L'assetto geologico della Riserva é costituito da formazioni sedimentarie Triassiche con prevalenza di depositi argillo - marnosi facilmente erodibili che danno luogo a forme arrotondate e pendii poco acclivi, e per brevi tratti da depositi calcareo-marnosi meno degradabili affioranti nelle zone più ripide. I primi, di colore bruno nerastro, appaiono intensamente fogliettati per effetto d'un fitto sistema di fratture; i secondi, di colore grigiastro, sono piuttosto compatti e più o meno stratificati. Verso i limiti inferiori della Riserva (loc. Paen), dove la pendenza é decisamente comoda, le rocce in posto sono ricoperte da una coltre di depositi glaciali e fluvio-glaciali con ciottoli di rocce rossastre. I depositi di versante, particolarmente estesi nella zona della "Paghera" (versante scalvino), sono costituiti da detriti stabilizzati formati da minuscole schegge di argilliti, localmente chiamati "mortès". Allo sbocco degli impluvi, nei dintorni dei valico di Croce di Salven (zona di confluenza del ghiacciaio dell'Oglio con quello della Val di Scalve), si riscontrano depositi detritici trascinati dalle acque e costituiti da ciottoli calcarei grossolani e sabbie.
La copertura vegetazionale della Riserva a colpo d'occhio é
caratterizzata da almeno tre tipi: i boschi, i cespuglieti e le
praterie. Subito colpisce la superficie boscata, estesa sull'82% del
territorio, dai 950 m. (versante scalvino), fino a 1.850 m., formante
un manto relativamente compatto ed omogeneo costituito in netta
prevalenza da fustaie di abete rosso (pagher). Ad un esame più
dettagliato la vegetazione forestale si può comunque distinguere in tre
fasce. Dai limiti inferiori, fino a 1250-1300 m. nelle esposizioni
fresche, i boschi tendono ad essere per lo più misti di abete rosso ed
abete bianco. (Abieti-Faggeto). Il bosco misto si presenta pertanto
eterogeneo, formato da gruppi e da piante di varia età con sottobosco
relativamente ricco di muschi, felci, ed altre specie erbacee ed
arbustive. Dove la dotazione d'acqua nel terreno si riduce, o dove
maggiore é il soleggiamento, prevale l'abete rosso con mescolanze poco
significative di latifoglie come faggio, frassino maggiore acero
montano e nocciolo. Dai 1250-1300 m. ai 1450-1550 m. (Pecceta montana),
i boschi sono dominati dell'abete rosso con limitate partecipazioni di
abete bianco e talvolta larice. Quest'ultima conifera, facilmente
individuabile nel tardo autunno per il colore giallo dorato che le sue
foglie assumono prima di staccarsi, é presente in misura significativa
solo in un limitato tratto del versante bornese, a seguito di
introduzione artificiale. Dai 1450-1550 m. fino al limite della
vegetazione arborea, aggirantesi attorno ai 1750-1850 m. (Pecceta
subalpina), il bosco tende gradualmente ad aprirsi diradandosi o
formando gruppi intercalati da radure, ricche di sottobosco arbustivo
con ontano alpino, sorbo degli uccellatori, rododendro e mirtilli, dove
la vita animale e vegetale é particolarmente ricca. L'abete rosso,
pressoché esclusivo in basso, verso l'alto cede il posto al larice. Nei
modesti lembi di lariceto la vegetazione dei sottobosco é multiforme,
con abbondanti specie erbacee dalla ricca fioritura primaverile. Il
larice colonizza le superfici temporaneamente prive di bosco ed i
tratti di pascolo abbandonato, consentendo sotto la sua protezione
l'insediamento dell'abete rosso. I cespuglieti caratterizzano
soprattutto gli impluvi più ripidi della Val Giogna ed una discreta
fascia sul versante nord, dove la neve permane più a lungo.
Oltre
all'ontano alpino, che insieme ai rododendri forma serrate boscaglie
nella zona marginale al pascolo del Costone, lungo gli impluvi sono
frequenti il laburno alpino ed i salici.
Le praterie, comprendenti prati-pascoli, pascoli e praterie secondarie
incolte, traggono tutte origine dalla eliminazione artificiale del
bosco al fine di aumentare l'area disponibile per il pascolo. I
prati-pascoli interessano piccole superfici verso i limiti inferiori
dell'area protetta; i pascoli riguardano i modesti insediamenti
stagionali di malga Creisa e Paiano, in Comune di Borno, e di malga
Costone prevalentemente sul versante scalvino, tuttora utilizzati
rispettivamente con bestiame bovino ed ovino. Le praterie secondarie
incolte occupano le zone più ripide verso la sorgente "Cerovine".
La gestione dei boschi
L'appartenenza dei boschi della
Riserva a Comuni situati in due Provincie con tradizioni ed economia
completamente diversi, la non uniforme esposizione dei versanti e le
pur minime differenze climatiche conseguenti, hanno fatto si che i
diversi patrimoni forestali fossero in passato gestiti in modo non
omogeneo.
In particolare nel versante di Borno è stato favorito il
bosco coetaneo di abete rosso trattato a taglio raso per ottenere
periodicamente grossi quantitativi di legname, anche a scapito della
continuità della copertura forestale; al contrario nel versante della
Valle di Scalve, grazie anche a condizioni ambientali favorevoli, il
bosco è sempre stato più o meno misto di Abete bianco e Abete rosso ed
il trattamento praticato è stato in prevalenza a scelta con diametri di
taglio piuttosto bassi.
I piani di gestione forestale attualmente vigenti nella Riserva
escludono i tagli a raso ed applicano i criteri della selvicoltura
naturalistica, finalizzati a ricostituire boschi disetanei, il più
possibile misti delle varie specie ecologicamente adatte, con una
biomassa tendenzialmente in equilibrio con la fertilità dei terreni e
capaci di perpetuarsi per via naturale lasciando all'uomo gli
interventi di controllo e cura nonché l'utilizzazione selettiva delle
piante mature.
Criteri che, oltre a non essere pregiudizievoli per la fauna selvatica,
sembrano rispondere bene anche nei confronti della presenza di Formica
lugubris, le cui colonie sono particolarmente diffuse e vitali nei
boschi maggiormente naturaliformi.
Le protagoniste della Riserva
Le formiche sono tra le
più antiche creature del pianeta e sopravvivono nell'aspetto pressochè
originario dopo 100 milioni di anni. A prima vista sembrano tutte
uguali, eppure secondo i mirmecologi, ovvero gli specialisti che
studiano questi curiosi insetti, le specie di formiche finora
conosciute sono circa 12.000. In Italia si conoscono oltre 200 specie
di formiche: tra queste, nei boschi di conifere delle Alpi, si trovano
quelle che costruiscono i nidi (acervi) più appariscenti. Si tratta
delle specie del gruppo Formica rufa, comprendente anche la Formica
lugubris prevalente nei boschi della Riserva del Giovetto, dove
costituisce il principale soggetto di tutela. Similmente alle altre
famiglie d'insetti sociali (api, vespe e termiti), anche le formiche
rufe si caratterizzano per un sistema di caste ben differenziato.
In un popolamento di formiche rufe si distinguono: le operaie, femmine
sterili che misurano da 5 a 7 mm, hanno corpo piuttosto slanciato,
dorso rosso ruggine, testa ed addome nerastro; le regine, femmine
feconde, sono un poco più grandi (8-10 millimetri) e sono dotate di
ali; i maschi sono più piccoli delle femmine ed alati.
Le operaie costituiscono la massa di una popolazione di formiche,
svolgono tutti i lavori, assicurano la difesa, la cura della prole e
l'approvvigionamento; vivono 4-5 anni. Le forme alate, femmine regine e
maschi, sciamano nei primi giorni d'estate; i maschi hanno il compito
di accompagnare le regine nel volo nuziale per fecondarne le uova; la
loro vita è assai breve. 3-4 settimane e muoiono entro qualche giorno
dal volo. Le regine, se non cadono vittime dei numerosi predatori
(uccelli od insetti), dopo il volo nuziale perdono le ali e cominciano
una lunga esistenza (anche 20-25 anni), votata alla deposizione delle
uova nella parte più profonda del nido. La regina fecondata cerca
sistemazione nel nido d'origine o comunque in quello della sua specie;
talvolta fonda un altro formicaio deponendovi le uova e crescendo da
sola la prima nidiata, dallo stadio di larve a quello di operaie.
I formicai
Tutte le specie del gruppo Formica rufa
edificano un nido a forma di cupola, forma ideale per captare il calore
del sole oltre che per proteggere il nido dalla pioggia.
I nidi o
acervi misurano mediamente m 1,20 di diametro sono alti circa 60 cm e
contengono una popolazione che va dalle 200.000 alle 500.000 formiche e
diverse centinaia di regine, ma possono arrivare anche a 2 m di altezza
e diversi metri di diametro, con una popolazione fino a più di un
milione d'individui. I formicai si sviluppano in profondità,
all'incirca quanto l'altezza della cupola, e solitamente inglobano una
ceppaia marcescente o una grossa radice morta. La parte profonda, dove
le formiche sono sufficientemente protette e dove regna una temperatura
ottimale per la loro vita, è formata da una successione di camere
intercomunicanti, destinate alla regina, allo sviluppo delle uova e
delle larve nonché a contenere, nell'epoca prossima alla sciamatura,
masse di individui alati. I diversi materiali con i quali viene
costruito il nido, quali aghi di conifere, ramoscelli, grani di terra,
gocce di resina ecc. sono abilmente intrecciati e formano una mirabile
costruzione architettonica sufficientemente compatta. In estate, la
temperatura interna dell'acervo si mantiene costante attorno ai
24-28°C, salvo nella parte più profonda dove non oltrepassa i 20°C; da
fine settembre le formiche iniziano a concentrarsi nella profondità del
nido, dove svernano, pressoché immobili, ad una temperatura di circa
10°C. Nella bella stagione, all'interno del nido schiere di operaie
servono la regina, curano la prole, puliscono le celle e le gallerie e,
se la temperatura diviene troppo elevata, realizzano nuove aperture per
permettere una migliore ventilazione; il nido viene ispezionato di
continuo per il mantenimento delle strutture e per il regolare ricambio
dei materiali da costruzione. Durante il periodo di attività numerose
operaie montano la guardia, pronte ad avvertire le compagne
dell'avvicinarsi di un pericolo.