione in grado di influenzare diverse componenti del Parlamento, ma anche a causa delle persistenti sacche di arretratezza culturale sui temi della conservazione della natura e, infine, per la ragione contingente della reiterata interruzione di alcune legislature. Tra i vari progetti di legge presentati nei due rami del Parlamento, quello sul quale converge alla Camera l'adesione di 38 deputati di quasi tutti i gruppi parlamentari reca il numero 1964 (26 novembre 1987). Il Ministro dell'ambiente, sen. Giorgio Ruffolo, rinuncia a presentare un autonomo disegno di legge del Governo affermando la validità del p.d.l.n. 1964/1987 e riservandosi eventuali modifiche e integrazioni. L'iter legislativo inizia alla Camera (relatore l'on. Piero Angelini dapprima e l'on. Franco Ciliberti in un secondo tempo) su un testo unificato che di fatto si fonda sulla p.d.l.n. 1964/1987. Gli aspetti di più acuto conflitto nel dibattito parlamentare (specialmente durante la prima lettura della legge presso la commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera) riguardano le modalità di reclutamento dei direttori (art. 9), il nulla osta del Consiglio direttivo dell'ente per intervenire, impianti e opere all'interno del parco (art. 13), la sorveglianza (art. 21), l'elenco dei nuovi parchi nazionali.

La lista originaria dei parchi nazionali di nuova istituzione, che durante l'iter parlamentare si era arricchita in seguito ad emendamenti aggiuntivi, è stata ridotta con l'esclusione di alcuni ambienti di interesse nazionale e internazionale come quelli del Brenta-Adamello, dell'Etna e dei Monti dell'Uccellina (attualmente parchi naturali regionali), delle Alpi Marittime (in parte già tutelate come aree naturali protette), delle Alpi Tarvisiane e del Monte Bianco.

La legge 6 dicembre 1991 n. 394 è stata approvata in via definitiva alla Camera dei deputati il 20 novembre 1991, ed è entrata in vigore il successivo 28 dicembre. Si è parlato di un evento ìstoricoî e il giudizio ci sembra condivisibile. Infatti dagli incerti passi dei primi decenni del secolo - quando la conservazione della natura era intesa unicamente come tutela delle bellezze del paesaggio - si è pervenuti finalmente ad una normativa organica e unitaria cui è sottesa una visione più globale, comprensiva anche della protezione dei valori ecologici e scientifici. I termini di attuazione della legge previsti non sono stati rispettati nonostante la disponibilità di risorse finanziarie, non opulente ma neppure trascurabili, da impiegarsi comunque con saggezza.

Decenni di dibattiti, di sacrifici, di attese non possono essere traditi da chi ha ereditato un impegno, un patrimonio di speranze. Certo, non un'applicazione qualsivoglia della legge, non parchi-bazar dove si possano trovare mercanzie che vicendevolmente si respingono né enti lottizzati, come ha scritto Arturo Osio, solo per occupare posti e posizioni di potere. Sottrarre alla dissipazione risorse naturali irripetibili e creare così anche occasioni di nuova occupazione si può, anzi, si deve.

Gli aspetti più qualificanti della legge possono essere sintetizzati nei termini seguenti:

Lo Stato può istituire nuovi parchi nazionali. La legge è anche provvedimento-istituzione: stabilisce ed elenca i nuovi parchi nazionali. Considerando l'apporto finanziario che la normativa assicura in conto capitale anche alle regioni, è sicuramente prevedibile il superamento (tra Stato, regioni, altri enti pubblici e privati) della soglia del 10% di superficie nazionale destinata ad aree naturali protette, indicata dal convegno di Camerino del 1980 quale obiettivo ìminimo irrinunciabileî.

Le regioni hanno potestà legislativa oltre che amministrativa in materia di parchi naturali regionali e sono tenute ad adeguare la loro legislazione ai principi generali della legge e alle norme di riforma economico-sociale introdotte all'art. 22.

Gli articoli 9 e 32 della Costituzione (e non l'art. 117) sono la sorgente costituzionale da cui scaturisce la legge: si dirime la vexata questio che contrassegnò il dibattito degli anni Settanta.

Non si possono istituire aree naturali protette ovunque, ma soltanto là dove, secondo valutazione scientifica confortata dai risultati della ricerca, sia opportuno o urgente apprestare una particolare tutela di ìvalori estetici, scientifici, ecologici di raro pregioî.

Nelle aree naturali protette compete priorità alla conservazione, che è valore ìinsuscettivo di essere subordinato a qualsiasi altro interesseî, compreso quello economico. Conseguentemente il piano del parco è sovraordinato agli altri strumenti di pianificazione e le iniziative economico-sociali debbono ottenere per questo il parere vincolante del consiglio direttivo dell'ente parco.

Il principio di leale collaborazione impronta tutti i momenti decisionali più delicati e importanti concernenti l'istituzione e la gestione dei parchi nazionali.

Il piano del parco si estrinseca nella zonazione che stabilisce i diversi usi e gradi di tutela in considerazione delle emergenze naturalistiche, dei valori ecologici ed estetici, delle preesistenze edilizie inevitabili.

La distinzione fra aree naturali protette internazionali, nazionali, regionali e locali dipende dalla dimensione degli interessi e dei valori: nelle sue decisioni l'autorità politica dovrebbe sempre attenersi alle indicazioni e proposte scientifiche fondate sui risultati della ricerca.

Le competenze congiunte di amministrazione diretta e di alta consulenza attribuite al Consiglio centrale dei parchi nazionali e al Consiglio dei parchi e delle altre aree protette sono scisse dalla legge 394/1991 fra Comitato (amministrazione attiva) e Consulta tecnica (consulenza tecnico-scietifica).

L'inclusione nel consiglio direttivo dell'ente parco degli esperti di designazione delle comunità scientifica e delle associazioni di protezione ambientale è un riconoscimento della competenza tecnica e del ruolo etico-politico di quella parte della società civile che concorre al perseguimento di finalità di interesse pubblico ambientale-naturalistico anche attraverso dirette esperienze di gestione di aree naturali protette (e infatti l'Università di Camerino, il WWF Italia, la LIPU, il FAT e Federnatura amministrano oasi e riserve naturali).

I benefici fiscali e le altre misure agevolative (artt. 7, 16, 37) sono incentivi che trovano il loro fondamento costituzionale negli artt. 9 e 32 di cui le aree naturali protette rappresentano una forma di attuazione nell'ambito della conservazione della natura (art. 1).

La comunità del parco è organo dell'ente, con cospicua rappresentanza nel consiglio direttivo (5 consiglieri), funzioni consultive e compiti promozionali (predisporre il piano economico-sociale). La comunità del parco è stata concepita per rinsaldare il rapporto tra parco e popolazioni e superare i tradizionali conflitti che hanno a lungo travagliato l'attività dei parchi nazionali preesistenti alla legge.

La legge 394/91 ha prodotto indubbi risultati positivi: ha portato all'istituzione fino ad ora di ben 6 nuovi parchi nazionali (Parco del Cilento e della Valle del Diano, del Gargano, del Gran Sasso e Monti della Laga, del Vesuvio, della Maiella, della Val Grande); ha fornito un quadro normativo e organizzativo unitario a tutti i parchi nazionali e criteri unitari per i parchi regionali; ha definito la procedura per l'istituzione dei parchi e delle riserve marine; ha introdotto una precisa classificazione delle aree naturali protette ed un loro elenco ufficiale,; ha consentito l'avvio della definizione della Carta della Natura che individua lo stato dell'ambiente naturale in Italia. Anche ammettendo che la Legge 394/91, data la sua complessa articolazione, richiederà un certo numero di anni per produrre tutti i suoi effetti, non si può negare che la sua applicazione sia proceduta troppo lentamente, accumulando notevoli ritardi e non poche inadempienze.

Al momento dell'insediamento del Governo Prodi (1996), dopo quasi cinque anni dall'approvazione della legge quadro sulle aree protette, nessun parco nazionale aveva la pianta organica operativa, circa la metà dei parchi mancava del direttore, i finanziamenti erano talmente esigui da non consentire un normale funzionamento degli Enti Parco. Senza l'operatività degli Enti Parco non si potevano fare né i regolamenti del parco, né i piani del parco, né tantomeno definire i piani per lo sviluppo economico e sociale delle comunità locali. Questi ritardi hanno, fra l'altro, indebolito la credibilità dei nuovi parchi nazionali e alimentato le critiche al nuovo sistema delle aree protette avviato dalla legge 394/91.

Tali ritardi e tali inadempienze sono, infatti, dovuti principalmente a: una struttura del Ministero dell'Ambiente precedente alla legge 394/91 e non adeguata ai nuovi onerosissimi compiti; un impegno contenuto dei Governi e del Parlamento; procedure amministrative troppo complesse e burocratiche; un livello inadeguato di comunicazione di collaborazione fra Stato, Regioni e enti locali.

In discussione non sono naturalmente le sue finalità, ma le modalità, le procedure, gli strumenti che avrebbero dovuto assicurare e consentire quella "leale collaborazione" istituzionale che è la condizione fondamentale per la costruzione di un sistema nazionale di aree protette; collaborazione che per esplicarsi su un piano di effettiva parità doveva evitare di collocare lo Stato in una posizione di supremazia.

Al raccordo, chiamiamolo così, tra Stato e Regioni avrebbero dovuto provvedere soprattutto il Comitato per le aree protette ed anche la Consulta tecnica, unitamente ad altri strumenti e procedure miranti a conseguire accordi e intese ogni qualvolta si dovessero prendere decisioni di comune interesse. Ora che il Comitato è stato soppresso ed anche per la Consulta tecnica si propone l'abrogazione, sarà bene tenere conto di questo fallimento quando si metterà mano a eventuali e probabilmente indispensabili nuovi organismi di "collaborazione".

Così il rapporto Regioni-Stato si è esplicato ed è stato gestito alla vecchia maniera, in una estenuante e sempre frammentaria trattativa tra uffici ministeriali e Regioni e con gli stessi parchi, al di fuori di qualsiasi visione di insieme e trasparenza.

I decreti Bassanini, modificando di fatto la legge e non soltanto per quanto riguarda questi organi misti soppressi, hanno aperto nuove prospettive alla collaborazione tra Stato e Regioni.

Con grande fatica, alcuni ritardi, non ancora tutti, sono stati recuperati, quasi tutti gli Enti Parco sono in grado di funzionare con presidenti, direttori, consigli direttivi, comunità del parco, piante organiche e la gran parte degli statuti; gli stanziamenti ordinari sono aumentati significativamente. La legge 394/91 è coinvolta anche in un dibattito istituzionale che riguarda due aspetti essenziali: il rapporto fra Stato, Regioni ed Autonomie locali e la programmazione e la gestione del territorio e delle attività economiche. L'obiettivo generale di conservazione e valorizzazione di queste aree, democraticamente condiviso, deve essere perseguito da tutto il sistema istituzionale con funzioni differenziate: dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province, dai Comuni e dalle Comunità montane. Lo Stato deve garantire in primo luogo, anche se non in misura esclusiva, l'attuazione degli accordi internazionali, delle direttive e delle politiche europee; deve garantire la tutela e la valorizzazione, nel breve e nel lungo periodo, del patrimonio naturale e ambientale del paese.

Questo patrimonio naturale e ambientale va conservato per obbligo internazionale e perché è una risorsa strategica per il paese.

Per quanto riguarda le aree naturali protette di interesse regionale, la legge 394/91 ha stabilito dei principi fondamentali attraverso norme-quadro che sono tutte improntate all'attribuzione alle autonomie locali da parte delle Regioni di ruoli e funzioni rilevanti come la partecipazione delle Province, delle Comunità Montane e dei Comuni ai procedimenti di istituzione dell'area protetta.

Uno dei temi più discussi, e che ha suscitato numerosi conflitti locali, è il divieto di attività venatorie, stabilito dalla legge 394/91, nelle aree naturali protette, sia nei parchi nazionali, sia in quelli regionali. Alla base di questo divieto vi sono studi scientifici che dimostrano che la fauna selvatica, disturbata e ridotta di numero dal prelievo venatorio, tende a rifugiarsi nelle zone meno accessibili, non sempre le più idonee alla riproduzione, rischiando pesanti riduzioni delle popolazioni che sono difficilmente valutabili preventivamente. Inoltre, secondo i dati di una recente ricerca delle Ferrovie dello Stato, il 67% dei cittadini italiani che si mettono in movimento per il fine settimana o per le vacanze visita un parco; possiamo stimare che almeno 20 milioni di cittadini visitano i parchi ogni anno.

In conclusione, nella legge 394/91 si è realizzato un difficile e delicato equilibrio che consente una estesa partecipazione delle comunità locali ed una leale collaborazione con le Regioni in forme compatibili col carattere dei parchi nazionali, ed in forme improntate ad una forte autonomia nella istituzione e gestione dei parchi e delle riserve regionali. Rompere questo delicato equilibrio rischia di ridurre l'impegno dello Stato in un settore decisivo di rilevanza internazionale e nazionale. Mettere a rischio il necessario carattere unitario e coordinato di queste politiche e non attivare un ruolo adeguato delle Regioni (solo 11 hanno conformato la loro normativa regionale alla 394/91) e degli enti locali, indebolirebbe altresì il sistema delle aree naturali protette.