Quale 2003 attende le aree protette?


Che anno si apre per le aree protette italiane? Premesso che ogni anno è “decisivo”, che tutti sono “importanti” e che di ciascuno si usa dire che sarà “impegnativo”, vediamo di gettare un’occhiata alle scadenze che ci propone concretamente il 2003 e alle conseguenze che esse potranno avere.

Cominciamo con il rilevare che nel corso dell’anno si completerà finalmente il grande progetto, avviato con la legge quadro del ’91, di istituzione di nuovi parchi. Mentre si sta definendo, seppur con l’ormai genetica confusione, il complesso delle aree marine, le recentissime decisioni assunte dalla Puglia e dalla Basilicata rispettivamente per le perimetrazioni del Parco nazionale dell’Alta Murgia e del Parco nazionale della Val d’Agri, consentiranno di creare i relativi Enti di gestione i quali, insieme a quelli - appena istituiti nel 2002 - dell’Appennino Tosco-Emiliano e della Sila, porteranno il numero dei parchi nazionali a ventitré. (Certo, manca ancora all’appello il Gennargentu, ma la situazione che lo riguarda è talmente stagnante e nebbiosa che l’attesa sembra doversi protrarre ancora molto a lungo).
E’ prevedibile poi che la Campania porti a compimento l’avvio dei sei parchi regionali programmati e che la Puglia giunga al termine, almeno per qualche proprio parco regionale, di un lentissimo iter istitutivo. Si può dunque dire che, per quanto riguarda le quantità, salvo qualche sporadica e comunque sempre auspicabile aggiunta del futuro, potremo ragionare, nel 2003, su di una situazione acquisita, ormai fuori dal clima tumultuoso di questi ultimi dieci anni, caratterizzati dalle tensioni che ogni nuova “partenza” inevitabilmente comporta. L’Italia avrà ormai a regime tutti i necessari strumenti speciali di gestione di una porzione immensa di territorio, ben oltre il 10%, e non avrà più alibi: dovrà infine decidere cosa farne.

E a una decisione si giungerà, se è vero che il 2003 sarà l’anno della riscrittura della legge quadro nazionale. Il Governo, attraverso la delega del Parlamento, se ne è assunta la responsabilità, anche se ancora non ha annunciato, nemmeno in occasione della Conferenza nazionale di Torino, su quali punti intende focalizzare una eventuale consistente riforma della 394. Sul tavolo, per ora, oltre ad un irricevibile progetto di legge di alcuni parlamentari, rimangono le sole proposte di aggiornamento avanzate dalla Federparchi, attraverso gli “undici punti” presentati proprio a Torino. Punti che, se hanno suscitato l’interesse di molti e del Governo stesso, non hanno ancora avuto una risposta di merito, così da indurre il presidente Fusilli, nel corso dell’Assemblea di dicembre, a porre tra le priorità dell’azione dell’associazione proprio la sollecitazione all’esecutivo sul merito delle rivendicazioni in essi contenuti.

Tra le stesse priorità Fusilli ha anche indicato il rilancio delle politiche “di sistema”. Proprio in considerazione dell’arrivo a regime della totalità dei parchi previsti e della imminente revisione della normativa generale, i grandi programmi per le Alpi, gli Appennini, le Coste e il Bacino del Po divengono la cartina di tornasole della volontà di rivolgere verso fondamentali politiche nazionali il grande potenziale delle aree protette. In questo senso, dopo gli scarsi progressi compiuti nel 2002, l’anno appena iniziato sarà davvero cruciale. Altri dodici mesi di inerzia, di assenza di iniziativa su queste materie da parte dello Stato e delle Regioni potrebbero rappresentare un colpo pesante alla praticabilità futura di un disegno che conserva intatti tutti i tratti di modernità e lungimiranza che sono stati più volte sottolineati.

Infine, tra le grandi scadenze del 2003, va annoverato il Congresso mondiale di Durban. Si tratta di un appuntamento dal quale è lecito attendersi oltre che ricadute immediate, dovute alla sperabile attenzione che i governi del mondo e l’opinione pubblica più vasta vorranno riservare ad una assemblea di dimensione planetaria, conseguenze a più lunga scadenza e di persistente durata. La concezione dei parchi quali strumenti/laboratorio - e non solo come isole di preservazione di una naturalità minacciata - si va ormai affermando anche nei maggiori consessi internazionali. I contenuti del dibattito si spostano quindi, dal ristretto ambito riguardante le modalità operative di gestione degli spazi tutelati, all’assai più significativo tema del contributo che da quelle modalità, combinate con le necessità di sviluppo, può venire alla salvezza del pianeta. Un tema sul quale l’Italia, grazie ai propri parchi, può cominciare a dire la sua.

l.b.




Commenta l'articolo
Il Giornale dei ParchiTorna alla prima pagina
del Giornale dei Parchi