Federparchi
Federazione Italiana Parchi e Riserve Naturali


PARCHI
Rivista della Federazione Italiana Parchi e delle Riserve Naturali
NUMERO 49 - OTTOBRE 2006




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Intervista

FABIO MELILLI
Presidente dell'UPI

Laureato in Giurisprudenza alla Sapienza di Roma, Fabio Melilli è Presidente dell'Unione delle Province Italiane dal 2004. Classe 1958, è nato a Poggio Moiano, in provincia di Rieti. Segretario comunale, in alcuni comuni della provincia, nei primi anni 90 è approdato nella società telematica dell'Anci (Associazione Nazionale dei Comuni italiani), con il compito di diffondere l'innovazione amministrativa e tecnologica e fornire consulenze agli enti locali. Chiamato dall'Anci a guidare il Dipartimento nazionale della finanza locale, ha contribuito alla costruzione del nuovo sistema finanziario di Comuni e Province.
Nel 1996, l'incarico da Direttore generale dell'Anci, poi quello politico di Vice Presidente dell'Associazione.
Nel 2004, infine, l'elezione alla Presidenza della Provincia di Rieti (dopo due mandati consecutivi da Sindaco del suo Comune a partire dal 1995) e, nello stesso anno, quella da parte dell'Assemblea generale dell'UPI (Unione Province Italiane) alla guida di Piazza Cardarelli.
Dal suo osservatorio privilegiato gli abbiamo chiesto di fare il punto sull'impegno delle Province italiane nella difesa delle biodiversità e nella costruzione del sistema nazionale delle aree protette.
Ecco le sue risposte.

Negli ultimi anni, sempre più, le Province italiane sono coinvolte nella gestione della biodiversità che passa attraverso le aree protette. Quale ruolo possono svolgere?
Io amo definire le Province come le istituzioni al servizio dei territori. Per questo, una delle funzioni cruciali che sono state loro assegnate è la salvaguardia e la tutela dell'ambiente. Difesa del suolo, lotta al dissesto idrogeologico, ma anche promozione delle nuove energie pulite e del riciclo dei rifiuti sono alcune delle azioni che vanno in questa direzione e su cui le Province si stanno spendendo da anni. Lo dimostra il fatto che, in un sondaggio che abbiamo svolto qualche tempo fa sul ruolo delle Province, i cittadini hanno indicato in larga maggioranza la difesa dell'ambiente come una delle competenze più riconoscibili.

Alcune Province sono state "chiamate" a una attenzione nei confronti delle aree protette dalle Regioni, che hanno loro trasferito le competenze in materia.
Altre, come la Provincia di Torino -che ha istituito un parco provinciale sin dal 1995 e ha poi proposto alla Regione Piemonte un proprio Piano delle aree protette- si sono mosse autonomamente, per loro iniziativa.
Quale pensa sia il ruolo che le Province italiane debbono giocare su questo fronte?

Io credo che le Province, quali attori dei processi di area vasta, dovranno assumere sempre più un ruolo di governo e di coordinamento delle iniziative, anche su questo fronte. Il tema delle differenze tra le materie delegate dalle Regioni tra territorio e territorio è uno dei grandi problemi di tipo istituzionale che impedisce al Paese di crescere complessivamente, sotto ogni profilo. Oggi noi abbiamo bisogno di ridisegnare un assetto che consenta a tutti i cittadini di ricevere gli stessi servizi, a prescindere dal loro luogo di residenza. Come Province ci stiamo impegnando in questo senso, per ottenere uguali funzioni, così da avere un disegno globale armonico ed efficiente.

Al recente Congresso di Federparchi, le Province hanno dimostrato una attenzione e, soprattutto, molte idee su una gestione del territorio attenta alla biodiversità. Come pensa che l'Upi possa incoraggiare una simile attitudine?
Stiamo cercando di farlo, promuovendo accordi con le associazioni che di questo si occupano. Ne sono un esempio i protocolli siglati con le maggiori associazioni ambientaliste, quelli sottoscritti con le associazioni che si occupano di riciclo dei rifiuti, lo stesso accordo siglato con Federparchi per il progetto Ape. Sono tutti strumenti attraverso cui forniamo alle Province strumenti operativi per incentivare la cooperazione sul territorio tra i diversi protagonisti in campo. Quello che vogliamo è riportare nelle nostre amministrazioni queste scelte, anche promuovendo gli acquisti verdi e le pratiche eco-compatibili all'interno degli uffici pubblici, a partire da quelli delle Province.

E' possibile secondo Lei riconquistare un ruolo per le Province nella politica nazionale e di sistema dopo che, con la legge quadro nazionale 394, sono state emarginate a causa della indeterminatezza -in quel momento- della loro funzione nell'ordinamento istituzionale?
Allora le Province vissero un momento difficile in cui fu messo in discussione il loro ruolo nell'articolazione dello Stato -schiacciate tra Regioni e Comuni- che, senza dubbio, le penalizzò.

Com'è possibile riconquistare un ruolo attivo in questo settore?
Non porrei il problema in questi termini. La 394 è una legge che ha scelto una filosofia regionalista, perché il legislatore ha ritenuto che quello fosse il livello più adatto per gestire le politiche cui si riferisce. Almeno dopo le modifiche al titolo V della Costituzione avvenute alla fine degli anni '90, le funzioni delle Province, anche sui temi della tutela dell'ambiente, sono molto chiare.

Gran parte delle Province sono territorialmente coinvolte sia nell'ambito della Convenzione delle Alpi, sia nel progetto Appennino Parco d'Europa. Possono giocare un ruolo da protagoniste come soggetto di coordinamento tra gli enti locali, aiutando i Comuni e le Comunità locali ad assumere atteggiamenti concertati e non sfilacciati?
E' certamente questo l'obiettivo, come accennavo prima. Siamo convinti che proprio da politiche concertate, coordinate, armoniche, sia possibile ottenere un duplice risultato: quello di produrre azioni positive, fornendo risposte efficaci e complete ai territori, e quello di ridurre lo spreco di risorse, che invece è inevitabile quando si sovrappongono strutture e si creano doppioni.

La loro equidistanza tra le pressioni, a volte troppo interessate e impregnate di localismo dei Comuni, e quelle a volte distaccate delle Regioni, non potrebbe aiutare a una valutazione più equilibrata tra le tensioni che nascono tra un non ancora sufficientemente maturo concetto di sviluppo durevole e l'esigenza di gran parte dei territori marginali -in cui le aree protette per lo più insistono- di trovare nuove forme di economia per garantire loro la sopravvivenza?
Me lo auguro davvero, anche perché lo sviluppo sostenibile è un obiettivo ormai inderogabile per i territori. Ambiente e turismo, tanto per parlare della prima industria italiana, rappresentano un binomio inscindibile, capace di offrire, se riusciremo a declinare bene questo paradigma, opportunità incredibili per le comunità, specialmente per quelle ricadenti nelle aree protette.

La più volte auspicata "leale collaborazione" tra le istituzioni per trovare una strada percorribile verso un futuro sostenibile, può trovare nelle Province un punto di forza, uno snodo, oppure occorre ancora lavorare per sensibilizzare gli amministratori provinciali su questa inderogabile necessità?
Il lavoro di sensibilizzazione e di promozione non dovrebbe comunque mai ritenersi definitivo, anche se io sono convinto che su questi temi le Province hanno ormai acquistato una grande maturità di convinzione. Ce ne accorgiamo quotidianamente, nei nostri lavori all'Upi: le sollecitazioni sull'ambiente ormai sono sempre presenti, sia che si parli di legge finanziaria, sia che si parli di riforma delle funzioni delle Province, i nostri amministratori sentono con forza questo ruolo.

L'Upi può essere un riferimento per le iniziative di sensibilizzazione degli amministratori provinciali affinché si consolidi una consapevolezza e una presa di coscienza allargata sulla necessità che le politiche ambientali, opportunamente territorializzate, possano rappresentare una innovativa concezione per costruire ipotesi di futuro durevole?
Certo che sì: è una delle nostre missioni, quello di mettere in rete anche le esperienze e le buone pratiche locali. Su questo siamo sempre pronti a nuove iniziative, anche perché è in questo modo che si riesce a promuovere quella politica armonica ed efficiente di cui parlavo prima.

La politica delle Province ha teso, recentemente, ad affermare la qualità culturale e ambientale della dimensione "provinciale", con l'intento di trasformare un aggettivo, generalmente declinato come negatività, in opportunità positiva. Le aree protette possono essere una articolazione di questo impegno. Come si intende incentivare questa tendenza?
L'ambiente, come dicevo, è uno dei punti di forza del nostro essere istituzione. Lei ha ragione quando dice che vogliamo restituire un valore positivo al termine "provinciale". Perché provinciale è la storia di questo Paese, provinciale è la struttura organizzativa di tutto il sistema, da quello istituzionale a quello economico-imprenditoriale a quello sociale. Intorno ai valori provinciali si concentrano le comunità e certo le aree protette sono anch'esse una delle dimensioni di questo provincialismo tutto positivo. Per questo vogliamo continuare sulla strada della cooperazione con tutti gli enti e le strutture del territorio, per promuovere insieme, il paesaggio, la cultura, la storia, le tradizioni dei popoli. E' chiaro che tutte le iniziative svolte insieme alle aree protette non fanno che conferire nuova forza a questo assunto.

Un'ultima domanda: il Presidente dell'Upi ha un sogno sul futuro del nostro paese?
Sogni, molti. Se vogliamo restare su uno assolutamente praticabile nell'immediato futuro, credo che il nostro Paese abbia bisogno di vedere riorganizzato il proprio assetto istituzionale. Immagino una pubblica amministrazione più efficiente, moderna, lontana dalle lentezze legate alla troppa burocrazia, cui i cittadini e le imprese si possano rivolgere con la fiducia di ottenere risposte in tempi ottimali. E' un'opera di cui abbiamo bisogno, specialmente oggi, per fare ripartire la crescita e l'economia.