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Segnalazioni

Parchi da difendere, anche in Piemonte

Condividere la gestione delle aree protette non può significare affidarle completamente nelle mani degli Enti locali. La Regione deve riprendere un ruolo di primaria responsabilità nella tutela della biodiversità piemontese.
(18 Set 17)

Ho avuto l'occasione, sia pure per un arco di tempo sfuggente, di occuparmi, come Presidente, del Parco Regionale del Po - Collina Torinese.

Con la soddisfazione di aver contributo, nella sessione finale di Lima (l'ultimo miglio), a farlo diventare Riserva della Biosfera Unesco, Programma MAB (Man and Biosphere).

Una soddisfazione enorme visto che tanti, veramente tanti anni fa, il progetto MAB sostenuto in Italia dal "mio" Presidente di Pro Natura Italica, mi aveva profondamente affascinato.

E ho avuto il privilegio di portarlo a Torino, primo Urban MAB, là dove il professor Valerio Giacomini sognò potesse esserci Roma.

Sulla straordinaria storia del progetto MAB Unesco, avendo avuto l'occasione di incrociare sia Valerio Giacomini (di cui sono conservatore di parte dell'Archivio che comprende proprio l'iniziale esperienza sul MAB), sia Francesco di Castri (già responsabile internazionale dello stesso Progetto) mi appresto a scrivere un breve saggio, con l'auspicio di far comprendere a chi ancor oggi ne ignora l'importanza cosa possa significare.

A queste soddisfazioni fanno da contraltare altrettante amarezze.

Ne traggo alcune riflessioni che desidero condividere.

«Non ci può essere un parco senza una condivisione forte del territorio di riferimento in una logica non solo di protezione e tutela ambientale ma anche di valorizzazione e sviluppo. (...) non ci può essere un parco imposto dall'alto, ma ci vuole la condivisione con il territorio».

Parole sacrosante che l'assessore regionale ai Parchi Alberto Valmaggia ha più volte declamato.

Parole del tutto condivisibili da chi dagli anni Settanta sostiene con forza la stessa tesi, affermata allora, unicamente dalla Pro Natura e dal suo Presidente Valerio Giacomini.

Senza dimenticare, tuttavia, che ci sono preziosità ambientali, scrigni di biodiversità che vanno sì gestite in comunione, ma nella determinazione che la loro tutela va oltre gli interessi locali, perché garantisce futuro a beni comuni indisponibili, patrimonio dell'intera umanità.

La storia insegna che se si fosse attesa la condivisione del territorio, almeno in Italia, non avremmo mai intrapreso una politica dei parchi e delle aree protette.

La demagogia populista che percorre questa nostra epoca, incapace di idee e di slanci progettuali che sappiano andare oltre i tempi di una tornata elettorale - o peggio ancora di un sondaggio settimanale sugli umori elettorali - , rischia di non saper produrre politiche capaci di garantire un futuro alle generazioni che verranno.

Purtroppo non solo in campo ambientale...

Anche l'ipotesi, percorsa a livello nazionale come regionale e ispirata dalla più influente associazione ambientalista, di affidare totalmente la gestione delle aree protette agli Enti locali non può dunque essere supinamente accettata.

Condivisione di progetto e di gestione sì, delega totale no.

La legge regionale piemontese, nel suo articolato, prevede un Consiglio del parco affidandone la composizione alle scelte della Comunità del Parco (composta dai Comuni che ne fanno parte) che esprime altresì il suo parere sulla nomina del Presidente che, attraverso bando pubblico, propone la sua candidatura.

Se non è gradito -la mia esperienza insegna- e senza che abbia compiuto atti contrari al suo istituto, viene commissariato dalla Regione che, di fatto, lo solleva dall'incarico.

Capito?

Nella gestione delle "sue" aree protette, la Regione non conta nulla e il Presidente, che pure nomina, deve prendere atto e adeguarsi alle volontà di chi rappresenta (?) gli enti locali.

Pongo l'interrogativo tra parentesi perchè - nel mio caso- gli enti locali che fanno parte del Parco non si sono mai espressi.

Nè la Regione ha chiesto loro di farlo, con evidente lettura superficiale della legge e delle procedure che si sarebbero dovute seguire.

Semmai, ed è a verbale, alcune Amministrazioni locali, in sede di riunione della Comunità del Parco hanno stato chiesto ai Consiglieri, loro rappresentanti, in base a quale mandato hanno assunto le loro decisioni di sfiducia nei confronti della Presidenza.

Ma la legge regionale non salvaguarda neppure la libertà delle associazioni ambientaliste e degli agricoltori di nominare direttamente i propri rappresentanti, che vanno sottoposti al vaglio degli amministratori locali.

Inutile constatare che il risultato di queste scelte è che la gestione dei parchi è consegnata, in toto, nelle mani degli interessi e della partitocrazia locale.

Spesso piccoli cacicchi (salvo, per fortuna, rari casi illuminati), quasi mai interessati da strategie generali e globali di difesa degli interessi collettivi, meno che mai sulle questioni ambientali, ma solo alla gestione dei propri meschini tornaconti e clientele locali, alla fine gestiscono un patrimonio di biodiversità che appartiene all'intera comunità.

Anche sui Sindaci, negli ultimi tempi, è emersa una retorica davvero oltre le righe, che li pone tutti sull'alto di una ipotetica classifica che, invece, dovrebbe segnare, sempre più, bassi punteggi.

Peraltro in totale assonanza con la qualità della classe politica e amministrativa che oggi pretende di governare -ai vari livelli- il Paese.

Mi rendo conto che si tratta di considerazioni pesanti.

Ma è sufficiente leggere le cronache recenti per comprendere come le cosiddette Aurorità locali, difficilmente siano in grado di sottrarsi alle spesso pesanti pressioni locali.

Gli abusivismi non visti, sono solo la punta dell'iceberg.

Purtroppo, nella maggioranza dei casi, le amministrazioni locali risultano tolleranti al di là di ogni limite e chiudono non solo un occhio, ma entrambi.

Così è se vi pare. Con buona pace di chi afferma il contrario.

E il naufragio del nostro Paese è lì a dimostrarlo.

Ischia docet. Forse proprio a partire dal Sindaco.

Se non si obbedisce ai diktat di costoro, si va a casa, a tutti i livelli.

Nel caso del governo dei parchi regionali, la Regione, come abbiamo visto e si è verificato, non ha alcun strumento per affermare le sue prerogative e, con loro, il superiore interesse regionale.

Una totale deresponsabilizzazione dell'Ente Regione.

Perché continuare a chiamarli parchi regionali se, di fatto, la Regione li abbandona totalmente alla gestione locale rinunciando a qualsiasi ruolo?

D'altra parte da tempo la Regione Piemonte è attenta, nelle politiche dei parchi, unicamente ai temi della biodiversità legati alle Direttive europee - in caso contrario piovono le sanzioni e si fanno carte false per evitarle! - rinunciando a qualsiasi coordinamento con le politiche di gestione territoriale. Eppure i parchi nacquero e dovrebbero continuare ad essere parte integrante della pianificazione territoriale di area vasta.

Un lontano e vago ricordo.

Questa fu la concezione dei parchi regionali che pose il Piemonte come riferimento nazionale.

Poi un progressivo degrado e l'incapacità di dare ossigeno a qualsiasi politica.

Solo una triste, burocratica e pedissequa osservanza di regole nazionali ed europee senza la capacità di uno sforzo non diciamo di visione, ma neppure di progetto.

E quando un'area protetta raggiunge risultati importanti - come il riconoscimento di essere inserita nelle riserve della biosfera MAB Unesco (Monviso, Ticino Collina Po) - è vissuta più come un fastidio che come un successo di cui essere fieri e orgogliosi. Semmai da affermare come primazia.

Invece sembra si sia richiesta addirittura la cancellazione di ogni riferimento dalla carta intestata dell'Ente!

Miopia? Schizofrenia? Visto che, invece, si accoglie con positività il riconoscimento Unesco nel Piano Paesaggistico Regionale?

Questa è oggi la fotografia, sconsolante, della gestione dei parchi del Piemonte.

In cui si colloca la mia avventura personale per la quale mi è stato detto che ci sarebbero anche gli estremi per un ricorso al TAR.

Ma spero siano sufficienti i contributi scritti che ho consegnato nelle sedi opportune, per evitare che ci siano repliche alla mia sconsiderata avventura.

Se il precedente dovesse valere, ogni Parco regionale potrebbe sostituire una ipotetica indesiderata Presidenza, semplicemente omettendo di prendere in considerazione la discussione (non parlo dell'approvazione) del bilancio.

Nel mio caso è accaduto, nonostante l'approvazione dello stesso da parte della Comunità del Parco. Vi sembra una situazione normale?

Eppure la Regione Piemonte ha così predisposto.

Non ho obiettato e non obietto, ma faccio fatica a considerare che siano state rispettate le regole della norma e della legge. Che nel caso che ho vissuto ritengo non siano state affatto salvaguardate.

D'altra parte si profila un analogo scenario - sempre condiviso dalla sopra richiamata più ascoltata associazione ambientalista - non fa che ricalcare ciò che sta accadendo a livello nazionale con le forzate modifiche della legge quadro nazionale sui parchi e le aree protette attraverso la quale, parimenti, si vogliono consegnare totalmente alla gestione territoriale di riferimento, aumentando il potere di condizionamento dei centri di potere politico locale.

Le principali associazioni ambientaliste e il mondo intellettuale e scientifico alzano la voce. Legambiente e Federparchi plaudono in sintonia con un Ministero dell'Ambiente inesistente e sterile che nella legge quadro affida compiti all'ISPRA mentre, secondo alcune voci, si preparerebbe a liquidarla.

Quello che emerge dall'insieme di queste notizie è che le aree protette vanno protette dalla partitocrazia consociativa di questo Paese.

Sempre più alla deriva, strangolato da lobbyes, comitati di affari, familismi amorali...

Valter Giuliano

Coordinamento Piemonte - Valle d'Aosta, Gruppo di San Rossore

Area Protetta: Diverse  |  Fonte: Gruppo San Rossore
 
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