Un Parco Nazionale non è solo natura: il Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise è fatto anche di borghi e piccoli paesi, che hanno conservato in gran parte la loro identità, data dallo stratificarsi delle vicende storiche e dei modi tradizionali di vita.
I comuni del Parco sono ventiquattro, e ciascuno di loro merita una piccola descrizione, per prepararsi a visitarli.
Gioia dei Marsi e Lecce nei Marsi
Questi due comuni si distinguono nell'ambito del Parco per la presenza nei loro territori di segni straordinariamente numerosi dell'antica civiltà dei Marsi, difficilmente percepibili però dal comune osservatore, che resta colpito piuttosto dalla uniformità del modello insediativo e dell'architettura residenziale, di stampo moderno, conseguente alle distruzioni del terremoto del 1915. Nei dintorni dei centri abitati si possono ritrovare i resti degli antichi insediamenti abbandonati dopo il sisma, spesso in località oggi isolate e di grande suggestione.
I comuni abruzzesi delle valli minori
Si tratta dei comuni di Villavallelonga nel bacino del Fossato di Rosa, di Ortona dei Marsi e di Bisegna nella Valle del Giovenco e di Scanno in quella del Tasso; questi borghi sono caratterizzati dall'insediamento accentrato in nuclei compatti situati su alture, in posizioni strategiche per l'accesso alle risorse della montagna e del fondovalle. La loro posizione ed il modello insediativo hanno permesso la conservazione dei caratteri tipici dei centri storici medievali, con vie strette e toruose e case che si sviluppano in altezza.
I comuni dell'alto bacino del Sangro
Mentre i borghi di Pescasseroli e Barrea sono situati in modo da poter controllare le due estremità della valle, nella zona intermedia Opi, su uno sperone roccioso, e Civitella Alfedena, su un esteso terrazzo, dominano da luoghi idonei alla difesa la valle sottostante. Meno appariscente è la posizione di Villetta Barrea, pur giustificabile dal controllo dell'asse vallivo del torrente Profulo, quasi perfettamente allineato con quello del Tasso-Sagittario. Tuttavia la motivazione difensiva non è forse all'origine di questi abitanti e appare condivisibile l'opinione di chi pone alla base "ragioni di carattere puramente pratico ed economico; infatti le aree che si prestano alla coltivazione sono sul fondovalle che solo in brevi tratti è ampio; non si poteva occupare questa parte preziosa di terreno con abitazioni che invece, poste ad una certa altezza rispetto alla valle, potevano egualmente dar modo agli abitanti di sorvegliare le coltivazioni poste in basso. Del resto è evidente che la posizione corrispondente effettivamente alle esigenze della vita di questi centri, perché attraverso i secoli non sono sorte delle loro filiazioni verso valle, cioè non si sono avuti degli sdoppiamenti di abitato; l'unico esempio di spostamento è quello di Pescasseroli, i cui abitanti molto per tempo, forse fra il XIV sec.; abbandonarono l'abitato primitivo, posto intorno al castello, e si trasferirono nel borgo del Peschio, posto più a valle (Bevilacqua 1952, 64). Non contraddicono queste valutazioni le fortificazioni medievali presenti in questo ambito territoriale nel senso che esse rappresentano l'adeguamento a particolari contingenze storiche preesistenti. Circa la sezione valliva che si estende nella conca di Castel di Sangro, ormai fuori dall'area Parco, la posizione di sperone, in alto sulle acque del fiume, propria di Opi, è replicata da Scontrone, mentre l'Alfedena odierna è un centro di fondovalle sul Rio Torto, nelle adiacenze della confluenza di questo torrente nel Sangro.
La distribuzione altimetrica odierna dei centri riflette, da un lato, la colonizzazione monastica effettuata dall'Abbazia di San Vincenzo e, dall'altro, la tendenza degli abitanti a insediarsi, nel passato, in luoghi facilmente difendibili, su poggi e cocuzzoli elevati, o alla periferia dei terrazzi e delle conche carsiche. A questo schema di base si è sovrapposto, nel corso degli ultimi due secoli, quello dell'insediamento sparso intercalare, in piccole dimore o piccoli nuclei rurali, per effetto delle accresciute condizioni di sicurezza, il frazionamento delle grandi proprietà già feudali e l'appoderamento. Il nuovo modello insediativi ha mostrato grande vitalità fino agli anni Cinquanta, specie nei comuni con ampie estensioni di terreni idonei all'agricoltura, sottraendo quote consistenti di popolazione ai centri tradizionali, cresciuti e ingranditi all'ombra del sistema feudale anche nelle peggiori situazioni topografiche. Perciò questi centri all'epoca si presentavano per lo più squallidi, semidiruti, e manifestavano la loro decrepitezza attraverso un gran numero di case rovinanti o disabitate. Negli anni immediatamente successivi, fino al 1975 - 1980 nell'alta valle del Volturno la crisi generale della montagna italiana si associa a quella del Mezzogiorno originando massicci flussi migratori e l'abbandono di numerose sedi umane isolate. Ciononostante, ancor oggi, l'insediamento sparso costituisce una caratteristica territoriale molto significativa nei comuni di Filignano e di Scapoli. La fase successiva, quella recentissima dell'emigrazione di ritorno, porta ad un parziale recupero del carico demografico dei centri e del loro patrimonio abitativo, purtroppo con modalità quanto meno discutibili; ma è segnata anche dalle conseguenze immediate e da quelle indotte dal terremoto del 1984 con epicentro nella Val di Comino. Infatti i danni consistenti subiti da un gran numero di abitazioni, al contrario di quanto si osserva in tutti gli altri comuni del Parco, sia laziali che abruzzesi, in quelli molisani non sono stati riparati, tanto che ancora oggi, volendo esemplificare, sono abitate le baracche in legno per sinistrati di San Vincenzo al Volturno. Rispetto all'esposizione topografica dei centri, assolutamente prevalente è quella a solatio, con esempi tipici quali Pizzone, Castelnuovo, e Rocchetta, o comunque riparata da venti settentrionali grazie all'effetto barriera delle montagne che cingono a NO e a NE la valle del Volturno. Scapoli e Castel San Vincenzo sono al riguardo casi esemplari.
I comuni laziali si distinguono nell'ambito del parco per i valori più elevati quanto ad energia del rilievo (differenza tra altitudini massima e minima) e conseguente varietà degli ambienti climatici, delle fasce di vegetazione e delle produzioni agricole, che però si riflette solo in parte sull'ampiezza della fascia insediativa, compresa (secondo il censimento 1991) tra il minimo di Mole di Vito a 390 m. e il massimo di Fontitune a 952 m, entrambe nel comune di Picinisco (il quale negli anni Cinquanta contava altri nuclei, ora spopolati, oltre i 900 m: Rocca Capotunno e Rocca degli Alberi). Altro elemento distintivo è la notevole quota di popolazione residente nelle case sparse e nei nuclei, all'origine dell'apparente superdotazione di servizi disponibili nei centri.
Questi ultimi sorgono, tutti oltre i 400 m, in posizione culminale o comunque dominante ai margini dei solchi vallivi, di preferenza su suoli calcarei, ma sempre nelle vicinanze delle aree coltivabili e delle sorgenti, con una generalizzata preferenza delle esposizioni ai quadranti meridionali. Per contro è ampio il campionario dei siti topografici: di pendio (Alvito), di sperone (Picinisco), di dorsale (Le Caselle nel comune di Settefrati), di tipo misto sperone e conoide (San Donato Val di Comino), oppure cocuzzolo e insellatura (Settefrati). Elementi comuni delle porzioni antiche dei centri, quasi sempre dominati dai ruderi di un antico castello (in tal senso esemplare è l'abitato di Alvito), sono gli impianti urbanistici irregolari, con punto focale la piazza con la chiesa, verso la quale converge la rete delle strette vie tortuose, acciottolate e parallele alle isoipse, sovente raccordate da ripide scalinate.