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Parco del Conero



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  Notiziario Ufficiale del Parco del Conero
Anno XI - Numero 3/4 - Novrembre 2005

IL RACCONTO

La pietra, l'acqua e il tempo

La montagna sovrasta il mare ma in principio tutto era mare, la vita e il tempo fluivano nel suo spazio liquido. Oggi il Conero incombe sul mare con le sue ripide pareti, immagine di un verde cetaceo che emerge tra le colline, pronto a tuffarsi nell’Adriatico e completare così il suo ciclo di vita. Non è stato sempre così. Nel suo cuore di roccia è impressa una storia di 135 milioni di anni. In quel tempo lontano la pietra era in embrione: i suoi elementi allora erano conservati nei gusci e negli scheletri degli animali o nel terriccio portato dai corsi d’acqua prelevandolo in aree lontane.
I depositi accumulandosi sul fondo formavano strati sempre più spessi e compatti innalzati quindi verso il cielo da forze potenti, capaci di far nascere il monte così come lo conosciamo oggi. Sono pagine di roccia che parlano ancora di climi diversi, animali scomparsi e catastrofi improvvise. La pietra si avvolge nel tempo, assume forme nuove, sottrae spazio al mare e tutto diventa storia. La pietra è la materia, il mare - accanto all’uomo - il grande artefice delle trasformazioni del paesaggio in questo angolo di terra marchigiana. Modella scogli dalle forme fantastiche, scava anfratti modesti e piccole grotte, gioca a ridisegnare la linea di costa; poi quel continuo mescolio delle acque trasforma incessantemente pietrisco e rocce del fondale, ne arrotonda i contorni appuntiti in bianchi confetti con cui ripasce le spiagge più belle. Il mare ha i suoi tempi, le sue stagioni i suoi colori eppure in questa profonda diversità non rappresenta un mondo a sé, staccato dai ritmi della balena rocciosa ma è piuttosto parte integrante della vita del Conero: è entrato nella cultura e nell’economia delle sue genti, ne ha arricchito la storia e la natura.
Mare scrigno della vita, piatto nel suo perdersi verso l’orizzonte e così imprevedibile nelle sue profondità, nei suoi umori, nelle tonalità. Riflette il cielo, si lascia turbare dal vento che ne sconvolge i confini.
Dono grande ma talvolta sciagura per chi si affida al suo abbraccio, fonte inesauribile di sogni e di paure. Si fa minaccioso nelle burrasche, ispirazione di miti e leggende, a volte scrive storie tragiche per il vagare dell’uomo. Per secoli occhi dipinti di ansia lo hanno scrutato dai rilievi e dalle torri costiere per vigilare segnalando alla popolazione indaffarata l’avvicinarsi dei tanti predoni e razziatori.
Il mare fonte di cibo per le popolazioni costiere che hanno imparato a conoscerlo e a temerlo. Hanno costruito le loro barche, le reti, gli strumenti per la pesca che spesso nascondono in piccole grotte scavate nella roccia, chiuse da cancelli in legno vivacemente colorati. E così andare ogni volta, col fiato sospeso, alla ricerca della vita nascosta nel mondo sommerso. Il mare che non fa differenze - amici o nemici - tutti nella precarietà di gusci di legno, di correnti talvolta ostili, alla ricerca di approdi protetti con acqua di sorgente. L’uomo attratto da questo monte, ha visto in esso un punto di riferimento prezioso per il suo vagare tra i flutti: un faro pietrificato, verde e misterioso.
L’acqua che nell’immensità del mare trova l’orgoglio dell’antico dominio, sembra perdersi tra le pieghe rocciose del monte in un abbraccio che è sfida, mistero di un continuo attrarsi per poi respingersi. Presenza discreta e infaticabile nello scavare canali o indebolire strati poi destinati a franare verso il mare, ma soprattutto nel nascondersi tra il calcare per poi offrirsi nelle fresche sorgenti poste ai piedi del rilievo. L’acqua sfugge alla calura infiltrandosi nel seno della roccia, oppure nascosta all’ombra di piccoli solchi scavati nel tempo dove lo scorrere spesso si ferma in piccole pozze in attesa di altra acqua che scenda dal cielo. Diventa gioielli blu nei laghetti di Portonovo, preziose zone umide del litorale. Qui la pietra e l’acqua si incontrano profondamente con la forza e il mistero della natura che continuamente forgia, plasma, distrugge e rinnova. Acqua per assicurare la vita alle piante, da sempre costrette a confrontarsi con il difficile contesto eppure capaci di resistere con meraviglia ai lunghi periodi secchi, ai versanti scoscesi o instabili, all’aria salmastra. Aggrappate alla roccia, partecipano ad un armonico mosaico in cui ciascuna essenza trova un proprio spazio, sperimentando l’efficacia di adattamenti e soluzioni forgiate con sapiente fantasia nel processo evolutivo.
L’acqua raccoglie una fauna discreta, ma è soprattutto grande artista capace di creare atmosfere surreali e cariche di poesia. Sospesa in piccolissime gocce avvolge le valli nei freddi mesi invernali, restituendo al Conero l’originale immagine di un’isola: è la nebbia che permane bassa a velare di silenzio i tiepidi raggi del sole. Oppure si fa nuvole, spesso attratte dalla cima del monte, che si rincorrono spinte dal vento disegnando sfondi minacciosi, fantastici o romantici alla luce del tramonto. Nelle freddi notti invernali ricama merletti su ogni erba, che brillano al risveglio del giorno come gioielli effimeri di singolare bellezza. Talvolta incontra il freddo respiro dell’inverno e scende fioccando lentamente, ricoprendo tutto di soffice neve e di silenzio: il candore si spinge sino a baciare le onde e dovunque l’acqua torna ad abbracciare il cielo. Per un attimo l’acqua ritrova il suo dominio primordiale. Poi, riscaldata dai primi tepori, la pietra riaffiora e la vita riprende il suo posto. Immutabile e sempre nuova.
La natura esprime così tutta la sua bellezza e forza, vitalità e fascino da gustare con meraviglia sempre nuova. Il regno della pietra e dell’acqua in continuo mescolarsi è un grande laboratorio in cui tutto parla della fatica di sopravvivere per conservare quel manto verde dalle difficoltà ambientali e talvolta dall’invadenza dell’uomo.
Certo venuto fin quassù dai primi albori della sua storia, spinto dall’esigenza di cercare qualcosa di elevato e diverso, misterioso ed enigmatico. Allora ecco la pietra levigata dalla frequentazione, isolata tra gli alberi, scanalata per i primi sacrifici. Segni e canali incisi sulle lastre rocciose, pietre appuntite, terra impastata e dipinta, metalli addomesticati col fuoco sono i muti ricordi di culture diverse separate dal tempo eppure vicine in pochi strati di terriccio. Le nebbie avvolgono ancora di mistero quei primi passi dell’uomo, spesso solo un vagare confuso, certo l’inizio di una grande avventura alla ricerca di nuove vie per vivere la socialità, rispondere al bisogno di cibo, difendersi dalle avversità e dai nemici, scoprire nelle divinità una primitiva risposta al bisogno di trascendente e del soprannaturale. Le manifestazioni potenti della natura - il fuoco e le folgori, il tuono e la morte - spaventano e attraggono, invitano ad entrare in una dimensione di mistero e al tempo stesso incutono paure profonde da allontanare con sacrifici. È la religiosità naturale, istintiva e semplice, capace di individuare in un rilievo l’altare o comunque un percorso di avvicinamento al cielo. Sono ancora le pietre a testimoniare la fede che a partire dal Mille ha reso il Conero un vero monte mistico in cui la preghiera scandiva la vita di comunità religiose o eremiti nascosti nella boscaglia in grotte o ripari appena abbozzati: lontani dal mondo per stare vicini a Dio, finalmente liberi dalle schiavitù terrene e da tutto ciò che lega l’uomo ad idoli che periscono. Il bosco come chiostro e il cielo come icona del mistero per sentirsi uniti con stupore muto davanti alla miriade di astri da guardare, scrutare, osservare meditando - attraverso la loro bellezza - sulla potenza e l’amore di Colui che tutto ha creato. Tutto il resto è silenzio, un dilatarsi dello spirito per tendere all’eternità e all’immenso. Preghiera e lavoro, lo sguardo proteso al cammino celeste mentre il piede si inoltra nei sentieri tra il bosco sotto il peso della fatica quotidiana. Mani capaci di benedire e al tempo stesso benedette, immobili ed operose nello stesso tempo. Mani sapienti che hanno realizzato - pietra su pietra - capolavori come S. Pietro al Conero e S. Maria di Portonovo, o scolpito fiori e animali su splendidi capitelli per parlare della vita che non finisce attraverso la forza espressiva dell’immagine. La pietra raccoglie il sudore della fatica di quanti per secoli ne hanno estratto gli strati nascosti nelle viscere del monte e ritagliata in blocchi per proteggere l’uomo nelle sue case o invitarlo alla preghiera dentro tempi solenni ed austeri. Così sottratta al buio, riluce del suo candore e il tempo la arricchisce di una patina solenne
La pietra accoglie la vita: diventa anfratto, rifugio, tana, supporto, difesa. Attorno e dentro ciò che non è vita la fantasia della natura si arricchisce nella diversità di forme e colori che guizzano, nuotano, respirano, corrono, riposano, uccidono o assicurano una discendenza. La vita è scandita dal tempo che segna il momento magico della nascita, le stagioni della crescita, il ciclo della fertilità: così la vita genera altra vita e la meravigliosa storia continua.
La pietra ammantata delle tinte sempreverdi di una vegetazione tenace e frugale, abbellita dai caldi colori dei frutti, dai fiori splendenti, dagli aromi di oli, dai profumi intensi: una coperta uniforme con pochi lembi strappati dalle cave o dalle frane del versante a mare.
Qui l’uomo cerca il suo spazio da coltivare per un’agricoltura comunque generosa nel dare prodotti forgiati dal sole e dal lavoro di intere generazioni di contadini. È la buona terra che scandisce le proprie stagioni e conferisce al paesaggio un fascino discreto. Il respiro della vita indossa i colori delicati e romantici degli alberi fioriti e disegna magiche pennellate tra i coltivi mentre la campagna esplode in un’indescrivibile fantasia di piante, profumi e colori diversi.
Il seme nascosto nella terra vince sull’aridità della pietra, rinnova il trionfo della vita per far rinascere il bosco accanto ai campi e alle siepi. Mare, macchia mediterranea e campagna sono i principali ingredienti di questo territorio, tre volti di uno stesso paesaggio in cui l’uomo può riassaporare il tempo della solitudine, l’abbraccio della natura, l’armonia di ritmi profondi e misteriosi. E fermare il proprio cammino per ascoltare il respiro del mare o sognare cullato dal lamento dei gabbiani o perdersi con lo sguardo a osservare la magia del volo.
Pietra e acqua, uomo e natura: ciascuno potente eppure incapace di staccarsi completamente dall’altro anzi profondamente legato da quel mistero chiamato vita.
Tutto trova al Conero una sua unione, una precisa collocazione nella creazione e nella storia, un’armonia segreta che in qualche modo si percepisce. C’è una bellezza struggente nei suoi tramonti, un richiamo misterioso nei suoi sentieri, ovunque un’armonia che sorprende La pietra e l’acqua hanno qui tutto il loro fascino, la loro storia, la loro potenza espressiva. Attimi e storie vissute insieme dall’uomo e dalla natura, spesso confondendo le trame in un unico abbraccio. L’attimo fugace che crea nuova ogni onda e ogni nube nel cielo, accanto al pensiero e al desiderio dell’uomo
Si addensano per diventare memoria come pietre a testimoniare storie sempre più grandi. Così il nostro vagare, passo dopo passo trova nuova luce e stimoli profondi per guardare con occhi diversi gli spazi misteriosi dell’eternità. Accanto a questo lento trascorrere di tempi lunghi quanto difficili da cogliere nella loro essenza per l’uomo, altri su scala minore hanno continuato a rincorrersi
Sono i tempi della vita segnati dalla quotidianità, dagli incontri, dalle emozioni, dai ricordi; ristretti a pochi attimi capaci di dilatarsi verso l’infinito oppure lenti quasi immobili perché così li percepiamo nel cuore. Ogni giorno identico nel suo ciclo ma sempre diverso con le sue storie, sorprese, fatiche, attese, incontri: mistero scandito dal battito di un cuore, dal ritmo del respiro o dal fugace correre di un pensiero. Così la nostra storia è immersa nella vita, come la pietra nell’acqua. Il motore della vita è il sole che nasce dall’acqua - preannunciato dai primi chiarori all’orizzonte - sale a dispensare luce e calore e poi corre a nascondersi oltre il profilo lontano degli Appennini, in un tripudio di caldi colori che infiammano il cielo prima dell’abbraccio della notte.
È questo il momento del riposo anche per l’uomo.
In attesa che la luce ritorni ad unire ciò che sarà da quel che è già passato.

Gilberto Stacchiotti