4.2. il parco nazionale delle Foreste Casentinesi fra il centro e la periferia.

 

Il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi in particolare si caratterizza come uno dei Parchi che più in profondità esplora le possibilità di raccordo con gli Enti territoriali locali per la definizione di politiche comuni . Forse l'esempio più emblematico è rappresentato dalla gestione del territorio.

L'impegno di maggiore spessore programmatico e gestionale della prima parte della vita del Parco viene svolto in stretto raccordo tra il Consiglio Direttivo e la Comunità del Parco, attraverso la redazione congiunta dello strumento di Piano Pluriennale Economico e Sociale. Questo fatto, oltre ad evitare i possibili conflitti metodologici e di merito tra i due strumenti, ha sicuramente il significato del pieno coinvolgimento delle istanze locali nella pianificazione dell'area.

Il procedere dell'esperienza concreta di gestione dei Parchi Nazionali, nel quadro istituzionale sopra delineato, evidenzia l'inadeguatezza dello status giuridico di Enti locali cui sono oggi soggetti i Parchi. Oltre a costituire problemi gestionali non indifferenti, questo status lascia gli Enti nell'incertezza rispetto al loro ruolo nei confronti delle autonomie locali.

» indubbio che, date per scontate le azioni di tutela e salvaguardia, due sono le tematiche di base, peraltro fortemente interconnesse, che catalizzano l'attenzione del Parco nel prossimo futuro:

la definizione di politiche volte alla incentivazione concreta di forme di economia sostenibile e "tipizzata";

il raccordo delle politiche svolte all'interno dell'area protetta con quanto avviene nel territorio circostante.

Lo sviluppo di politiche di promozione del mercato turistico o dell'economia agricola presuppone che tutti i soggetti aventi competenze in materia diano il loro contributo a definire un quadro complessivo e degli strumenti concreti di attuazione.

Uno strumento concreto per operare in tal senso per sperimentare più avanzate forme di coordinamento, potrebbe essere quello dell'area contigua, come definita dall'art. 32 della legge quadro.

Queste aree non sono a tutti gli effetti aree del Parco, ma non sono neppure a tutti gli effetti aree esterne; le Regioni, d'intesa con gli organismi di gestione delle aree naturali protette e con gli Enti locali interessati, stabiliscono piani e programmi e le eventuali misure di disciplina della caccia, della pesca, delle attività estrattive e per la tutela dell'ambiente, relativi alle aree contigue alle aree protette, ove occorra intervenire per assicurare la conservazione dei valori delle aree protette stesse.

Identificare l'area contigua come una serie di obiettivi di programmazione e gestione territoriale comuni ai vari Enti, rispetto ai quali adeguare le proprie previsioni e le proprie modalità gestionali potrebbe contribuire grandemente ad integrare la politica di Parco nella politica territoriale complessiva, portando alla soluzione nel contempo una delle dicotomie di base che nel nostro particolare contesto territoriale sono presenti: quella tra la potenzialità del Parco in termini di sviluppo compatibile e la sua concreta ristrettezza territoriale. L'area contigua così concepita dovrebbe divenire il luogo vero dove sperimentare lo sviluppo sostenibile di cui il Parco è portatore, perché è ai margini del Parco, e non al suo interno, che per lo più sono presenti le dinamiche economiche e le condizioni territoriali su cui tale sviluppo deve fondarsi: ciò consentirebbe di perseguire, all'interno, una politica di conservazione dotata di maggiore coerenza.

Deve esserci dunque una rivalutazione più piena e netta degli Enti locali, ma il presupposto di questa accresciuta funzione e considerazione sta proprio nella loro capacità di uscire da ogni localismo per proiettare nella dimensione regionale e nazionale le proprie esigenze.

L'esperienza degli ultimi anni per quanto riguarda le aree protette dimostra abbastanza chiaramente che, quando gli Enti locali si sono trincerati dietro presunte competenze esclusive, in quanto unici titolari e rappresentanti delle popolazioni locali, hanno finito spesso per essere tagliati fuori o comunque per svolgere azioni di retroguardia e di mera e sterile protesta. Al contrario, quando essi hanno cercato di svolgere il loro ruolo senza vedere in ogni proposta o idea che venisse dalla Regione o dallo Stato un attentato alle loro prerogative, ma misurandosi concretamente, responsabilmente con i problemi posti dalla istituzione dei nuovi Parchi, essi hanno potuto farsi valere e contribuire a rendere più corrette e valide le scelte e le decisioni nell'interesse locale e generale. In questi casi Comuni e Province hanno saputo mettere a punto proposte, suggerire correzioni, dare sbocchi positivi alle proteste e ai malumori.

Ma la novità vera per gli Enti Parco regionali e anche nazionali sta nel fatto che per la prima volta gli Enti locali, investiti di una responsabilità diretta con la comunità del Parco, devono designare una rappresentanza locale "collegiale". I designati non devono infatti avere solo comprovate competenze ma rappresentare non i "singoli" Enti bensì appunto la "comunità".

Questo permette diciamo così una lettura "incrociata" del Piano del Parco, che potrà essere confrontato con le esigenze dei piani regolatori, del piano territoriale di coordinamento delle Province, dei piani di bacino e così via.

Da questo punto di vista il Parco, quale organo "specializzato" di intervento e gestione di un territorio, può davvero assumere i caratteri di un "servizio" degli Enti locali oltre che delle Regioni e dello Stato.

L'Ente Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, in appena quattro anni di attività è già riuscito a realizzare, nei dodici Comuni che fanno parte dell'Area Protetta, ben 31 miliardi di investimenti. A questi si aggiungeranno presto altri 11 miliardi di lavori che saranno eseguiti grazie ai finanziamenti derivanti dalla delibera del CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) del luglio 1996 e dal 2 Programma Triennale per le Aree Protette del Ministero dell'Ambiente. Sono già stati realizzati, o sono in corso di realizzazione, quasi l'80% degli interventi progettati.

Tutto ciò è stato possibile, nonostante le carenze di personale, grazie, soprattutto, alla fattiva collaborazione che è stata instaurata tra il Parco, le Regioni e gli Enti locali interessati.

Occorre anche riconoscere che il Ministero dell'Ambiente è riuscito a dotare i Parchi Nazionali di risorse finanziarie molto consistenti e ad attivare canali finanziari nuovi, come quelli del CIPE; canali finanziari che nel nostro paese finora erano serviti, più che a tutelare l'ambiente, per creare nuove infrastrutture (strade, porti, aeroporti) spesso distruttive per il territorio e la natura. Importante sottolineare che il Ministero dell'Ambiente agisce come organo di stimolo, di definizione degli ambiti operativi e di vigilanza nei confronti dell'Ente Parco.

Più recentemente l'Ente Parco ha deciso anche di aderire ai Gruppi di Azione Locali, istituiti sia nell'Appennino Romagnolo che in quello Aretino, per utilizzare le opportunità offerte dalla Comunità Europea. Il Parco ha anche richiesto ufficialmente di poter entrare a fare parte del patto Territoriale dell'Appennino Centrale, uno strumento di programmazione economica allestito tra 12 Comunità Montane e 6 Province che insistono in un territorio a cavallo tra l'Umbria, le Marche, la Toscana e l'Emilia Romagna.

Facendo tutto ciò non solo non si è trascurato il fine primario del Parco, che è e resta quello della conservazione dell'ambiente (come dimostrano le numerose iniziative di miglioramento ambientale realizzate e l'attenzione dedicata alla conoscenza ed alla divulgazione naturalistica), ma si è favorito, tra le popolazioni dei Comuni del Parco, un nuovo concetto di Parco Nazionale: un Parco non nemico dei residenti e fonte solo di vincoli, ma un Parco come agente qualificato e autorevole di conservazione e di ecosviluppo.

Se invece, si fosse agito esclusivamente attraverso l'utilizzo di politiche vincolistiche e rifiutato il dialogo con le istituzioni locali e gli attori sociali, economici e culturali nel territorio, avremmo probabilmente solo prodotto la richiesta di restringere i confini territoriali del Parco. Oggi invece alcuni Comuni propongono apertamente l'ampliamento dell'area protetta e altri, che non ne fanno ancora parte, cominciano ad interrogarsi sulla possibilità di agganciarsi ad un progetto, quello del Parco, che è di valorizzazione e di tutela e che, è innegabile, sta dando i primi frutti positivi, destinati ad accrescersi ulteriormente nel prossimo futuro.

Infatti il piano economico valorizza le scelte e i programmi degli Enti locali, in quanto favorisce un sostegno per una più efficace politica ambientale; inoltre, richiede e consente agli Enti locali, pur essendo un Parco Nazionale, di definire le proprie scelte, progetti ed interventi relativamente all'area protetta. Gli Enti locali, ed in questo caso in maniera particolare i comuni minori, possono far valere la loro volontà, in quanto all'interno della Comunità del Parco essi hanno pari dignità, e quindi concorrono su un piano di parità alle decisioni collegiali che debbono essere assunte. Quindi gli Enti locali non sono penalizzati, ma al contrario si siedono ad un tavolo intorno al quale i rappresentanti di un piccolo Comune hanno uguale titolo rispetto a rappresentanti dei livelli istituzionali superiori (Province, Regioni).