1. INTRODUZIONE

 

1.1. Gli Emididi

Delle 246 specie dell'ordine dei Cheloni, gli Emididi, con 88 specie, costituiscono la famiglia più numerosa (Iverson, 1986); è rappresentata nelle Americhe, in Europa, in Asia ed in Nord Africa e comprende la maggior parte delle specie di acqua dolce dell'emisfero boreale. Non mancano tuttavia specie semiacquatiche o prettamente terrestri, in particolare appartenenti al genere Terrapene, presente in Nord America.

Considerando la distribuzione delle famiglie dei Cheloni su base ecologica si evidenzia come l'ambiente dulcacquicolo sia stato il più colonizzato da questi animali; la preferenza per tale ambiente è considerata un adattamento secondario, sia pur precoce, delle moderne tartarughe, anche se le più antiche forme che conosciamo sono considerate di zone paludose (Pritchard, in Harless e Morlock, 1979).

E' soprattutto a partire dagli anni '50 che lo studio sulla biologia degli Emididi, e dei Cheloni in generale, ha progredito verso un approccio di tipo eco-etologico moderno, nonostante la tradizionale minore attenzione, in tale ambito, rivolta ai Rettili rispetto ad altri Vertebrati. Oltre a studi di ampio spettro, la ricerca sul campo si è orientata su aspetti particolari della eco-etologia (organizzazione dell'attività, movimenti, meccanismi di homing, riproduzione).

 

 

1.2. Organizzazione dell'attività negli Emididi

 

 

1.2.1. Ciclo annuale di attività

Il ciclo annuale di attività si svolge tra la primavera e l'autunno, con un periodo di inattività in inverno; solo per specie della fascia meridionale dell'areale è riportato un ciclo quasi ininterrotto di attività (Bury, in Harless e Morlock, 1979).

Per Chrysemys picta Ernst (1971) sostiene che la temperatura dell'acqua e il 'drive' riproduttivo sono i fattori che apparentemente controllano l'attività; gli animali sono attivi da 8-10 °C, ma non si alimentano per temperature inferiori a 20 °C; sono avvistabili prevalentemente da maggio a settembre. Sexton (1959a), per la stessa specie, registra invece comportamento alimentare sopra i 15 °C e attività fino a novembre, pur osservando che gli animali si muovono e si alimentano in modo più discontinuo nei mesi autunnali, con un arresto dell'accrescimento in agosto.

Per Pseudemys scripta Cagle (1950) indica in 10 e oltre 35 °C i limiti critici inferiore e superiore, pur constatando livelli ottimali di attività, sulla base dei trappolamenti, tra 13 e 26 °C, da marzo a ottobre.

Sempre Ernst (1982) suggerisce per Clemmys guttata una preferenza per temperature inferiori rispetto ad altre specie: l'ambito termico di attività è di 3-32 °C, nonostante una netta diminuzione nel numero di animali attivi sotto i 10 e sopra i 25 °C ed una temperatura minima di alimentazione di 14 °C. Parametri simili sono stati riscontrati in Emydoidea blandingi (Rowe e Moll, 1991).

Gibbons (1968a) osserva una non ben definita relazione tra temperatura ed attività, in Chrysemys picta, nei mesi di settembre e ottobre nei quali, pur con temperature di oltre 10 °C, l'attività è estremamente ridotta rispetto ai mesi primaverili. Simili conclusioni sono tratte per Chelydra serpentina (fam. Chelydridae): da metà settembre, pur con temperature di 15-20 °C, molti animali sono inattivi (Obbard e Brooks, 1981). Gli autori suggeriscono che altri fattori estrinseci, come il fotoperiodo e la qualità delle risorse, limiterebbero l'attività autunnale delle tartarughe palustri.

 

 

1.2.2. Attività giornaliera

L'attività giornaliera di un generico Emidide è sostanzialmente ripartita tra foraggiamento, basking, riposo e comportamento riproduttivo (Cagle, 1944).

L'importanza del basking, in termini di occorrenza giornaliera, sembra particolarmente accentuata negli Emididi; Boyer (1965) sostiene che questa è la famiglia in cui il basking è più riportato e che questa abitudine possa essere all'origine della loro notevole diffusione e del loro successo.

Ernst (1976 e 1982) descrive per Clemmys guttata un ciclo giornaliero di attività in cui si alternano alimentazione e basking senza nessun pattern evidente; l'attività è limitata alla fase diurna, gli animali fermandosi di notte sul fondo.

Cagle (1950), per Pseudemys scripta, osserva che l'alimentazione è normalmente distribuita tra la prima mattina e il tardo pomeriggio, e il basking è effettuato prevalentemente in metà mattina e metà pomeriggio; quando non sono né in basking né in alimentazione gli animali sostano in superficie o sul fondo. Moll e Legler (1971), per la stessa specie, riportano che il basking si colloca generalmente tra le h 9:00 e le h: 15:00.

Un pattern bimodale di alimentazione (con picchi la mattina e la sera) è stato appurato per Emydoidea blandingi (Rowe e Moll, 1991); gli animali sono attivi tra le h 5:30 e le h 22:30 e sono stati visti in basking anche dalle h 8:00 alle h 17:30.

L'occorrenza del basking limitatamente alla mattina (h 6:45-11:00) è riportata per Clemmys insculpta (Ernst, 1986). Lo stesso autore (1971 e 1972), per Chrysemy picta, descrive il seguente pattern di attività: basking la mattina presto fino a due ore dopo l'alba, poi foraggiamento; ripresa del basking fino alle h 14:00, infine di nuovo foraggiamento nel tardo pomeriggio, dopo una fase intermedia di inattività. La notte gli animali si fermano, sia in punti emersi che sommersi.

 

 

1.2.3. Selezione microambientale e uso dell'habitat

La presenza di una specie in un determinato habitat è la conseguenza, indiretta, di processi di scelta di una serie di fattori ambientali (Bury, in Harless e Morlock, 1979). Possiamo definire l'uso dell'habitat l'associazione di un animale con questi fattori, siano essi biotici o abiotici (Litvaitis e altri, 1994); il livello di indagine in merito è strettamente dipendente dalla scala - 'macro' o 'micro' - di caratterizzazione dell'habitat stesso.

Le conoscenze in materia sugli Emididi sono piuttosto scarse, e spesso l'argomento è stato toccato sotto il profilo puramente qualitativo. La difficoltà di seguire i movimenti degli animali con la necessaria regolarità è solo recentemente stata superata con l'applicazione, sia pur rara, del radiotracking; e comunque la diretta osservazione del comportamento degli animali resta un problema, comune a molti studi in natura, amplificato dall'ambiente acquatico in cui prevalentemente vivono gli Emididi.

 

L'evidenza di una relazione, negli ambienti acquatici, tra presenza degli animali e distribuzione della vegetazione è stata suggerita da Sexton (1958); in particolare, per Chrysemys picta, l'autore riporta una forte risposta alla vegetazione strutturata a 'T' (indipendentemente dalla specie floristica), avente cioè la massa di foglie e steli disposta orizzontalmente in superficie e i fusti che salgono verticalmente dal fondo. Questa relazione è stata testata dallo stesso autore con una serie di esperimenti su nidiacei di Chelydra serpentina, concludendo che è il supporto fisico il fattore che attrae gli animali verso tale microhabitat, pur non escludendo la concomitanza di altre motivazioni.

Sempre Sexton (1959a), per Chrysemys picta, affronta con un approccio quantitativo quanto precedentemente osservato, confrontando mappe di distribuzione degli animali avvistati in uno stagno con mappe di distribuzione della vegetazione, ed osservando che la non casuale corrispondenza (testata statisticamente) è proprio imputabile alla selezione mostrata verso quelle piante aventi la struttura a 'T', la cui dislocazione è 'seguita' dagli animali nelle variazioni stagionali.

L'autore osserva in primo luogo che tale vegetazione è presente in zone assolate e a bassa profondità - aspetti di cui già Cagle (1950) aveva valutato l'importanza negli ambienti selezionati dalle tartarughe palustri - e che, in secondo luogo, sembra favorire il comportamento alimentare di C. picta offrendo ad un tempo sostegno, rifugio e rapida possibilità di immersione e allontanamento in caso di pericolo, grazie alla sottostante zona di acqua priva di vegetazione.

Anche le funzioni termoregolatoria, di riposo e di favorevole punto di osservazione dell'ambiente circostante sono state suggerite a seguito di una serie di esperimenti di rimozione della vegetazione e analisi delle conseguenti localizzazioni di C. picta (Meseth e Sexton, 1963).

 

Forme di selezione microambientale sono state successivamente indagate per aspetti particolari dell'attività delle specie acquatiche, come la scelta dei siti di basking ottimali (Boyer, 1965; Auth, 1975), o dei siti di svernamento (Peterson, 1987; Taylor e Noll, 1989). Un'indagine più ampia sull'uso dell'habitat è stata invece perpetrata prevalentemente per specie semiacquatiche o prettamente terrestri. In particolare per Terrapene carolina (Reagan, 1974), per Clemmys guttata (Ward e altri, 1976), per Clemmys insculpta (Quinn e Tate, 1991; Kaufmann, 1992) è stata valutata l'intensità di utilizzazione dei vari microhabitat in relazione a variabili come la copertura vegetale, la disponibilità di risorse e parametri termici, evidenziando la non casualità con cui gli animali si distribuiscono spazialmente.

Sempre nel genere Clemmys, per C. muhlenbergii, specie a maggiori abitudini acquatiche, Chase e altri (1989) hanno registrato, tra le catture in acqua, una netta prevalenza per zone a profondità inferiore a 10 cm e stretta vicinanza a vegetazione.

Ross e Anderson (1990) riportano per Emydoidea blandingi una varietà di tipi di habitat acquatici utilizzati, aventi sia ampie zone di acqua libera che di vegetazione o altre strutture adatte al riparo. Per gli immaturi della stessa specie è stata invece appurata la preferenza per zone con acqua bassa e abbondante vegetazione, dove troverebbero maggiori rifugi e minore competizione, nel foraggiamento, con gli adulti.

 

In Emys orbicularis, specie studiata in questo lavoro, Lebboroni e Chelazzi (1991) riportano, per un popolazione del Parco della Maremma, una stretta relazione tra avvistabilità degli animali e presenza di vegetazione galleggiante (Myriophyllum sp.); il 94% delle rilevazioni di animali in foraggiamento o in floating (basking acquatico) è localizzata in tale microhabitat. Servan (1988), per popolazioni dell'area della Brenne (Francia), registra che raramente le E. orbicularis sono avvistate in zone con acqua libera, mentre prevalentemente si alimentano, o sostano in basking, dove è presente vegetazione acquatica; gli animali non sembrano frequentare aree di bassa profondità (inferiore a 20 cm), tranne per il basking e per gli accoppiamenti.

 

 

1.3. La specie studiata

Unico Emidide presente in Italia, la tartaruga palustre europea (Emys orbicularis, Linnaeus 1758) è inclusa nella lista delle 'specie strettamente protette' stabilita dalla convenzione di Berna del 1979 (N.C 210/35, 22.8.79).

Sotto il profilo tassonomico appartiene alla sottofamiglia degli Emidini, costituita da specie Nord-americane e, in particolare, per aspetti morfo-funzionali, al complesso Clemmys-Terrapene (Ernst e Barbour, 1972).

L'areale potenziale comprende gran parte dell'Europa, Asia occidentale e Africa nordoccidentale; nelle penisole iberica e balcanica risulta in simpatria con Mauremys caspica, unico altro Emidide presente in Europa.

La distribuzione in Italia (fig. 3) è tipica di una specie minacciata, con contrazione e discontuinità dell'areale; sebbene le segnalazioni siano basate prevalentemente su dati qualitativi, si evidenziano due regioni in cui E. orbicularis è discretamente presente: la pianura Padana e il litorale medio-tirrenico.

In confronto a tali ambienti umidi di pianura la presenza di popolazioni in aree pre-appenniniche e appenniniche, come quella di Monte Rufeno, rappresenta una peculiarità di notevole interesse. La rara presenza oltre i 500 m di quota è riportata da Lanza (1983), anche se nelle regioni meridionali può spingersi fino a 1000 m.

Numerose testimonianze, oltre che un confronto con regioni europee dove la specie non è minacciata, indicano che fino ad alcune decine di anni fa E. orbicularis popolava in Italia i più svariati ambienti d'acqua dolce: canali, paludi, stagni, pozze, fossati e persino torrenti.

La diretta predazione antropica e l'alterazione ambientale appaiono le cause più plausibili della rarefazione che hanno agito su una fragilità insita nella biologia di questi animali. Indiretta dimostrazione di ciò è l'attuale presenza di questa specie esclusivamente in aree protette o comunque scarsamente antropizzate, che indica inoltre come la tartaruga palustre rappresenti un indicatore di alta qualità ambientale.

Purtroppo le conoscenze di cui oggi disponiamo non sono assolutamente corrispondenti alla gravità della situazione in cui questa specie si trova; oltre a studi pionieristici di carattere descrittivo e generale (in particolare la monografia di Rollinat, 1934) e diversi lavori sulla fisiologia della differenziazione sessuale (Pieau, 1974; Servan et al., 1989; Girondot et Pieau, 1993, per citarne solo alcuni), gli studi di campo su aspetti della ecologia ed etologia della specie sono pochissimi (Servan 1987 e 1988; Lebboroni e Chelazzi 1991; Naulleau 1991).

 

La peculiarità sopra accennata, rappresentata da una popolazione come quella di Monte Rufeno, con spiccato insularismo e isolamento geografico, e parallelamente la possibilità di lavorare in un'area protetta sono i motivi che ci hanno spinto in questa ricerca, nell'intento di indagare gli aspetti spazio-temporali dell'attività di Emys orbicularis e di definire quegli stessi aspetti critici che rendono oltremodo 'importante' la popolazione considerata, con la speranza che quanto riportato possa divenire valida indicazione per un adeguato approccio conservazionistico.