La chiesa, come rivelano le colonne della sua cripta, è una delle pievi più antiche della diocesi bolognese. Dopo un primitivo romitaggio, furono i Canonici Regolari di San Frediano di Lucca, a metà del secolo XII, a porre mano alla ricostruzione del complesso nelle odierne forme romaniche.
Superato un momento di decadenza, Santa Maria tornò fiorente nel 1456 con Canonici Lateranensi, che attuarono vari restauri o ampliamenti.
Nel 1628 papa Gregorio XV concesse alla comunità il titolo abbaziale. Per molti secoli la pieve e i canonici furono il punto di riferimento religioso, amministrativo ed economico del territorio dell'odierno parco, del quale arrivarono a possedere buona parte dei poderi, poi smembrati e venduti in epoca napoleonica.
La chiesa e il convento furono restaurati tra il 1924 e il 1934 dal bolognese Giuseppe Rivani; ulteriori interventi sono stati compiuti di recente.
Nell'isolamento di Monteveglio don Giuseppe Dossetti, ritiratosi dalla vita politica, fondò nel 1961 la sua comunità, che ha trovato sede definitiva a Monte Sole, riportando per la prima volta i monaci nell'abbazia dalla fine del '700. Oggi l'abbazia ospita una comunità francescana.
Il nucleo rurale di San Teodoro, situato ai piedi del colle di Monteveglio, è tra i luoghi più antichi del parco. Il nome del santo, un legionario orientale martirizzato al tempo di Diocleziano, rimanda all'epoca in cui i Bizantini difendevano queste terre dagli assalti longobardi e una chiesa con questa dedicazione compare nell'atto di sottomissione dei montevegliesi a Bologna del 1157. Alla fine del '400 il nucleo passò ai canonici, divenendo il centro della Possessione San Teodoro, mentre la chiesa subì un rapido declino. Da allora fu un semplice podere, sino alla sua trasformazione in sede del parco. Il suo laboratorio didattico è il cuore di un'attività di educazione ambientale che da più di vent'anni coinvolge le scuole di Monteveglio e dei comuni vicini e si svolge lungo gli itinerari dell'area protetta e in altri ambiti della valle del Samoggia, avvalendosi di una ricca documentazione cartografica e storica e di metodologie e contenuti innovativi, documentati da varie pubblicazioni.
La vallecola del Rio Ramato è tra le aree di maggiore pregio naturalistico del parco per la presenza di specie rare come il bucaneve. Il nome del rio si deve a una fonte ferruginosa che scaturisce dalla roccia, nota come acqua ramata per la colorazione dovuta a ossidi e idrossidi di ferro L'Itinerario 3 "Rio Ramato" scende ripido attraverso il bosco nel fresco e umido fondovalle del rio.