4° Elenco ufficiale
Sempre di più, sempre di meno


Logo ministero AmbienteNon si arresta la progressione quantitativa delle aree protette italiane. Nello scorso settembre è stato infatti pubblicato il quarto aggiornamento dell’Elenco Ufficiale (G.U. n.214), approvato dalla Conferenza Stato-Regioni a luglio. Consultabile anche on line sul sito www.minambiente.it o scaricabile in formato .pdf, il nuovo elenco porta infatti a 751 le aree protette iscritte (erano 669). Ma la vera notizia è poi un’altra e cioè che la superficie protetta complessiva è diminuita. Si passa infatti dai 2.752.952 ettari del precedente aggiornamento ai 2.714.237 attuali. Una differenza di quarantamila ettari, più o meno un parco delle Madonie in meno (ma è solo un paragone, la bella area siciliana è rimasta al suo posto). Vediamo com’è potuto accadere.
Intanto vanno ricordati i criteri cui devono rispondere le aree protette per l’inclusione nell’Elenco, stabiliti con delibera del lontano ’93 dall’allora Comitato nazionale per le aree protette. Sono: esistenza di provvedimento istitutivo, di perimetrazione, di valori naturalistici; divieto di caccia; gestione effettiva e finanziaria (con un bilancio, quindi) dell’area.
E ricordiamo pure in sintesi i numeri dei precedenti aggiornamenti. Le aree iscritte sono 445 nel primo Elenco (1993), 472 nel primo aggiornamento (1995), 508 nel secondo aggiornamento (1996), 669 nel terzo aggiornamento (2000) e appunto 751 adesso (2002). La percentuale di territorio nazionale interessata è ora pari al 9%. All’Italia protetta, sempre secondo i dati dell’Elenco, Stato e Regioni contribuiscono rispettivamente con il 49% e il 51% riguardo alle superfici. Riguardo al mare, aggiornamento per aggiornamento, le cifre sono invece: 8 riserve e 93.333 ettari (1993 e pure 1995), 7 riserve e 88.393 ettari (1996), 15 e 166.088 ettari (2000), 16 e 171.316 ettari (2002).
Quali le novità del nuovo aggiornamento ? Intanto le tipologie considerate. Quella relativa alle “Riserve marine statali” si è sdoppiata e ora si chiama (operando una distinzione che probabilmente si rifà ai rispettivi provvedimenti istitutivi, dicendola però lunga sulla confusione che c’è in materia di classificazione) “Aree naturali marine protette e riserve naturali marine”. Dopo le riserve naturali statali c’è un altro sdoppiamento, relativo alla vecchia categoria “Altre aree naturali protette”. Viene così inserita la tipologia “Altre aree naturali protette nazionali”, creata ad hoc per l’altrimenti inclassificabile Santuario dei cetacei che entra così nell’Elenco, come “Area naturale marina di interesse internazionale”. Si noti l’assenza dell’aggettivo “protetta”, che non appare casuale. Come noto, infatti, le restrizioni finora vigenti nelle acque del Santuario sono assai blande: non prevedendo per esempio il divieto di navigazione per le imbarcazioni a motore – visto l’affollamento in quelle acque di rotte commerciali, passeggeri, militari, etc. – divieto invece indispensabile secondo la 394/91 per l’istituzione di un’”Area protetta marina”. Poi ci sono le “Altre aree naturali protette regionali”, cioè il contenitore dell’italica fantasia dalle Alpi alla Sicilia: e via coi parchi territoriali attrezzati (Abruzzo), i parchi suburbani (Lazio), le aree fluviali (Piemonte), i biotopi (Prov. Trento), i parchi comunali (Puglia), le Anpil toscane, i Plis lombardi, lo Stina umbro (vedi la rubrica del nostro Giornale “C’è parco e parco”).
Ma a cosa è dovuto insomma il restringimento dell’Italia protetta ? I fatti riguardano Sardegna e Lombardia. Nel primo caso è rimasto stavolta fuori dall’Elenco nientemeno che il parco nazionale del Gennargentu e Golfo di Orosei. Settantaquattromila ettari di paradiso naturale che, in barba ad ogni Dpr, rappresentano ancora il grande buco nero dell’Italia dei parchi. Il primo a riprendersi dalla sorpresa è stato l’assessore regionale all’Ambiente Emilio Pani. “Un parco perché sia ritenuto tale non deve essere solo perimetrato e oggetto di una legge specifica”, si è affrettato a dichiarare Pani al quotidiano L’Unione Sarda. “Deve essere soprattutto voluto, accolto e in attività. Tutti questi requisiti il Gennargentu non li aveva. Perciò il parco non aveva nessuna ragione di esistere”. Naturalmente l’assessore sardo veniva smentito pochi giorni dopo (un Dpr non si cancella dall’oggi al domani con una deliberazione), con una nota della segreteria della Conferenza Stato-Regioni cui spetta l’approvazione dell’Elenco predisposto dal ministero dell’Ambiente: “si è trattato di una involontaria omissione”, in cui oltretutto sono pure incappati – viene chiarito – il parco del Molentargius e quello geominerario, storico e ambientale della Sardegna. L’esistenza del parco e delle misure di salvaguardia previste dal Dpr del ’98, d’altro canto, erano già state ribadite ai primi di ottobre in Parlamento. In risposta a un’interrogazione parlamentare del senatore verde Sauro Turroni, il ministro Matteoli aveva infatti confermato lo statu quo. Aggiungendo inoltre che “è intenzione di questa Amministrazione avviare il procedimento di adozione di un nuovo decreto del Presidente della Repubblica, al fine di superare l’impasse e di attivare la procedura di riperimetrazione del Parco, da effettuarsi d’intesa con la Regione ed i singoli Comuni”.
Seconda questione, ancora più ingarbugliata, è quella dei parchi lombardi. Che da questo nuovo Elenco Ufficiale sono proprio spariti, nulla, non esistono più. Undici importantissime aree protette, dal Ticino al Mincio, all’Adda (Sud - Nord, all’Adamello, che nella precedente versione dell’Elenco portavano in dote più di sessantamila ettari. La scomparsa è solo l’ultimo atto di un aspro confronto a suon di carte bollate – ben noto agli addetti ai lavori, che qui evitiamo di ripercorrere - tra lo Stato e la Regione che tra le prime si dotò, ben prima dell’approvazione della legge quadro 394/91, di una normativa sulle aree protette e di un sistema di parchi avviato fin dal 1974. E’ soprattutto la caccia a dividere il modello lombardo di parco (ma non solo quello) da quello disegnato dalla 394. Così da sempre nell’Elenco Ufficiale il ministero fa rientrare solo i settori dei parchi dove è in vigore il divieto di attività venatoria. E quindi, per fare un esempio, il Ticino vi figurava esteso per 24 mila ettari quando l’estensione complessiva del primo parco regionale italiano è di 90 mila ettari.
Ma con la legge n.11 del 28 febbraio 2000 la Regione ha cambiato le carte in tavola, rinominando le sue principali aree protette da parchi naturali in parchi regionali. Così tirandole fuori dalla 394. Quanto ai provvedimenti successivi per l’individuazione dei settori a maggiore valenza ambientale - interni ai parchi regionali – da perimetrare a “parco naturale”, come previsto dalla l.r.11/2000, tra le proteste degli ambientalisti non se n’è visto ancora uno. Al ministero dunque non è restato altro che prendere atto della piroetta normativa della giunta Formigoni ed escludere i suoi “parchi regionali” dalla lista nazionale. E i finanziamenti statali ? Vista l’assenza dall’elenco, Ticino e compagni non potranno per ora beneficiarne di nuovi. Ma l’assessore Nicoli Cristiani può non dolersene più di tanto, vista la cospicua dotazione degli accordi di programma (assai più benevola che negli altri accordi con le Regioni: si veda l’inchiesta pubblicata su Parchi, n.36) firmati in precedenza col ministero dell’Ambiente.
Almeno una citazione, infine, per le nuove aree inserite nell’Elenco. Sono soprattutto riserve regionali siciliane, ben 62, e altre aree tra cui naturalmente il parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano, la riserva marina delle Secche di Tor Paterno, il parco fluviale (di nuovo siciliano) dell’Alcantara.

Giulio Ielardi




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